L’autonomia è diventata sempre più difficile da ottenere (o da volere). A dircelo è l’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, che indica l’età media nel quale i ragazzi escono di casa per assicurarsi un futuro. La media europea è intorno ai 26 anni, ma in Italia siamo sopra la quota: 30 anni. Dopo di noi, escono di casa tardi soltanto slovacchi e croati, rispettivamente a 30,9 e 31,8 anni. Questo non è un paese per giovani Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Il problema da analizzare diventa quindi complesso: si tratta di una questione culturale o esclusivamente economica? L’Italia è il paese delle mancate opportunità, o sono i giovani italiani a lasciarsele sfuggire?
I fattori sono molteplici, ma quello economico sembra il più importante. La mancanza di lavoro e di reddito sufficiente per condurre una vita autonoma sembrano gravare sulle spalle dei giovani; a ciò va aggiunta una politica di welfare incentrata soprattutto su bambini e anziani, che lascia alle nuove generazioni poco spazio di manovra. Viviamo in un paese dove il tasso di occupazione consiste in lavori poco retribuiti e segue la regola della “precarietà”.
Per non parlare, infine, della questione territoriale: nel Sud Italia, più che altrove, i giovani si ritrovano alla fine degli studi davanti alla prospettiva di rimanere a carico dei genitori o alla scelta di cercare fortuna fuori.
Che l’Italia non sia un paese per giovani, questo si è capito. Spesso rimanere nella casa in cui si è cresciuti è una necessità, e non una scelta personale; e l’opportunità di rendersi indipendenti diventa un lusso a cui non tutti possono ambire.
Sono qui riportate le testimonianze di due giovani, un ragazzo di 27 anni (F) e una ragazza di 28 (G), entrambi del sud Italia, che nonostante i vari percorsi di vita si sono ritrovati senza una vera opportunità lavorativa che potesse dar loro un futuro solido. La scelta di rimanere sulle spalle dei genitori, quindi, è parsa inevitabile.
Com’è il rapporto con i tuoi genitori?
G: “Io e i miei genitori abbiamo un buon rapporto. Sono la terza di tre figli e si sono sempre preoccupati di insegnarci i valori fondamentali per loro, lasciandoci comunque liberi di scegliere (nelle scelte di vita e di formazione). Hanno ricoperto il ruolo di genitori, più che di amici, ma ora che siamo tutti adulti il rapporto è cambiato: il rispetto per i ruoli resta, ma la comunicazione è più fluida ed inclusiva per tutti.”
F: “Il rapporto con i miei genitori è odio e amore: ovviamente i genitori amano a prescindere i propri figli, ma il fatto che a 27 anni vivo ancora nella loro casa, unito al fatto che non ho un’indipendenza economica, è molto frustrante per me.
Questo a volte mi porta ad essere scontroso, ci sono delle discussioni e da parte loro c’è un po’ di preoccupazione per i motivi sopra citati. Non è facile per me, e non deve esserlo neanche per loro (non) vedendo un futuro per il proprio figlio.”
Hai avuto esperienze universitarie? Se sì, i tuoi studi ti hanno portato nel percorso lavorativo che desideravi? Se no, sei riuscita a trovare lavoro senza un titolo?
G: “Ho affrontato un percorso accademico/universitario e, proprio durante il percorso di studi, ho avuto la possibilità di lavorare nel campo per il quale mi stavo formando (da lavoratore dello spettacolo). Da quel momento in poi ho sempre cercato di non discostarmi dal Teatro, anche se con fatica.”
F: “Avendo lasciato l’università, nel corso degli ultimi anni ho trovato solo lavori precari, a tempo determinato e poco retribuiti. Lavori che ovviamente non ti permettono di costruire qualcosa..”
E’ stata una scelta personale rimanere nella città in cui sei nata?
G: “No, restare nella mia città è stata una scelta obbligata. Avrei preferito studiare altrove perché la mia zona dà poche certezze per la professione che ho scelto. Le condizioni economiche della mia famiglia non mi hanno dato altre opzioni, quindi ho cercato di fare il possibile qui.”
F: “Amo il paese in cui vivo.
Non avendo però un’alternativa, posso dire che è una sorta di scelta forzata.
Personalmente penso che sia triste dover andare a vivere altrove soltanto per trovare un qualsiasi lavoro che ti permetta di vivere.”
Lavori? Se sì, cos’è che ti impedisce di uscire dal tuo nucleo familiare? Se no, a cosa pensi che sia dovuta la colpa?
G: “Non lavoro da un anno a questa parte, a causa della pandemia del 2020. Ma credo che la causa fondamentale sia la precarietà di un intero settore lavorativo che, come abbiamo potuto constatare nell’ultimo anno, è privato di ammortizzatori economici. Questo 2020 è stato la cartina al tornasole di un sistema equiparabile ad un colabrodo, per tutte le lacune che conta.”
F: “Come già detto non lavoro. Non credo ci sia un colpevole. Penso che sia un mix di fattori che faccia si che le persone della mia età non trovino lavoro.
Quando cerco lavoro mi danno risposte di tutti i tipi: alcuni vogliono giovani ma con molta esperienza. Altri non ti prendono neanche in considerazione perché hanno già i posti di lavoro “assegnati” dall’inizio (raccomandazioni varie). Altri (giustamente?) dicono che non conviene, per loro, assumere giovani e formarli in quanto gli costerebbero troppo.
In più l’ambiente non aiuta. Vivo al sud. Come tutti sanno qui lo sviluppo economico, le industrie e tutto ciò che porterebbe lavoro è praticamente pari a zero.
Se proprio dovessi trovare un “colpevole” credo che la politica non abbia intenzione di investire sui giovani. Penso sia stata fatta negli ultimi 20 anni una politica completamente sbagliata a riguardo, che distrugge ogni prospettiva per un ragazzo che vuole lavorare e costruirsi qualcosa nel luogo in cui vive, senza dover andare in altre regioni.”
Pensi che la situazione attuale (Covid-19) possa aggravare le tue possibilità economiche?
G: “La situazione economica attuale, come dicevo, ha azzerato le mie entrate. Quindi direi che si, ha aggravato notevolmente la situazione economica già incerta di suo.”
F: “Non avendo una carriera lavorativa in corso il Covid dal punto di vista economico mi tocca poco. Penso piuttosto che, paradossalmente, questa situazione porterà ad una crescita economica. Mi spiego meglio: storicamente, dopo ogni guerra o pandemia, c’è sempre stata uno sviluppo economico, un incremento dei posti di lavoro disponibili perché c’è il bisogno di ricostruire. Sperare in questo ti fa capire la gravità della situazione.
Parlando per chi invece lavorava in nero, o per chi è un libero professionista, questa situazione ha aggravato una situazione già tragica di per sé.. Bar, ristoranti e altri centri del sud sono letteralmente in ginocchio e sull’orlo del fallimento.”
Hai difficoltà nel renderti indipendente e autonomo?
G: “In questo momento faccio molta fatica ad essere indipendente economicamente. Fortunatamente i miei possono darmi sostegno in questo: ospitandomi mi danno l’opportunità di ricreare un piccolo “salvadanaio” per ripartire, ma chi non ha questa possibilità sta davvero arrancando.”
F: “È un cane che si morde la coda: il lavoro manca, e questo ti porta a non avere un’indipendenza economica e ad essere sfiduciato. Siamo una generazione in cui almeno il 60% delle persone si ritroverà con il nulla in mano. Serve il lavoro per formarsi a livello professionale, ma il lavoro non c’è.
Personalmente cerco di pesare il meno possibile sull’economia della mia famiglia. Questo inevitabilmente porta a non “investire” su me stesso e quindi rimanere in questo limbo. Un labirinto in cui si torna sempre al punto di partenza insomma. Io e i miei amici ci arrangiamo come possiamo, facendo qualche lavoretto giornaliero, io suonando in qualche locale quando è possibile, ma questo è ben lontano dall’avere un’indipendenza economica.”
Vorresti vivere in un’altra città se ne avessi l’opportunità?
G: ”Vorrei vivere in una città diversa per continuare (o riprendere, meglio) a lavorare nel mio settore. Foggia è un terreno fertile per le realtà teatrali, sono tanti i piccoli nuclei che portano qui l’arte, ma l’Opera lirica è un genere ancora lontano da questo territorio. Quindi lo cerco altrove, dove i meccanismi sono già rodati e funzionanti per l’Opera.”
F: “Come già detto amo il posto in cui vivo, ma non avrei problemi a trasferirmi al nord per lavorare.
Ci sono molte città in cui vorrei vivere, ma il tutto inevitabilmente è legato al lavoro, e ai soldi (che mancano) necessari a mantenersi almeno nei primi mesi.”
Se avessi possibilità economiche o lavorative, sceglieresti di migliorare il luogo in cui sei nata o proveresti a realizzarti altrove?
G: “Inizialmente mi dirigerei altrove perché credo che crescere in luoghi diversi dal nostro sia utile, se non necessario, alla nostra formazione personale e professionale. Ma mi piacerebbe tornare in città, creare qualcosa di nuovo che sia un polo aggregativo per le persone che in qualche modo si sentono fuori posto, in questa città che sembra sempre nelle mani (neanche troppo invisibili) di qualcun’altro.
Per dimostrare che “le città sono di chi le ama“, per citare il motto del CSOA Scurìa, e non di chi se ne appropria con la forza.”
F: “Sicuramente sceglierei di migliorare e investire sul luogo in cui vivo, anche se non sarebbe per nulla facile. In certe zone del meridione non sei tu in prima persona a decidere, ma ci sono fattori esterni che decidono per te. Alla luce di questo dico che sarei costretto a realizzarmi altrove, perché questa terra non vuole essere aiutata.”
Hai mai avuto esperienze lavorative gratificanti?
G: “Si, dal 2018, anno in cui ho concluso gli studi, ho avuto modo di lavorare per delle realtà che in Italia hanno la loro importanza. Ambienti in cui il lavoro funziona ed è vissuto come si dovrebbe. Probabilmente un ringraziamento per questo va fatto anche ai sindacati interni che hanno sempre fatto valere i diritti dei lavoratori delle Fondazioni per il quale ho lavorato.”
F: “No, non ho mai fatto lavori gratificanti, ma penso sia anche per il fatto di non essere laureato, quindi non posso storcere il naso e scegliere esattamente ciò che voglio fare. Ma farei qualsiasi lavoro, purché mi permetta di costruire la mia indipendenza.”
Pensi che la situazione economica italiana non aiuti i giovani nel processo lavorativo, oppure credi che siano le nuove generazioni ad impegnarsi poco per rendersi indipendenti?
G: “Penso che la situazione economica e lavorativa italiana sia tutt’altro che incoraggiante per i giovani. E anche per i meno giovani. A partire dalla formazione che fa letteralmente di tutto per allontanare lo studente dalla sfera lavorativa, impegnandolo in percorsi di studio infiniti e che non sono mai abbastanza per l’impiego. In altri paesi europei, ad esempio, l’alternanza scuola-lavoro non è sinonimo di “schiavismo gratuito”, ma è retribuita e finalizzata realmente all’assunzione. Quindi il percorso universitario diventa quello che realmente dovrebbe essere: un plus per le professioni che davvero lo richiedono e non condizione minima necessaria per fare qualsiasi lavoro.
In definitiva: i ragazzi di oggi non sono senza colpe, ma sono anche figli di un sistema che ostacola nella ricerca del lavoro e che di certo non favorisce l’inserimento di nuove risorse, che necessita di una riforma radicale e che non dovrebbe essere lasciata al caso, come quella attuale.”
F: “Anche questa è una strada senza uscita. Credo che in primis la “colpa” sia della situazione economica disperata dell’Italia, questo porta anche il più volenteroso dei giovani ad essere sfiduciato, a volte depresso, quindi a lasciar perdere definitivamente.
Ma tutta la colpa non può essere attribuita alla situazione generale: ci sono anche molti giovani “cresciuti male”, che non si sporcherebbero le mani con lavori umili, o che comunque, non avendo mai lavorato, non reggerebbero. Spesso sono i genitori che tengono i propri figli in una bolla, tenendoli lontani da lavori “duri” o poco gratificanti. E poi c’è la mancanza di umiltà dei ragazzi: vorremmo il massimo con il minimo sforzo, complice anche i modelli che la società propone.
È stato creato un loop da cui non si esce, se non andando a vivere altrove per sempre.”