IL FERMENTO CULTURALE DI FIN DE SIÈCLE
Sono gli anni delle avanguardie storiche intorno all’inizio del XX secolo: espressionismo, cubismo, futurismo, suprematismo, astrattismo…la lista potrebbe continuare all’infinito. Gli artisti e gli intellettuali in genere sono incalzati dal fermento di fin de siècle: Einstein pone le basi per la teoria della relatività, Freud intraprende i primi studi sull’inconscio, Nietzsche inizia a parlare del Superuomo, i primi rudimentali aeroplani cominciano a solcare i cieli europei, il musicista austriaco Schönberg teorizza il metodo dodecafonico e compone al di fuori del classico sistema tonale, Marinetti diffonde il mito della Modernità e della guerra quale “igiene del mondo”…il primo conflitto mondiale è alle porte. In questo scenario variegato l’arte prende delle pieghe inaspettate e anticonformiste rispetto ai rigidi dettami accademici che avevano definito la creazione artistica nei secoli precedenti. Tra i primi ribelli ci fu Gustave Courbet, pittore francese che in occasione dell’Expo Universelle parigina del 1855 si ribellò ai giudici che avevano rifiutato di esporre le sue opere affittando uno spazio personale per ospitare la propria esibizione, il cosiddetto “Pavillon du Réalisme”. Il Realismo in arte, così come in letteratura (se richiamiamo alla memoria i testi di Verga), produce delle immagini schiette e autentiche, senza vaneggiare in un eccessivo sentimentalismo, della vita della gente comune, principalmente delle località rurali della Francia dell’epoca: pastori, contadini, spigolatrici, figure intrise di una spiritualità intensa e spontanea. Courbet forse non ne era consapevole, ma il suo gesto rivoluzionario segnò un punto di non ritorno per l’evoluzione dell’arte da quel momento in poi. Gli artisti iniziarono a sciogliere i vincoli che li avevano tenuti assoggettati all’accademia, uscirono dalle botteghe imbracciando tavolozza e cavalletto per dedicarsi ad una pittura en plein air che riuscisse a catturare l’istante fuggevole dell’impressione luminosa attraverso il colore. I soggetti stessi si liberarono da rigidi contorni e regole compositive precostituite per dare vita a immagini vibranti e dense di un travolgente dinamismo. Pensiamo a quante volte di fronte ad una tela di Monet o Van Gogh ci siamo sentiti traditi dai nostri stessi sensi e increduli abbiamo strabuzzato gli occhi nel tentativo di catturare l’immagine che sembrava erompere dai confini bidimensionali della tela per spargersi nell’atmosfera tutt’intorno. La rivoluzione formale che gli artisti stavano sperimentando si reggeva sulla scorta di una sensibilità profondamente mutata: non bisogna dimenticare che questi sono gli stessi anni in cui viene fondata la Società Teosofica di Madame Blavatsky, una filosofa e medium di origini russe, studiosa di esoterismo e occultismo e leader di un movimento che si proponeva di guidare l’umanità alla verità assoluta attraverso il contatto con gli “spiriti superiori”. La diffusione rapidissima delle dottrine teosofiche fu tra i fattori che influirono maggiormente sul trasporto e la suggestione esperita dagli intellettuali europei verso le “questioni dello spirito” che si opponevano al materialismo della società che, nel frattempo, faceva i conti con le conseguenze della rivoluzione industriale.
GLI ESORDI DELL’ASTRAZIONE: KANDISKY
Gli effetti di questo tumulto culturale non tardarono a farsi sentire anche a est dell’Europa. Nel 1866 nasceva a Mosca Vasilij Kandinskij, figlio di una nobildonna moscovita e di un commerciante di tè di lontane origini siberiane. Vasilij era a tutti gli effetti un borghese, aspetto della sua educazione che non si vergognò di mostrare anche più avanti, tutte le foto che lo ritraggono all’opera nel suo studio lo immortalano vestito di tutto punto con la cravatta stretta al collo e il portamento fiero e altero di un principe russo. La sua infanzia trascorreva dolcemente tra il lusso e gli agi che gli procuravano i suoi buoni natali e la sua carriera da promettente avvocato era già consolidata quando nell’anno 1896 a Mosca venne ospitata una mostra che esponeva i capolavori degli impressionisti francesi. In quell’occasione Vasilij rimase folgorato da un dipinto della serie dei “covoni” di Monet, incantato dal fascino della pennellata corposa e dalle macchie di colore che freneticamente si disponevano sulla tela a ricostruire l’impressione del soggetto, si persuase che da quel momento la sua vita non sarebbe proseguita sul binario per lui tracciato. Quattro anni dopo, nel 1900, aveva abbandonato la giurisprudenza e rinunciato alla cattedra che gli era stata offerta in università, e si era trasferito a Monaco di Baviera, pronto ad imbarcarsi nell’avventura che lo avrebbe consacrato quale padre dell’arte astratta. Vasilij aveva più di trent’anni quando venne ammesso all’accademia di pittura del maestro Franz Von Stuck, in quell’occasione conobbe l’amico e co-fondatore de “Il Cavaliere Azzurro” Paul Klee che gli sarebbe stato a fianco negli anni a venire, e si immerse nel clima brioso dell’Europa di quegli anni. La città tedesca gli si addiceva: si respirava un’aria di rinnovamento dovuta alla fioritura di istituti indipendenti e circoli di artisti che si staccavano dall’accademia ufficiale per abbracciare il cambiamento che presentivano nell’atmosfera. Vasilij stesso fu tra i principali animatori del progetto de “Il Cavaliere Azzurro” (o “Der Blaue Reiter” in tedesco). Il gruppo fondato nel 1912, nonostante la breve vita (si estinse in concomitanza con lo scoppio della I guerra mondiale) fu al cuore dell’espressionismo tedesco, un movimento originatosi a Dresda, che guardava all’arte come linguaggio votato all’espressione della soggettività e del sentimento attraverso il colore puro e squillante. Gli anni dell’avventura del Cavaliere Azzurro furono quelli in cui Vasilij, sulla scorta della suggestione provocata dall’approfondimento delle teorie teosofiche, cominciò a maturare dentro di sé la consapevolezza della necessità di un’arte Nuova che si rivolgesse allo Spirito e che si fruisse attraverso gli occhi interiori dell’anima. L’Europa di allora, come sostiene Kandinskij nel testo de “Lo Spirituale nell’arte” pubblicato nel 1911, non era ancora pronta alla rivoluzione che lo avrebbe traghettato al confine tra arte figurativa e astratta e <>.
IL PRIMO ACQUERELLO ASTRATTO
Nel corso del primo decennio del 1900 Vasilij dipinge senza tregua. affascinato dal folklore e dalla produzione artistica della sua terra natale inizia a realizzare immagini di sapore intensamente nostalgico popolate dai protagonisti delle fiabe russe: cavalieri sfarzosamente paludati, principesse dalle tiare rilucenti, la terribile Baba Yaga, la strega russa divoratrice di bambini che dimora in una “izba”, una casetta che si regge su zampe di gallina… le immagini iniziano progressivamente a sfumarsi, i contorni dei soggetti sono più difficilmente individuabili e la tavolozza del pittore vira su nuance di colori sempre più accesi e antinaturalistici, il passo da questa stagione creativa all’astrazione pura è breve. Kandinskij, tuttavia, non è ancora convinto del passo successivo e teme che un’arte senza referenti nella realtà, senza soggetto immediatamente riconoscibile, corra il rischio di diventare un ornamento privo di significato, un oggetto che si appende sulla parete per colmare un vuoto. È il 1912 quando realizza il suo primo acquerello astratto, un curioso evento prelude all’elaborazione di quest’ultimo: una sera, di ritorno al suo studio, Vasilij sarebbe rimasto folgorato da una tela appoggiata alla parete casualmente riposta al contrario che aveva trovato <> e che lo aveva convinto definitivamente che <<l’oggetto nuoceva ai suoi quadri>>.
ASTRAZIONE LIRICA E ASTRAZIONE GEOMETRICA
Con il termine astrazione dunque, come abbiamo appurato, si fa riferimento alla corrente artistica forse più dirompente del 1900 a cui si attribuisce il merito di aver capovolto e sconfessato la millenaria concezione della pittura quale “imitazione della realtà”. Come afferma Kandinskij le opere non hanno mero valore descrittivo della realtà esterna ma è necessario che si originino a partire da quella che lui definisce “necessità interiore”, il bisogno interiore di descrivere l’anima delle cose, che determina l’origine della forma. Tuttavia, parlare di astrazione senza tenere conto delle sfaccettate rielaborazioni personali, risulta un po’ approssimativo. Possiamo discernere principalmente due vie all’astrazione: lirica e geometrica. La prima fa riferimento alla predisposizione poetica dell’artista che imprime sulla tela, attraverso forme e colori in libertà, il proprio universo interiore. Il lirismo commovente che qualifica le opere di questa categoria trae ispirazione dalla più “astratta” delle espressioni artistiche: la musica. La pittura, dal canto suo, deve riuscire a comporre delle “melodie visive” in cui i colori e forme si articolino armoniosamente sulla tela come delle note sul pentagramma. La seconda, d’altra parte, è una variante dominata da un rigoroso geometrismo, espressione di un controllo formale assoluto e di un intenso idealismo che si pone alla base dell’elaborazione, artistica e teorica, di artisti quali Kazimir Malevic, padre del Suprematismo russo (ricordiamo la sua tela del 1915 “quadrato nero su sfondo bianco” che fu spunto di riflessione per gli artisti Minimal nei decenni successivi) o Piet Mondrian, l’olandese le cui scacchiere geometriche in cui si alternano quadrati rossi, gialli e blu sono inconfondibili.
LA TEORIA DEI COLORI
Il testo de “Lo spirituale nell’arte” è un testo teorico di fondamentale importanza, da una parte ci aiuta a tracciare il percorso che culminerà nell’astrazione pura attraverso le ponderazioni personali dell’artista, d’altra parte dimostra l’intenso spiritualismo e misticismo di derivazione teosofica che informa l’arte astratta. Kandinskij a Monaco rimane affascinato dalla lettura dei testi di Rudolf Steiner, all’epoca segretario della sezione tedesca della società teosofica, circa la teoria dei colori. Nel testo sopracitato Kandinskij riflette sull’uso del colore che può avere principalmente due effetti: uno fisico, superficiale e passeggero che viene registrato dai sensi, uno psichico che produce una vibrazione interiore attraverso la quale l’impressione del colore arriva all’anima. Kandinskij descrive i colori in base alle sensazioni e alle emozioni che suscitano nello spettatore occupandosi prima dei colori primari (giallo, rosso e blu) e secondari (arancione, viola e verde) e associandoli a dei corrispettivi sonori secondo una logica sinestetica.
IL GIALLO << tipico colore terreno, irraggia e sembra quasi avvicinarsi a chi l’osserva abbagliandolo… Può essere paragonato a un eccesso di furore, alla cieca follia e frenesia… Musicalmente il giallo emette un suono paragonabile a quello di una tromba acuta>>
IL BLU << È il tipico colore del cielo. Andando molto in profondità sviluppa l’elemento della quiete. Quanto più è profondo, tanto più fortemente richiama l’uomo verso l’infinito, suscita in lui la nostalgia della purezza e infine del sovrasensibile… il blu scuro somiglia un violoncello e, diventando sempre più cupo, ai suoni meravigliosi del contrabbasso; nella sua forma profonda, solenne, il suono del blu è paragonabile ai toni gravi dell’organo>>
IL VERDE << si ottiene a partire dall’unione di giallo e blu dove si raggiunge un equilibrio ideale tra questi due colori opposti… Il verde assoluto è il colore più calmo che esista: esso non si muove in nessuna direzione e non ha alcuna nota di gioia, di tristezza, di passione, non desidera nulla, non aspira a nulla. È il colore dell’estate, quando la natura ha superato la primavera e si immerge in una quiete soddisfatta di sé… Musicalmente il verde assoluto può essere paragonato ai toni quieti, ampi, di media profondità, del violino.>>
IL ROSSO << È un colore tipicamente caldo, senza limiti, agisce interiormente come un colore assai vivace, acceso, inquieto e genera una forte nota di un’energia immensa… ricorda in campo musicale il suono delle fanfare in cui sia presente anche la tuba: tono ostinato, molesto, forte.>>
ACCORDO RECIPROCO
Mi piacerebbe concludere prendendo in considerazione una delle ultime tele realizzate dall’artista: l’opera si intitola “accordo reciproco” ed è datata al 1942, a soli due anni dalla morte avvenuta il 13 dicembre 1944. Nel 1933 Kandinskij si trasferisce a Parigi nel tentativo di sfuggire alle forze del Regime Nazista che condannavano l’arte astratta e propugnavano l’affermazione di un’arte che si facesse serva della propaganda politica. A Parigi vive un periodo di relativo isolamento, d’altronde molti dei colleghi con cui aveva condiviso l’esperienza Monacense erano morti combattendo tra le file dell’esercito. L’astrattismo è stato superato e il cuore pulsante dell’avanguardia si sta progressivamente spostando oltreoceano, a New York, dove i frutti delle sue sperimentazioni saranno colti da Jackson Pollock, padre della corrente dell’espressionismo astratto. Il dipinto è di grande formato e testimonia il passaggio consolidato ad un’astrazione di natura geometrica: due sagome triangolari dominano le estremità della tela interagendo con fantasiose forme amebiche che volteggiano nello spazio. Una danza biomorfa, uno slancio contro la mortificazione di un paese oppresso dalle forze naziste, una rivendicazione contro una società che arriverà a comprendere il contributo culturale dell’artista soltanto molti decenni più tardi.