Seppur in ritardo, ho finalmente trovato il tempo di guardare “C’è ancora domani”, il film di Paola Cortellesi uscito più di un anno fa. A spingermi verso la visione è stata una curiosa coincidenza: l’esplosione del movimento delle cosiddette “traditional wives” sui social, in particolare su TikTok. Il legame tra questo fenomeno socio-culturale, con le sue implicazioni socio-politiche a tratti inquietanti, e un film che riflette sulla condizione della donna nell’Italia del secondo dopoguerra, potrebbe non essere immediato, ma è senza dubbio di grande attualità. Il film della Cortellesi, con cui l’attrice ha segnato il proprio debutto (di grande successo) nei panni di regista, non si limita a ritrarre la vita quotidiana nella Roma del dopoguerra, ma affonda il coltello nelle contraddizioni e nelle ingiustizie di un’epoca in cui il ruolo della donna era ancora rigidamente confinato tra le mura domestiche. Delia, la protagonista interpretata dalla stessa Cortellesi, rappresenta l’antitesi della donna remissiva e sottomessa tipica degli anni ’50, accusata ripetutamente di avere un solo problema, ovvero, quello di “non saper stare al proprio posto”. Madre di tre figli e moglie di un uomo-carceriere autoritario e violento, Delia si batte quotidianamente per tenere unita la famiglia, scontrandosi con la miseria economica e la mentalità maschilista imperante. Il film esplora con sensibilità e realismo le sfide che le donne dovevano affrontare per ritagliarsi un posto nella società, per evitare di essere sottomesse al ruolo di “serve” del focolare domestico (un aspetto che, tristemente, viene a più riprese messo in luce dalla regista) : dalla lotta per l’emancipazione economica, all’accesso negato all’istruzione, fino alla subordinazione all’autorità maschile, sia in casa che nel mondo del lavoro. Nel corso del film, lo spettatore viene cullato dall’idea di un colpo di scena imminente, che sia un finale tragico o un lieto fine all’insegna dell’amore trionfante. Tuttavia, queste aspettative vengono sovvertite: la vera forza d’animo della protagonista emerge non nella fuga o nella ribellione, ma nell’accettazione della propria condizione. Non si tratta di rassegnazione, ma di una scelta consapevole: la protagonista guarda al futuro, intuendo una rivoluzione imminente che porterà alla progressiva liberazione della donna dalla sua condizione di subalternità. Questo finale aperto lascia spazio a una riflessione sul ruolo della donna nella società e sul suo potenziale di emancipazione.
La storia di Delia, comune a quella di tante altre donne, si conclude su un episodio emblematico: è il 10 marzo 1946, quando le donne in Italia ottengono per la prima volta il diritto di voto e, a distanza di quasi 80 anni, malgrado i progressi fatti, gli eventi raccontati dalla Cortellesi continuano ad essere di forte attualità.
Essere madri a tempo pieno e, allo stesso tempo, portare avanti una carriera professionale rappresenta una sfida complessa per gran parte delle donne in Europa e nel mondo. In alcune nazioni europee, come Danimarca e Svezia, la situazione sembra essere più avanzata sul fronte famiglia e infanzia. Questi paesi hanno infatti investito nella creazione di infrastrutture statali a supporto delle madri lavoratrici, offrendo servizi come asili nido e scuole materne a prezzi accessibili, con orari flessibili e garanzie per il rientro al lavoro dopo la maternità.Tuttavia, in Italia la questione presenta aspetti più critici. I dati più recenti sull’occupazione nella fascia d’età tra i 20 e i 64 anni evidenziano un divario di genere significativo, soprattutto in ambito professionale. Il tasso di occupazione femminile in Italia si attesta al 53,1%, ben al di sotto della media europea, di fronte al 72,9% per gli uomini. Questo divario si traduce in concrete difficoltà per le madri italiane, che spesso si trovano a dover scegliere tra la carriera e la famiglia, a causa di un supporto statale insufficiente e di una cultura del lavoro ancora poco flessibile.
Negli Stati Uniti, in risposta al diffuso malessere di molte giovani donne, è sorto un movimento che ha riscosso grande successo sui social: le “Traditional Wives”. Queste donne propugnano un ritorno ai valori tradizionali e al ruolo domestico della donna, in contrapposizione al femminismo di stampo più moderno. Ma cosa spinge questo ritorno al passato? Le motivazioni sono diverse e complesse. Alcune donne si sentono insoddisfatte del modello di donna emancipata e “career-oriented”, percependolo come troppo stressante e privo di senso. Altre ricercano una maggiore stabilità e sicurezza nella vita familiare. Altre ancora sono attratte dall’idea di una vita più semplice e autentica, basata sui valori tradizionali. Queste influencer, spesso giovani e attraenti, condividono video che le ritraggono intente in faccende domestiche come cucinare, pulire e accudire la famiglia. L’estetica è curata, quasi vintage, con abiti femminili e acconciature retrò. I video sono spesso accompagnati da musica soft e da una narrazione pacata e serena. Sin dalla sua comparsa, il movimento delle “Traditional Wives” ha sollevato un acceso dibattito: le sue sostenitrici vengono spesso accusate di perpetuare stereotipi di genere e di rinnegare le conquiste femminili ottenute nel corso degli anni. In particolare, si critica la loro promozione di valori come la “sottomissione” al partner, visti da molti come un ritorno ad un passato conservatore e patriarcale. Tuttavia, una parte dell’opinione pubblica interpreta questo movimento in modo differente: le motivazioni socio-culturali che animano le “Traditional Wives” vengono viste come una nuova forma di femminismo, che valorizza la libera scelta di dedicarsi alla famiglia e alla cura della casa. Al di là delle legittime critiche e gli aspetti conturbanti di un movimento che rischia di semplificare eccessivamente le complesse questioni di genere, attribuendo alla lotta femminista la responsabilità della dissoluzione della famiglia contemporanea (secondo le previsioni statistiche più recenti, i divorzi potrebbero raggiungere il 78,5% entro il 2030), le “Traditional Wives” sembrano rispondere a un diffuso bisogno di ritorno a valori più semplici e autentici, in contrapposizione con la frenesia e l’incertezza della società moderna.