“La noir de…” è un film in lingua francese prodotto nel 1966 e presentato alla Settimana Internazionale della critica del Festival di Cannes nello stesso anno.
Alla regia del lungometraggio vi è il famoso regista senegalese Ousmane Sembène, che per la realizzazione dello stesso si è lasciato ispirare da un fatto avvenuto realmente e da una sua opera precedente. Si è infatti basato su un articolo di cronaca del 1958 pubblicato dal Nice-Matin e su un suo racconto breve omonimo contenuto nella raccolta Voltaïque (1961).

La narrazione riguarda la tragica storia di Diouana, che, nel contesto storico del periodo della post-indipendenza del Senegal, riesce a trovare un’occupazione lavorativa che la porta in Francia. Entusiasta, decide di lasciare il suo Paese per giungere in Europa. Il suo sogno di emanciparsi dalla disperata condizione sociale iniziale, però, si scontrerà con il razzismo, di matrice coloniale, di “Madame” e “Monsieur” (così vengono chiamati nel film).
Entrata in uno stato depressivo, prenderà una decisione a tratti inaspettata, consegnando alla narrazione un finale tragico. Questo restituisce al pubblico una riflessione sulla crudeltà e sulle terribili conseguenze di chi subisce razzismo e sfruttamento lavorativo, senza avere alcuna colpa, se non quella di cercare un futuro migliore.

Il film: la drammatica storia di Diouana

Il lungometraggio, il primo ad essere realizzato interamente da un regista africano, si articola su due piani spazio-temporali. Le scene che ritraggono Diouana ad Antibes, in Francia, si alternano con ricordi della protagonista a Dakar, in Senegal, di cui si racconta la difficile ricerca di lavoro, l’entusiasmo prima di partire, che condivide col ragazzo che aveva conosciuto. La tecnica utilizzata per riportare i ricordi della protagonista è quella del flashback, evidenziati dalla dissolvenza.

La scena iniziale mostra allo spettatore l’approdo di Diouana in Europa. Durante il tragitto verso l’abitazione nella quale lavorerà, la protagonista guarda fuori dal finestrino dell’auto con sentimenti di entusiasmo misto a stupore. Queste saranno le uniche immagini girate all’esterno dell’esperienza di Diouana in Francia.

Ad Antibes la protagonista ci è arrivata dopo una difficile ricerca di lavoro, che la vedeva recarsi alla piazza in cui le cameriere cercavano un’occupazione.
Un bel giorno si presentò una signora bianca: tutte le donne che cercavano lavoro le corsero incontro, mostrando la loro disperazione. L’unica a restare ferma fu Diouana che venne, quindi, scelta dalla signora per badare ai suoi figli.
Diouana era felicissima del nuovo lavoro e nel frattempo aveva iniziato una conoscenza con un ragazzo.

Quando la signora le propone di andare in Francia con lei, la protagonista non esita un secondo. Qui, però, la vita è molto più dura di quanto si aspettasse. Nessun negozio, nessuna passeggiata. La sua giornata si svolge tra salotto, cucina, camera da letto, bagno. È una cameriera tutto-fare e la signora, chiamata “Madame” è sempre più dura con lei, trattandola al pari di una schiava. Così, un giorno, Diouana, stanca di vivere in queste condizioni disumane, prende una decisione. “Non sarò mai più una schiava”, pensa. Raccoglie le sue cose nella valigia, entra nella vasca da bagno e si suicida. “Monsieur” decide di riportare i suoi oggetti cari e il denaro che doveva a Diouana alla madre della protagonista, che però non accetta di prenderli.

Il razzismo, le dure condizioni di lavoro

Sono tante le tematiche toccate dal film che riguardano la situazione storica del Senegal di quegli anni. Vedere il film oggi, però, pur non conoscendo nel dettaglio le vicende storiche del Paese africano, fa riflettere sulla brutalità del razzismo e sulle condizioni durissime alle quali sono spesso sottoposti gli immigrati che, spesso per disperazione, decidono di lasciare il proprio Paese, cercando condizioni di vita migliori.

Il razzismo è reso evidente da un breve dialogo contenuto nel film. Nell’abitazione in cui lavora Diouana ci sono Madame, Monsieur e degli ospiti. La protagonista serve il caffè e questa è l’occasione per i presenti di fare domande su di lei.
“Parla francese?”
“No”. Un’altra voce dice “Lo comprende”.
“Per istinto?” chiede l’ospite.
“Credo di sì” risponde Madame.
E il commento finale dell’ospite è una constatazione disumana: “Come un animale”.
Poco prima, durante la cena preparata e servita da Diouana, addirittura un commensale aveva preso l’iniziativa di darle un bacio: “Non ho mai baciato una nera”. E Madame aveva sminuito poi il tutto con “Era uno scherzo”.

Le dure condizioni di lavoro sono evidenziate non solo dalle faccende che Diouana deve svolgere, ma anche dall’articolazione degli spazi e da un’importante contrapposizione presente. Lo spazio aperto di Dakar è contrapposto all’angosciante spazio chiuso di Antibes. Qui tutte le scene – eccetto la prima – si svolgono all’interno, in stanze piccole e anguste.

Razzismo e sfruttamento lavorativo degli immigrati, ancora oggi

Il film restituisce allo spettatore la dura situazione degli immigrati che lasciano la loro terra di origine per giungere nei Paesi più sviluppati, alla ricerca di una vita dignitosa. Era quello che cercava la protagonista, sognando l’emancipazione dalla società senegalese; è quello che cercano migliaia di persone che, tutt’oggi, giungono in Italia ed in tutta Europa.
Spesso, però, abbattere i pregiudizi, integrarsi nella nuova società risulta essere assai difficoltoso. Le condizioni di vita continuano ad essere terribili, anche per chi riesce a trovare lavoro.

Si fa riferimento, in particolar modo, agli immigrati che sono impegnati in occupazioni del settore agroalimentare. Numerosi report nazionali hanno evidenziato come questo settore risulti essere a rischio sfruttamento, soprattutto per i lavoratori stranieri.
E’ stata svolta un’indagine nazionale da Anci e dal Ministero del Lavoro, “Le condizioni abitative dei migranti che lavorano nel settore agroalimentare”. Un dato allarmante evidenziato riguarda la presenza, in Italia, di 10.000 lavoratori agricoli migranti che vivono in condizioni di privazione dei diritti e di sfruttamento: sono, quindi, vittime del caporalato.
Nel rapporto si legge che le condizioni di vita e di lavoro della popolazione di immigrati sono peggiorate a partire dal 2020, primo anno della pandemia, per vari motivi: perdita di reddito a causa dell’impossibilità di raggiungere il luogo di lavoro, mancanza di ammortizzatori sociali, alloggi inadatti a contenere i rischi di contagio, mancanza dei dispositivi di protezione, difficile accesso al servizio sanitario.

Le condizioni di lavoro degli immigrati, in particolar modo nei campi, diventano ancora più dure nel periodo estivo, a cause delle temperature elevate. Vari articoli di cronaca hanno riportato, nel corso degli anni, casi di lavoratori stranieri che hanno perso la vita.
Alcuni di voi, probabilmente, ricorderanno il caso – avvenuto in Puglia nel giugno del 2021 – del giovane migrante di 27 anni, che ha perso la vita nel tragitto di ritorno dal lavoro a casa dopo una giornata passata sotto il sole cocente nei campi.

Lo sfruttamento lavorativo, in ogni caso, non riguarda solo gli uomini ed il settore agroalimentare, ma anche donne migranti: in questo caso i due principali ambiti di sfruttamento lavorativo riguardano la cura domestica (come la nostra protagonista Diouana), e l’agricoltura. Come riportato dal rapporto precedentemente citato, in ambito agricolo vi è un maggiore isolamento delle lavoratrici, che si ritrovano in situazioni di dipendenza dal datore di lavoro, con forme di sfruttamento e abuso che includono anche quelle a sfondo sessuale.

Donne e uomini stranieri sono reclutati da caporali o da datori di lavoro che cercano di trarre vantaggio dalla loro maggiore vulnerabilità e ricattabilità.
E così, sogni di giovani ragazzi e ragazze vengono calpestati, le speranze di una vita migliore sono letteralmente spezzate.

Ousmane Sembène, il regista che ha raccontato le condizioni del suo popolo

Scrittore e regista cinematografico, Ousmane Sembène ha rappresentato, in particolar modo nelle sue prime opere, la disperazione della società senegalese.

Nel cortometraggio Borom Sarret (1963), nel mediometraggio Niaye (1964), nel lungometraggio di cui si è parlato “La noire de…” (1966), il regista mette in scena la situazione del suo popolo, segnato da precarie condizioni di lavoro, dagli effetti della colonizzazione e attratto dal miraggio di una vita agiata in Francia, come nel caso del lungometraggio. Per il regista il cinema rappresentava il mezzo attraverso il quale affrontare le urgenze del suo popolo. Quest’idea lo ha guidato anche nella realizzazione dei film successivi ai quali ha dato vita nel corso della sua lunga carriera.

“La noir de…” è un film coinvolgente, drammatico che, nonostante sia stato realizzato più di 50 anni fa, contiene tanti riferimenti alla realtà attuale e che inevitabilmente spinge lo spettatore alla riflessione sui temi di cui si è parlato.

C’è ancora troppo razzismo nel mondo, che sfocia in vari nostri comportamenti più o meno gravi. Sarebbe utile riflettere sull’importanza che ognuno di noi dà alla propria dignità, alle proprie aspirazioni, ai propri sogni. E riconoscerla all’altro, chiunque egli sia.

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