Lo Yemen, un tempo culla di antiche civiltà e crocevia commerciale strategico, si è trasformato nell’ultimo ventennio nel teatro di una delle più devastanti crisi umanitarie contemporanee. Con una popolazione di 33 milioni di abitanti, questo paese situato all’estremità meridionale della penisola arabica è diventato il simbolo di come l’intreccio tra conflitti interni e interessi geopolitici possa condurre al collasso di un’intera nazione.

La storia recente dello Yemen non può essere compresa senza considerare le profonde divisioni storiche tra il nord e il sud del paese, unificati solo nel 1990 dopo decenni di separazione. Questa unificazione, mai pienamente realizzata nel tessuto sociale, ha creato tensioni che sono esplose con particolare violenza durante la Primavera Araba del 2011. In quell’anno, le proteste popolari contro il regime trentennale di Ali Abdullah Saleh hanno portato alle sue dimissioni nel 2012, aprendo una fase di transizione politica che si è rivelata estremamente fragile.

Il vuoto di potere seguito alla caduta di Saleh ha permesso l’ascesa degli Houthi, un movimento politico-militare sciita zaydita originario del nord del paese. Nel settembre 2014, gli Houthi hanno conquistato la capitale Sana’a, costringendo il presidente Abdrabbuh Mansur Hadi alla fuga. Secondo i dati delle Nazioni Unite, questa prima fase del conflitto ha causato oltre 10.000 vittime civili e lo sfollamento di 3,6 milioni di persone.

L’intervento della coalizione guidata dall’Arabia Saudita nel marzo 2015 ha trasformato una guerra civile in un conflitto regionale per procura. La coalizione, che include nove paesi arabi e africani, ha condotto oltre 24.000 raid aerei in otto anni, di cui il 33% ha colpito obiettivi non militari secondo l’Yemen Data Project. Questi attacchi hanno devastato le infrastrutture civili del paese: il 50% delle strutture sanitarie è stato distrutto o danneggiato, mentre il 90% delle infrastrutture idriche necessita di riparazioni urgenti.

La dimensione umanitaria della crisi yemenita ha raggiunto proporzioni apocalittiche. Secondo l’OCHA (Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari), nel 2023 oltre 21,6 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria, di cui 17,3 milioni sono in condizione di insicurezza alimentare acuta. La malnutrizione colpisce 2,2 milioni di bambini sotto i cinque anni, mentre oltre 4 milioni di persone sono sfollate interne.

L’economia dello Yemen è stata completamente devastata dal conflitto. Il PIL si è contratto del 50% tra il 2015 e il 2023, mentre l’inflazione ha raggiunto picchi del 45% nel 2022. La disoccupazione supera il 65%, con punte dell’80% tra i giovani. Il collasso delle infrastrutture ha portato a frequenti blackout elettrici e alla carenza cronica di carburante, paralizzando ulteriormente l’economia.

La dimensione geopolitica del conflitto è particolarmente complessa. L’Iran sostiene gli Houthi fornendo armamenti e supporto tecnico, come confermato da numerosi rapporti delle Nazioni Unite che documentano il sequestro di carichi di armi iraniane dirette allo Yemen. L’Arabia Saudita, d’altra parte, vede negli Houthi una minaccia diretta alla propria sicurezza nazionale, specialmente dopo i numerosi attacchi missilistici contro il proprio territorio. Gli Stati Uniti hanno fornito supporto logistico e di intelligence alla coalizione saudita, mentre Russia e Cina hanno mantenuto una posizione più ambigua, opponendosi alle sanzioni ONU contro gli Houthi.

Il conflitto ha avuto un impatto devastante sul patrimonio culturale dello Yemen. L’UNESCO ha documentato danni significativi a 80 siti storici, inclusa la città vecchia di Sana’a, patrimonio dell’umanità. La distruzione di moschee storiche, biblioteche e archivi rappresenta una perdita irreparabile per la cultura mondiale.

La crisi sanitaria è particolarmente grave. Oltre all’epidemia di colera più grande della storia moderna, con oltre 2,5 milioni di casi sospetti dal 2016, il sistema sanitario deve affrontare la diffusione di altre malattie come la difterite e il dengue. La pandemia di COVID-19 ha ulteriormente aggravato la situazione, anche se i dati reali sono difficili da verificare a causa del collasso del sistema di sorveglianza epidemiologica.

Gli sforzi diplomatici per risolvere il conflitto hanno prodotto risultati limitati. L’Accordo di Stoccolma del 2018 e l’Accordo di Riyadh del 2019 hanno portato a cessate il fuoco temporanei, ma non sono riusciti a creare le basi per una pace duratura. La tregua mediata dall’ONU nell’aprile 2022 ha offerto sei mesi di relativa calma, ma è scaduta nell’ottobre dello stesso anno senza essere rinnovata.

Il ruolo delle organizzazioni umanitarie è stato fondamentale ma estremamente difficile. Le agenzie ONU e le ONG internazionali operano in condizioni di estrema insicurezza, con frequenti ostacoli all’accesso umanitario. Nel 2022, il Piano di Risposta Umanitaria per lo Yemen ha richiesto 4,3 miliardi di dollari, ma ha ricevuto solo il 55% dei finanziamenti necessari.

Le prospettive future dello Yemen rimangono incerte. La frammentazione del paese in zone di influenza controllate da diverse fazioni rende sempre più difficile immaginare una riunificazione pacifica. Il deterioramento delle condizioni ambientali, con la scarsità d’acqua che colpisce l’80% della popolazione, aggiunge ulteriore pressione a una situazione già critica.

La ricostruzione dello Yemen richiederà uno sforzo internazionale senza precedenti. La Banca Mondiale stima che saranno necessari almeno 20 anni e oltre 50 miliardi di dollari solo per riportare il paese ai livelli di sviluppo pre-conflitto. Tuttavia, qualsiasi piano di ricostruzione dovrà prima affrontare le cause profonde del conflitto: le divisioni settarie, le disuguaglianze economiche e la competizione per le risorse.

La tragedia dello Yemen rappresenta un fallimento collettivo della comunità internazionale. Solo attraverso un rinnovato impegno diplomatico, accompagnato da massicci investimenti nella ricostruzione e nello sviluppo, sarà possibile offrire al popolo yemenita la speranza di un futuro migliore. Nel frattempo, milioni di persone continuano a sopravvivere in condizioni disperate, in quello che rimane uno dei conflitti più devastanti e meno raccontati del nostro tempo.

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