Alla fine Giorgio Napolitano è stato rieletto: sono oltre 730 i voti che hanno garantito il bis al presidente uscente, voti che sono giunti da gran parte dell’arco costituzionale, eccezion fatta per il M5S e SEL, che all’ultimo scrutinio si sono espressi in favore di Stefano Rodotà.

Di questa ri-elezione, che ha del clamoroso considerando che lo stesso Napolitano aveva più volte ribadito la sua indisponibilità per un eventuale secondo mandato, colpiscono innanzitutto due dati: il primo è che mai nella storia repubblicana si era confermato un presidente uscente, il secondo è che lo stesso 87enne Napolitano è ad oggi il presidente più vecchio mai eletto nella storia della Repubblica.

Un “doppio primato” su cui sarà bene interrogarsi: ma come si è giunti alla rielezione di Napolitano?

Sicuramente lo snodo cruciale di queste votazioni è avvenuto nel pomeriggio di venerdì 19: l’assemblea dei grandi elettori del PD, dopo la bocciatura di Franco Marini, si era espressa nella mattinata compatta in favore dell’elezione di Romano Prodi; ma l’esito del quarto scrutinio ha visto il Professore fermarsi di oltre 100 voti sotto il quorum necessario, vittima delle stesse forze,totalmente fuori controllo, interne al PD. Uno spettacolo raccapricciante sia per il valore politico, che ha evidenziato come il partito attualmente maggioritario in parlamento,in una votazione così importante per le istituzioni, fosse drammaticamente diviso al suo interno ,sia per quello simbolico, per il sacrificio di Prodi, in passato la figura che ha rappresentato più di tutti un punto di compromesso per gli equilibri del centrosinistra italiano.

Sembra quindi evidente che nel “venerdì nero” democratico la posta in gioco non sia stata semplicemente la votazione attorno ad un nome, ma più in generale una serie di equilibri e di orientamenti interni alla sinistra, fondamentali per dare uno sbocco alla crisi politica che sta attraversando il Paese. L’elezione di Prodi avrebbe rappresentato una soluzione con tutta probabilità lontana dalle “grandi intese” e certamente più vicina ad una mediazione, per quanto difficile, con le istanze del M5S. Venuta meno questa, è in automatico crollata la segreteria di Bersani, forse il vero obiettivo dei “franchi tiratori” democratici.

All’indomani di una catastrofe simile il PD, decapitato,impossibilitato nella ricerca di un altro nome (chi avrebbe messo a quel punto la faccia?) da sottoporre prima al difficilissimo vaglio interno e poi all’eventuale mediazione delle altre forze politiche, non ha avuto altra soluzione, per tirarsi via dalle secche, che affidarsi al “grande vecchio”, ovvero Giorgio Napolitano,  aprendo di fatto la strada alla rielezione del presidente uscente. Allo stesso tempo, con questa scelta, i democratici hanno affidato allo stesso Napolitano la guida non solo del paese, ma anche il futuro indirizzo dello stesso partito almeno fino al prossimo congresso.

Qualche giorno fa Angelo Panebianco sul Corriere sottolineava come queste elezioni presidenziali avessero significati ben più importanti rispetto ad una normale elezione presidenziale, significati che investono anche la legittimazione e in ultimo la stessa sopravvivenza delle istituzioni democratiche. L’elezione di Napolitano da un lato evita che l’Italia sia guidata da una personalità “debole” (tale non è Napolitano) o che sia guidata da una scelta percepita come “di parte” (che la sua elezione sia avvenuta con larga maggioranza è da questo punto di vista un fatto positivo).

Ma a queste note si devono necessariamente accompagnare altre più preoccupanti: in primo luogo i due già citati dati statistici  (la prima rielezione di un presidente uscente e l’età avanzata dello stesso Napolitano)  mettono in luce le difficoltà attuali del sistema politico italiano nel rinnovarsi sia nei contenuti che nelle personalità attraverso una visione di “lungo periodo”. Napolitano avrà adesso il suo mandato in scadenza nel 2020, e pare davvero difficile possa avere la vitalità necessaria per condurre il Paese così a lungo, oltretutto in un momento così delicato.

In secondo luogo desta perplessità la formula politica che l’Italia sembra imboccare per uscire da questa crisi, con il probabile ricorso alle “grandi intese” di cui Napolitano appare attualmente come il massimo garante: l’unione di governo tra forze così eterogenee, spesso su posizioni antitetiche, accumunate solo dal fatto di appartenere ad un universo politico “tradizionale”,  non sembra andare incontro a quel generale desiderio di rinnovamento che l’Italia ha espresso democraticamente tramite il voto. Il rischio che l’accordo di governo si fondi, nei fatti,unicamente sul mantenimento dello “status-quo” è più che una semplice ipotesi, e disattendere le ansie di un paese, ogni giorno più inquieto per la difficile situazione economica e sociale, rischia di allargare il già pericoloso divario tra istituzioni e cittadini, gettando il definitivo discredito sulle prime.

Il rischio appare quello che sia la soluzione trovata per la Presidenza, che quella che seguirà per il governo, siano o vengano percepite come “soluzioni-tampone”, parzialmente o del tutto insufficienti a risolvere i difficili problemi che l’Italia deve necessariamente affrontare.

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