La regione del Nagorno-Karabakh è situata nella zona montuosa del Caucaso meridionale, tra il mar Nero e il mar Caspio. rappresenta una delle questioni più complesse e controverse nell’area dell’ex Unione Sovietica. La storia di questa regione è intrisa di conflitti etnici, lotte per l’autonomia e scontri sanguinosi tra Armenia e Azerbaijan.
Settimane dopo l’allarme lanciato dall’Armenia sull’aumento della mobilitazione presso i confini di truppe e mezzi militari dell’Azerbaijian, il timore di una ripresa dei conflitti si è concretizzato.
Le truppe azere hanno lanciato quella che è stata definita ufficialmente come “un’operazione militare antiterrorismo per demilitarizzare il Nagorno-Karabakh”. L’obiettivo dichiarato di questa missione, lanciata il 19 settembre in seguito all’esplosione di alcune mine in quest’area che hanno ucciso due civili e quattro soldati azeri, è quello di assicurare il disarmo e il ritiro delle truppe armene dalla regione e la dissoluzione del governo locale, con il fine di raggiungere la pace.
Il Nagorno-Karabakh è un territorio situato geograficamente all’interno dei confini dell’Azerbaijian, e in quanto tale riconosciuto dalla comunità internazionale come facente parte dello stato, anche se rappresenta una regione separatista identificata dalla maggioranza armena che la abita come Repubblica di Artsakh. Si tratta di un’estensione territoriale statale dell’Armenia al di fuori dei propri confini nazionali, che viene identificata come exclave se vista dal lato della sovranità armena ed enclave se vista dal lato azero.
Prima dell’ascesa dell’Unione Sovietica, il Nagorno-Karabakh era abitato principalmente da armeni, ma faceva parte dell’Azerbaijan, che a sua volta faceva parte dell’Impero Russo.
Con la creazione dell’Unione Sovietica, il Nagorno-Karabakh divenne una regione autonoma all’interno della Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaijan, sebbene la popolazione fosse prevalentemente armena.
Con l’indebolimento dell’Unione Sovietica e il crescente nazionalismo etnico emersero tensioni tra la popolazione armena del Nagorno-Karabakh e il governo azero. Queste tensioni culminarono nella dichiarazione di indipendenza del Nagorno-Karabakh del 1988, la quale scatenò una guerra iniziata nel 1992 e terminata nel 1994. Questo conflitto causò migliaia di morti e centinaia di migliaia di profughi.
La guerra si concluse con una tregua firmata nel 1994, che lasciò il Nagorno-Karabakh sotto il controllo delle forze armene, insieme ad una serie di territori non facenti parte del Nagorno-Karabakh che permettevano di unire l’exclave con il resto del territorio nazionale.
Dopo decenni di relativa stabilità, la regione del Nagorno-Karabakh è tornata sotto i riflettori internazionali nel settembre 2020, quando è scoppiato un nuovo conflitto tra Armenia e Azerbaijan.
In seguito a 44 giorni di pesanti combattimenti e bombardamenti e 6500 vittime, il conflitto si è congelato grazie ad una tregua negoziata dalla Russia.
Tale tregua ha portato ad una nuova divisione del territorio con l’acquisizione da parte dell’Azerbaijan del controllo di alcune aree precedentemente controllate dagli armeni. Come parte dell’accordo di cessate il fuoco, la Russia ha inviato truppe di pace nella regione per mantenere la stabilità e l’equilibrio, in particolare nel territorio del cosiddetto corridoio di Lachin, una striscia di terra che rappresenta l’unico collegamento per il transito di persone e merci dall’Armenia all’exlave e viceversa.
Con lo scoppio della guerra in Ucraina, la Russia ha lasciato scoperto il territorio del corridoio di Lachin, che nel dicembre dell’anno scorso è stato completamente bloccato da un gruppo che secondo molte fonti sarebbe affiliato al governo dell’Azerbaigian. Il corridoio di Lachin, l’unica strada che permette all’Armenia di portare cibo, energia e aiuti alla comunità armena in Nagorno Karabakh è stato infatti bloccato il 3 dicembre. Prima di dicembre, transitavano per il corridoio 400 tonnellate di merci al giorno. Questo blocco non è stato effettutato dall’esercito, ma da persone in abiti civili, presunti ambientalisti azeri in protesta contro le attività minerarie dell’Armenia. Nel Nagorno-Karabakh tutt’ora le scuole chiuse, i supermercati sono vuoti, gli ospedali non possono funzionare a pieno regime perché tra le merci che mancano ci sono molte categorie di medicinali. Il governo azero ha sostenuto che gli ambientalisti stessero protestando liberamente a difesa dell’ambiente, anche se alcune fonti, come Human rights watch, hanno sollevato dubbi su tale modalità di protesta, dal momento che essa ha impedito ai cittadini armeni dell’exclave di accedere a servizi essenziali e ai beni primari, oltre che la libera circolazione e affermano che il governo azero abbia in maniera indiretta e attraverso questo gruppo fiaccato la popolazione locale prima di iniziare a combatterla ad armi impari.
Gli obiettivi principali del governo azero, dal punto di vista geopolitico, sono: la riconquista del Nagorno-Karabakh e le province contigue perse nella guerra del 92, la costruzione di un corridoio che passi attraverso il territorio armeno, ma che sia fuori dalla sua sovranità e colleghi il territorio dell’Azerbaigian a quello della repubblica autonoma di Naxçıvan, che è un exclave azera in Armenia e confina per un breve tratto con la Turchia.
La contesa tra Azerbaijan e Armenia offre una dimensione di confronto anche per la Russia e la Turchia. Diversamente da quanto avvenuto in Libia e in Siria, si tratta in questo caso di uno scontro andato in scena in pieno spazio sovietico. È un sintomo che l’egemonia russa nel Caucaso sta diminuendo, lasciando spazio ad altre potenze a tentare di esercitare la propria influenza nella zona.
Il progetto geopolitico di Erdogan è quello di imporre la propria influenza nell’area dell’Asia centrale, scacciare i russi dal medio-oriente creando un unico corridoio turcofono e filoturco che includerebbe Turchia, Azerbaijian, Turkmenistan, Kazakhistan in un unico centro di potere. Il confronto turco-russo non si gioca dunque solo nella regione del Nagorno-Karabakh, ma piuttosto nel controllo dell’Azerbaijan. Quest’ultima da una parte è una ex repubblica sovietica ancora legata a Mosca da forti legami di carattere energetico, commericiale, militare e culturale, dall’altra costituisce una delle sei repubbliche turche indipendenti, ovvero quegli stati abitati da una popolazione a maggioranza turcofona e legate da vincoli etnoculturali con la Turchia.
Per quanto riguarda i rapporti della Russia con l’Armenia, questi si sono allentati di recente, come testimoniato in un’intervista de La repubblica pubblicata ad agosto, in cui il primo ministro Pashinyan afferma che l’archietettura di sicurezza dell’Armenia si basava soprattutto sulla Russia, e che questo aveva costituito un errore strategico da parte del governo armeno in quanto la garanzia di protezione offerta da Mosca è venuta meno con lo scoppio della guerra in Ucraina.
La Russia resta l’attore più importante nel Caucaso, anche se quest’ultimo successo dell’Azerbaijan segna un consolidamento del potere turco nell’aerea. Dal punto di vista diplomatico tuttavia la Russia si impone nuovamente nel Caucaso come arbitro, rilanciando il proprio ruolo attraverso la mediazione diplomatica sia nell’ultimo scontro, sia in quello del 2020. La Russia sta assumendo una nuova strategia diplomatica che consiste nel non schierarsi direttamente nel conflitto con i propri mezzi militari: nella federazione russa vivono infatti 2 milioni di armeni e 2 milioni di azeri e schierarsi militarmente significa prendere una posizione anche nei confronti della propria popolazione.
La guerra iniziata nel 2020 offre una dimensione di confronto anche tra l’Iran e la Turchia nello scontro per il controllo del Caucaso negli scambi tra l’Europa e l’Asia centrale. I motivi principali sono due: il timore della leadership iraniana del risveglio di un nazionalismo turanico nella propria minoranza azera e il timore per la costruzione del corridoio di Naxçıvan, il quale impedirebbe contiguità territoriale tra l’Iran e l’Armenia.
Le esercitazioni congiunte con gli Stati Uniti sono iniziate l’11 settembre e sarebbero dovute durare fino al 20 settembre. La guerra non ha però aspettato la fine delle manovre: Il 19 settembre i droni dell’Azerbaijian hanno iniziato a bombardare il Nagorno Karabakh. Dopo una giornata di intensi bombardamenti che hanno colpito la capitale Stepanakert e altre posizioni armene, l’esercito dell’Azerbaijian ha ottenuto in poco tempo il controlllo di una serie di posizioni strategiche.
Il Nagorno-Karabakh si è arreso alle truppe dell’Azerbaigian in seguito all’operazione resa così veloce sia dalla superiorità militare azera (la quale si realizza principalmente grazie ai droni di fabbricazione israeliana), sia dal fatto che né l’Armenia, né la Russia sono intervenute direttamente nel conflitto.
In seguito alla resa del Nagorno-Karabakh è stato firmato nuovo cessate il fuoco, mediato ancora una volta dalla Russia, che, anche se non è stata in grado di proteggere i territori che aveva promesso di controllare con operazioni di peace-keeping, si erge nuovamente a controllore di quest’aerea attraverso la diplomazia.
In seguito alla resa e alla firma del cessate il fuoco, l’Armenia si è detta pronta ad accogliere gli sfollati, come annunciato dal primo ministro Pashinyan, i quale ha confermato che il suo Paese stia preparando una sistemazione per decine di migliaia di persone.