Roma, come si sa, è una città intrisa tanto di storia e di bellezze architettoniche quanto di segreti e ricordi di epoche passate. Uno dei quartieri sicuramente più suggestivi e affascinanti della capitale, che purtroppo gode troppo poco della fama che meriterebbe, è il quartiere Coppedè. Un viaggio tra le case più belle di Roma Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Situato nella parte nord-ovest di Roma, nel quartiere Trieste, il Coppedè è un complesso di case (“le più belle di Roma”) costruito agli inizi del 1900, che prende il nome dal suo architetto ed ideatore, Gino Coppedè. La zona è un pot pourri di stili architettonici, un luogo senza tempo che raccoglie a se stile gotico, liberty e barocco, senza mai trovarsi in contrasto gli uni con gli altri.
Appena arrivati, dalla parte di via Tagliamento, ci si trova di fronte allo stupore dell’arco che introduce al quartiere, intromesso in due palazzi come fosse la volta principale di un castello fiabesco. Ai lati si ergono i palazzi detti “degli ambasciatori” e in mezzo pende un maestoso lampadario in ferro battuto inciso con quelli che sembrano dei cavallucci marini. Basta intravedere nello sfondo per capire che questa è solamente la porta del reame di accesso di questo quartiere unico nel suo genere.
Una volta varcato il portale iniziale – che sembra dividere l’esterno con l’interno, la realtà con la fantasia – ci si ritrova in un’atmosfera ancora più fuori dal comune. Al centro di piazza Mincio si può vedere la bellissima fontana delle rane, nel cuore del Coppedè, che si ispira alla fontana delle tartarughe di Piazza Mattei, del Bernini. Dallo stile barocco, le prime statue che risaltano sono le figure umane sulla base che sorreggono quattro conchiglie su cui posa l’acqua che sgorga dalle rane, ultime figure poste alla fine della originale composizione.
Sulla destra, venendo da via Dora, ci si imbatte nel primo palazzo che risalta: il palazzo del Ragno. Adornato sul portale da un inquietante quanto bellissimo ragno dorato su uno sfondo nero, il palazzo è chiamato così per le immagini raffiguranti l’animale in questione. Questa caratteristica liberty va ad incontrarsi con il pezzo superiore del portone, profondamente classico e che richiama particolari massonici, quali i leoni ed un volto di un cavaliere.
L’intento dell’ideatore per questa struttura era associato sia alla figura del ragno che tesse la sua tela, sia a quella del cavaliere sormontato dalla scritta in latino “labor”, ovvero lavoro, per rappresentare ed esaltare l’operosità e il lavoro.
Non sembra risaltare, invece, l’edificio sulla sinistra, se non tuttavia per il suo monumentale ingresso, ornato da un mosaico oro e acqua marina, e un ingresso decorato in modo eclettico in bianco e nero. Viene chiamata “la casa senza nome”, per via del suo aspetto fin troppo “normale” per essere dentro il Coppedè, ma si dovrebbe dare l’appellativo di “casa dell’ospitalità” viste le scritte in latino che recitano “Entra in questo luogo, chiunque tu sia sarai amico. Io proteggo l’ospite”.
E per ultima (ma non meno importante) si ammira la suggestiva architettura del cosiddetto “Villino delle Fate”, da cui si distingue subito la torretta sormontata da un elegante segnavento in ferro a forma di gallo. Si tratta in realtà di tre edifici indipendenti tra loro, in un complesso di singolare stupore. Ogni casa ha raffigurate decorazioni pittoriche che rimandano a tre città italiane, tra cui si distinguono Firenze, Venezia e Roma. Nella prima, in particolare, si possono osservare le figure di Dante e Petrarca insieme ad affreschi che rappresentano la loro vita, e le caratteristiche storiche della città fiorentina, come la Cupola del Brunelleschi o Palazzo Vecchio.
Sul lato verso via Brenta è raffigurata Venezia, celebrata con l’immancabile leone di San Marco, navi con vele spiegate e il Duomo.
A fare gli omaggi alla città di Roma ci pensano invece gli orologi astronomi, i capitelli e gli animali utopici, che fanno compagnia alla Lupa Capitolina con i gemelli Romolo e Remo, simbolo della città eterna sin dalla sua nascita.
Questa seducente casa diventa il traguardo di questa fiabesca passeggiata prima di farti rientrare nella realtà, facendoti sognare un’ultima volta sulle pagine del tempo e dell’arte.
A dare tanto successo al bellissimo quartiere sono stati tuttavia i vari film girati al suo interno da grandi registi italiani e stranieri. A dare il nome del “quartiere del villino delle fate” fu, infatti, Dario Argento, quando vi girò delle scene nel film L’uccello dalle piume di cristallo (1969) e Inferno (1970), contribuendo involontariamente al grande successo turistico. Non fu il solo a voler catturare il senso di inquietudine che è in grado di risvegliare la zona, particolarmente quando calano le ombre della sera. I richiami all’esoretismo e alla massoneria aggiungono il tocco perfetto per dare al quartiere un’aria agghiacciante.
Altri aneddoti storici sono racchiusi nell’area delle mura del quartiere, come il mitico bagno nella fontana delle rane fatto dai Beatles in seguito all’esibizione al Piper Club, nei pressi del Coppedè, negli anni ‘60.
Che Coppedè sia un quartiere stravagante, questo non lo si può negare sicuramente. Il costruttore ha lasciato un’impronta originale e personale, impossibile da confondere. Stupisce particolarmente come nell’epoca della sobrietà e del razionalismo fascista, nel quale è stato costruito, possa essere sorta una zona così esuberante e fantasiosa.
Una zona, comunque, tra le più belle e suggestive di Roma: visitarla diventa d’obbligo.