Le elezioni politiche del 24 e 25 febbraio 2013 hanno consegnato al Paese un quadro politico frammentato: se la coalizione di centrosinistra (composta da PD e SEL) può contare su una solida maggioranza alla Camera dei Deputati , è stato chiaro fin da subito che la situazione al Senato sarebbe stata caratterizzata da una forte incertezza su quali forze, accordandosi, avrebbero potuto garantire la nascita di un governo stabile.

Nei giorni immediatamente successivi al voto Pierluigi Bersani ha indicato la strada da seguire per uscire dal “pantano” post-elettorale: ovvero cercare un accordo per un “governo del cambiamento” scegliendo come interlocutore privilegiato il Movimento 5 Stelle, che in virtù dell’ ottimo risultato conseguito alle elezioni si può considerare come il vero vincitore della tornata elettorale.

Una mossa inattesa se non altro per le previsioni della vigilia, che volevano il centrosinistra in vantaggio sostanziale sui suoi avversari con la disponibilità dei centristi di Monti a offrire una “spalla” nel caso la maggioranza di centrosinistra si fosse dimostrata incapace di governare autonomamente, così come per i toni che hanno accompagnato la campagna elettorale, con i frequenti scambi notevolmente polemici tra lo stesso Bersani e Grillo; ma allo stesso tempo quasi obbligata considerando il risultato numerico uscito dalle urne e la difficoltà politica di riproporre un governo di “larghe intese” che includa il PDL di Berlusconi.

La settimana scorsa le elezioni dei presidenti di Camera e Senato hanno rappresentato la prima tappa di questa “stretta via” intrapresa dal segretario democratico: la scelta di due nomi non del tutto organici alla politica tradizionale (Boldirni e Grasso) va sicuramente nella direzione di cercare un dialogo con il M5S, o quantomeno di creare difficoltà ai neo-eletti tra le fila di Grillo. Il voto al Senato ha evidenziato come, di fronte alla scelta tra Schifani e Grasso, alcuni di questi ultimi abbiano preferito il magistrato con un passato antimafia piuttosto che favorire tramite l’astensione il senatore PDL.

Se attraverso questa operazione Bersani ha ottenuto un primo successo, la strada appare tutt’ora più in salita che mai: non passa giorno che il comico genovese, tramite il suo blog, non si lanci in pesanti invettive dirette specialmente contro il PD e i tentativi, a suo giudizio, di “mercato delle vacche” che la sinistra starebbe mettendo in atto per convincere i senatori grillini a votare la fiducia ad un governo Bersani.

Ma non sono solo queste le difficoltà oggettive che Bersani incontrerà nel formare il governo: allo stato attuale appare molto poco probabile che il M5S, che ha fondato gran parte della sua campagna elettorale sulla polemica contro la “casta” e i partiti tradizionali, decida di accordare una fiducia, anche solo “ a tempo”, ad un governo presieduto da un esponente politico come Bersani. Se a queste difficoltà si aggiunge la forte opposizione che il centrodestra sta mettendo in campo contro la nascita di un governo PD-SEL- M5S (con una legge sul conflitto di interessi tra i suoi punti qualificanti) e la possibile nascita di una “fronda” interna allo stesso PD contraria a questa soluzione, è facile capire come sul cammino del segretario gli ostacoli potrebbero essere molteplici se non addirittura insormontabili.

Se in una prospettiva “breve” la soluzione a questo rebus appare più che mai incerta, occorre però considerare che sotto un altro piano di lettura gli scenari potrebbero rapidamente cambiare: la pressione della crisi economica e della finanza internazionale sul nostro paese nel caso in cui non si formasse una maggioranza di governo è una variabile da non sottovalutare, così come la possibilità, più che mai realistica, che un’altra tornata elettorale a stretto giro non sia risolutiva in tal senso.

Le ultime elezioni hanno messo in luce come il nostro paese attraversi una fase di cambiamento profonda: probabilmente il vero inizio di uscita dalle logiche della prima repubblica e dai successivi vent’anni di bipolarismo imperfetto segnati dal berlusconismo. La crisi politica scaturita dal voto offre sì uno scenario di difficile composizione in un momento in cui le congiunture economiche appaiono più che mai sfavorevoli, ma al contempo tra le sue pieghe è possibile leggere delle possibilità di rinnovamento senza precedenti nella vita politica Italiana. L’entrata in scena di numerosi neo-eletti estranei al circuito politico dei “soliti noti” così come la presenza di tante donne mai così numerosa nelle legislature precedenti, sono segnali importanti di una svolta che in Italia si aspettava da tempo.

Non è quindi facile fare previsioni sull’avvenire, né sulla capacità dei partiti tradizionali di reinventarsi e di riconquistare consensi, né sulla tenuta del M5S, che rifiutando la responsabilità di fornire al paese un governo potrebbe esporsi ad un pericoloso “effetto boomerang” e arrestare quella che appare una irresistibile ascesa.

Occorrerà quindi aspettare, e cercare di capire se questi segnali di rinnovamento prevarranno sugli egoismi di parte e sui calcoli politici di convenienza. La difficile situazione del paese impone alle forze politiche riflessioni attente, e se buonsenso e responsabilità potrebbero non bastare, è chiaro che lo spettacolo dell’ingovernabilità potrebbe essere mal digerito sia da chi ci guarda dall’esterno, sia da quanti in Italia hanno votato auspicando un cambiamento radicale.

Vista in quest’ottica, la “stretta via” del segretario Bersani potrebbe poi non essere così impercorribile.

 

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