Il 10 maggio ricorre l’anniversario dei “Bücherverbrennungen”, i roghi di libri avvenuti nel 1933, a pochi mesi dall’ascesa al potere di Hitler, a Berlino e in altre città tedesche. Quello avvenuto il 10° maggio 1933 viene considerato il più grande rogo di libri avvenuto nella storia occidentale: furono bruciati decine di migliaia di libri e con loro tutta la cultura considerata contraria o non funzionale alla propaganda nazista. Si può dire che a partire da questo momento la libertà di stampa in Germania verrà compressa con l’istituzione della censura, un sistema di controlli preventivi e generalizzati sulle opere, volto a impedire la pubblicazione e la diffusione di tutti gli scritti non conformi all’ideologia nazionalsocialista.
Al primo imperatore della Cina unificata viene attribuito uno dei primi incendi di libri. Si racconta che fossero stati bruciati libri di storia, filosofia, poesia, ma non quelli sulla scienza o l’agricoltura. Il fine che Qin Shi Huang si proponeva di raggiungere era azzerare la memoria storica: la storia cominciava con lui e con il suo impero.
In età moderna la chiesa si fece promotrice della distruzione pubblica di tutti quei libri che l’autorità religiosa percepiva come immorali o avversi alla fede cattolica. Si ricorda il famoso “falò delle vanità” del 7 febbraio 1497, quando furono bruciati pubblicamente, dal frate domenicano Savonarola e dai suoi seguaci, migliaia di oggetti e libri considerati peccaminosi. Per i papi e i sovrani della prima età moderna era inconcepibile che la stampa fosse libera e consideravano il potere censorio un proprio naturale attributo. La censura preventiva, che veniva esercitata attraverso l’indice dei libri proibiti e l’inquisizione, fu introdotta nel 1487, in seguito all’invenzione del torchio a caratteri mobili e inasprita dopo la riforma luterana del 1517. La Chiesa ordinerà “il sequestro e il pubblico bruciamento” della Bibbia stessa, nelle sue traduzioni nazionali: tradurre la Bibbia dal latino significava rifiutare l’autorità ecclesiastica e il suo necessario potere di mediazione.
Il sovrano Giacomo I Stuart, pima di sciogliere il parlamento nel 1614, inasprì il licensing system, il ssitema di censura preventiva inglese, e organizzoò roghi di libri nelle piazze, perseguitando in particolare i cattolici, in seguito alla fallita congiura delle polveri ordita ai suoi danni.
Come si è visto, nel corso della storia il rogo di libri ha avuto diversi significati, in quanto sono infinti i valori chei libri possono racchiudere. Il rogo dei libri aveva un duplice scopo per i nazisti; In primo luogo, era un potente atto simbolico volto a dimostrare il loro controllo assoluto sulla diffusione delle idee. Distruggendo i libri, cercavano di promuovere la loro versione della storia, purificandola dalla “degenarazione”. In secondo luogo, il rogo dei libri serviva da monito per intellettuali, accademici e artisti. L’obiettivo era quello di intimidire e mettere a tacere chiunque osasse mettere in discussione o resistere al regime nazista.
La pratica di bruciare i libri è necessariamente connessa al concetto di libertà di stampa. Mario Borsa, un giornalista italiano arrestato e costretto al confino in seguito alla pubblicazione, nel 1925, del suo libro intitolato “La libertà di stampa”, il quale rievocava la storia della libertà di stampa nei principali paesi occidentali, osservava: “La libertà di stampa è l’anima e l’animatrice di tutte le libertà.” La stampa soprattutto per Borsa esercita un ruolo fondamentale: quello di sorvegliare e vigiliare sull’operato del governo e per questo è necessario che la stampa sia libera e indipendente da quest’ultimo. I regimi totalitari avevano una propria idea di cosa fosse una stampa libera; Per Lenin la stampa sarebbe stata effettivamnete libera solo con la soppressione della dipendenza della stampa dal capitale e dai valori borghesi. Per questo, conquistato il potere, Lenin soppresse immediatamente i giornali borghesi. Il regime fascista, al pari di quello comunista, considerava il proprio giornalismo veramente libero. “Il giornalismo italiano è veramente libero perché serve soltanto una causa e un regime” diceva Mussolini in un discorso pronunciato il 10 ottobre 1928, in seguito all’adozione di una serie di leggi che limitavano la libertà di stampa attraverso il potere discrezionale dei prefetti di sequestrare i giornali.
Si potrebbe pensare che attraverso digitalizzazione in epoca contemporanea della conoscenza scritta queste misure non possano influire sulla trasmissione e la diffusione delle opere, che oggi avviene molto più velomente e incontra limiti di spazio infinitamente minori rispetto al passato. Non si deve dimenticare però che la repressione della libertà avviene oggi attraverso il blocco della rete e l’uso della tecnologia a scopi propagandistici. I governi di regimi autoritari come quello di Russia e Iran hanno bloccato in diverse occasioni l’accesso a internet in mdo da impedire e reprimere i movimenti pro democrazia, le manifestazioni di dissenso o per i diritti umani. Freedom House, nel rapporto sulla libertà di internet nel mondo, pubblicato nel 2019, parla di “crisi dei social media”. “I regimi repressivi […] hanno sfruttato gli spazi non regolamentati delle piattaforme di social media, per convertirli in strumenti di distorsione politica e di controllo della società.”
Il rogo dei libri del 10 maggio 1933 rimane un ricordo ossessivo del potere distruttivo della censura e dell’importanza di difendere la libertà intellettuale. È una lezione su come le società devono rimanere vigili nel salvaguardare i valori democratici e la libertà di espressione. È un monito che ci ricorda che la soppressione delle idee e l’imposizione di un’unica narrazione possono avere conseguenze di vasta portata per il mondo intero.