Il potere d’acquisto rappresenta la quantità di beni e servizi che una certa quantità di denaro può comprare. Quando il potere d’acquisto diminuisce, significa che, con lo stesso ammontare di denaro, è possibile acquistare meno beni e servizi rispetto al passato. Questo fenomeno è strettamente legato all’inflazione, che rappresenta l’aumento generale dei prezzi nel tempo (cibo, energia elettrica, carburanti, ecc.) e dei servizi (un taglio di capelli, un biglietto del treno, ecc.).Non riguarda quindi il prezzo di singoli prodotti ma interessa molti beni e servizi, per questo si dice che l’inflazione riduce il valore della moneta nel tempo.

Cento euro oggi non valgono come cento euro domani

  1. L’abbassamento del potere d’acquisto dal 1990 ad oggi.

E’ un fenomeno che ha coinvolto molte economie nel mondo, Italia inclusa. Questo fenomeno ha attraversato diverse fasi , influenzate da vari eventi economici e politici. Nei primi anni ’90, l’Italia affrontava un periodo di alta inflazione. La svalutazione della lira e le crisi economiche globali contribuirono a ridurre il potere d’acquisto. Durante questo decennio, furono implementate diverse riforme economiche, tra cui l’adesione ai criteri di Maastricht per entrare nell’Unione Monetaria Europea. Questo portò a un controllo più stretto dell’inflazione.

  1. L’ingresso nell’eurozona e l’introduzione dell’euro nel 2002.

Nei mesi immediatamente successivi all’introduzione dell’euro come moneta fisica si verificarono delle conversioni dei prezzi di beni e servizi tra valute nazionali e moneta unica a volte distanti da quelle ufficiali. In alcuni mercati italiani, soprattutto in quelli alimentari e dei beni di consumo (in cui si effettuano acquisti di basso valore assoluto), l’impressione è che spesso si sia convertito 1 euro con 1000 lire, riducendo di quasi della metà il valore reale della moneta; tuttavia nello stesso periodo si verificarono violenti fenomeni climatici che compromisero gran parte dei raccolti comportando il conseguente aumento dei prezzi di frutta e verdura che la gente, invece, attribuì all’introduzione dell’euro. In altri, per esempio nel mercato dei servizi pubblici, si assistette all’applicazione di forti arrotondamenti su prezzi e tariffe. In altri ancora, per esempio nel mercato dei beni più durevoli (elettrodomestici, telefonia, hi-tech) si verificò una leggera diminuzione dei prezzi. La differenza tra tasso di conversione ufficiale dell’euro e quello praticato in alcuni mercati sviluppò intricate polemiche. Ci fu chi accusò le autorità monetarie di aver ignorato i meccanismi psicologici di scambio delle valute e quindi di aver creato un inutile aumento indiscriminato del livello generale dei prezzi. Le autorità monetarie si difesero sostenendo che le conversioni fra monete nazionali e euro a cambi diversi da quelli ufficiali furono statisticamente ininfluenti e che, sotto il profilo morale, furono dovuti a speculazione facilitata dalla scarsa trasparenza e dallo scarso controllo dei mercati.  Gli anni successivi videro una crescita economica lenta, con un aumento moderato dei salari che non sempre teneva il passo con l’aumento del costo della vita.

  1. La crisi finanziaria globale del 2008.

Le cause di questa crisi finanziaria divenuta poi economica sono molteplici: l’incremento dei prezzi delle materie prime, iniziato nei primi mesi del 2008 e che ha visto salire il petrolio a prezzi record, la crisi alimentare mondiale e l’aumento del prezzo del grano, un’elevata inflazione globale, la minaccia di una recessione già nata nel 1991 in America. Il protagonista indiscusso della crisi finanziaria del 2008 è stato il mercato immobiliare statunitense e la bolla finanziaria che si è sviluppata in questo settore. Il fattore scatenante è stato il sistema dei mutui, in particolare i mutui di bassa qualità ovvero mutui che venivano “regalati” a chiunque li richiedesse, senza coperture e garanzie che potessero controbilanciare il mutuo stesso. Tutto questo influì pesantemente sull’economia italiana, riducendo ulteriormente il potere d’acquisto. A partire dal 2013, ci fu una lenta ripresa economica. Tuttavia, l’aumento dei salari rimase debole, e l’occupazione precaria aumentò. Come conseguenza della disoccupazione, più di 81mila famiglie in Italia non hanno rispettato le scadenze delle rate del mutuo, e il 72% degli italiani hanno cambiato le abitudini di spesa, orientandosi verso i prodotti a basso costo e perdendo la fiducia nel sistema bancario.

  1. La pandemia COVID-19 e la crisi sanitaria globale del 2020.

Hanno avuto un impatto significativo sull’economia, riducendo il potere d’acquisto a causa della perdita di posti di lavoro e della riduzione del reddito per molte famiglie. L’emergenza sanitaria e le misure di lockdown hanno causato la riduzione dell’offerta di beni e servizi e di conseguenza un aumento dei prezzi. La pandemia ha anche causato un significativo decremento della domanda di beni e servizi a causa dell’aumento della disoccupazione e della conseguente riduzione del reddito per molte famiglie. Infine, le politiche monetarie e fiscali espansive attuate dal governo e dalla Banca d’Italia per sostenere l’economia durante la pandemia hanno aumentato la spesa pubblica e i prezzi. Dopo la prima fase emergenziale, si è accesso il dibattito sulle ripercussioni economiche e sociali della crisi e sulle misure più adeguate per mitigarne l’impatto. Sebbene abbia permesso di contenere il contagio, il distanziamento sociale ha determinato pesanti ripercussioni sull’attività economica e finanziaria del Paese che se ne avvale.Ove possibile, si è ovviato al fermo delle attività ‘in presenza fisica’ attraverso il lavoro da remoto (cosiddetto smart working). Tale soluzione organizzativa non è stata possibile applicarla in modo generalizzato: ne sono stati esclusi, ad esempio, alcuni comparti a stretto contatto con il pubblico del settore dei servizi (come turismo e ristorazione) e del settore industriale, dove il lockdown ha determinato  la chiusura di impianti e stabilimenti. Le misure restrittive alla mobilità individuale ha provocato, nell’immediato, il calo dei consumi (come nel caso, ad esempio, di turismo, commercio al dettaglio, trasporti, intrattenimento di massa). A questo si è aggiunto il cosiddetto effetto reddito: il rallentamento o la chiusura temporanea di alcune attività, infatti, ha determinato  un calo del reddito disponibile alle famiglie poiché molti lavoratori hanno subito  una riduzione della retribuzione oppure, nell’ipotesi peggiore, hanno perso il lavoro.

  1. Il conflitto russo-ucraino.

 Il conflitto scoppiato a febbraio del 2022 e la conseguente crisi energetica, hanno contribuito ad accrescere il prezzo delle materie prime alimentando l’inflazione ed erodendo il potere d’acquisto dei cittadini. La principale causa della perdita di potere d’acquisto degli italiani è l’impennata dell’inflazione, scaturita dalla guerra e proseguita con il rialzo dei prezzi energetici. Gli effetti della crisi a livello globale sono fortemente diseguali tra aree e settori, in base alla vicinanza al conflitto, alle dipendenze da petrolio, gas e altre commodity e, in generale, alle connessioni produttive e finanziarie con i paesi direttamente coinvolti nella guerra (Russia, Ucraina e Bielorussia). Tra le principali macroaree, l’Unione europea è quella più colpita, come segnalano il deprezzamento dell’euro e le perdite registrate nelle principali piazze finanziarie nei primi giorni del conflitto. La guerra sta amplificando le difficoltà nel reperimento di materie prime e materiali, in particolare per quelli che provengono dai tre paesi coinvolti. Questi paesi detengono, infatti, una quota mondiale elevata di numerose commodity: gas, grano, mais e olio di semi.

  1. Guerra Palestina-Israele

Il conflitto scatenato dall’aggressione perpetrata da Hamas contro Israele lo scorso 7 ottobre 2023 rappresenta un drammatico evento destinato a coinvolgere diversi attori internazionali e ad avere importanti ripercussioni globali. Sebbene ci sia ancora forte incertezza circa la durata della guerra e non sia ancora chiaro se questo conflitto possa rimanere localizzato o rischi di espandersi, gli eventi che hanno caratterizzato le ultime settimane hanno già generato importanti conseguenze economiche. Queste conseguenze potrebbero essere rilevanti, anche per l’Italia. Il nostro Paese, infatti, dipende in parte dal gas e dal petrolio arabo. Un’escalation del conflitto potrebbe avere conseguenze ancora più gravi per l’economia mondiale. In particolare, un blocco delle esportazioni di gas e petrolio da parte dei paesi arabi potrebbe provocare un aumento dei prezzi di queste commodities e una recessione globale. I prezzi di queste commodities potrebbero avere un impatto negativo sull’inflazione e sulla crescita.

  1. Inflazione

L’inflazione è un fenomeno che provoca un aumento generale dei prezzi di beni e servizi e perciò comporta una diminuzione del potere d’acquisto di una determinata valuta. Negli ultimi 30 anni l’inflazione cumulata ha eroso il 50% del potere d’acquisto e quindi è bene tenerne conto in prospettiva salariale e pensionistica. Senza crescita retributiva e rivalutazione delle pensioni la perdita del potere d’acquisto non permette di mantenere lo stesso tenore di vita. L’inflazione costante riduce il valore reale del denaro. Anche se i salari possono aumentare nominalmente, se l’aumento dei prezzi è maggiore, il potere d’acquisto diminuisce.L’inflazione elevata riduce il potere segnaletico dei prezzi rendendo più difficili le decisioni di consumo e investimento di famiglie e imprese. Arricchisce e impoverisce le persone a caso, a seconda della condizione in cui si trovano in quel momento. Aumenta i tassi di interesse rendendo più costosi gli investimenti. Nel lungo periodo è associata a una ridotta crescita economica: la torta a disposizione di tutti sarà più piccola. Le cause dell’inflazione possono essere diverse, tra le più frequenti troviamo: l’aumento dei costi di produzione, le politiche monetarie espansive e un eccessivo disequilibrio tra domanda e offerta.

  1. Crescita salariale

In Italia si guadagna meno che nel 1990. Se i salari reali, vale a dire i salari rapportati ai prezzi, sono diminuiti praticamente in tutti i Paesi Ue, è l’Italia a portare la maglia nera. Lo evidenzia la classifica Ocse, l’organizzazione che riunisce le economie industrializzate, che si basa sui dati Eurostat sui redditi medi dei Paesi membri dell’Unione Europea: in Italia, trent’anni fa, si guadagnava di più rispetto a oggi. I livelli salariali in termini reali in Italia sono rimasti pressoché invariati dal 1991, con una crescita di appena l’1%. Analizzando il periodo tra il 2019 e il 2022, il salario medio annuo di ogni lavoratore italiano è diminuito di circa mille euro. Solo in otto Stati dell’Ue l’aumento degli stipendi ha compensato la perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione. Tra questi non c’è l’Italia. L’adeguamento dei salari all’inflazione è cruciale. In Italia, la crescita salariale è stata spesso inferiore al tasso di inflazione.In Italia per molti anni è esistito un meccanismo chiamato scala mobile: gli stipendi erano indicizzati all’inflazione, cioè crescevano automaticamente con il crescere dei prezzi. Questo meccanismo, introdotto nel 1945 e presente anche in altri paesi, venne depotenziato negli anni ottanta e definitivamente abolito all’inizio degli anni novanta per una semplice ragione: l’aumento automatico dei salari contribuiva esso stesso ad alimentare l’inflazione futura, perché aumentava i costi delle imprese e di conseguenza i prezzi dei beni e servizi venduti. Si tratta della cosiddetta spirale prezzi-salari che, una volta avviata, diventa molto difficile da spezzare e genera livelli di inflazione molto elevati. Scala mobile o sabbie mobili?

  1. Mercato del Lavoro

La qualità e la stabilità dell’occupazione sono fondamentali. L’aumento del lavoro precario e part-time ha contribuito alla riduzione del potere d’acquisto. A causa di inflazione e carovita, 2 italiani su 3 hanno cambiato le proprie abitudini di lavoro. Questo, anche per far fronte ad un mancato supporto da parte dei propri datori di lavoro. I mercati del lavoro sono molto influenzati dagli eventi storici e politici. La disoccupazione spinge i lavoratori ad accettare bassi salari. Per affrontare l’inflazione in Italia che si ripercuote sul mercato del lavoro occorrerebbe: Mantenere i salari aggiornati; Supportare i dipendenti nell’affrontare l’aumento del costo della vita, offrendo ad esempio indennità per coprire l’aumento dei costi dei beni di prima necessità, come gli alimenti, e delle utenze; Promuovere una strategia trasparente cioè spiegare apertamente come l’azienda intende fronteggiare l’inflazione; Offrire benefit non monetari con orari flessibili o opzioni di lavoro da remoto; Investire nella formazione incoraggiando il miglioramento delle competenze e l’aggiornamento professionale.

  1. Valore nominale e reale del denaro

Per capire cosa si intende consideriamo che con una banconota da 100 euro possiamo comprare  25 chili di pane a 4€ al Kg.  Immaginiamo che, a causa dell’inflazione, il prezzo del pane salga a 5 euro al chilo, con la stessa banconota da 100 euro, si potranno comprare solo 20 chili di pane. Di fatto, a causa dell’inflazione, la banconota “vale” adesso solo 20 chili di pane, mentre prima dell’aumento del prezzo il suo valore in termini di pane era di 25 chili. Per gli economisti, i 100 euro della banconota sono un valore nominale mentre la quantità di beni e servizi, che possono essere acquistati (il pane)  rappresenta il valore reale della banconota. In altre parole, i 100 euro valgono di meno, hanno perso potere di acquisto a causa dell’aumento dei prezzi.

  1. Soluzioni

Il potere d’acquisto è una risorsa che va tutelata e difesa, soprattutto nei periodi in cui l’inflazione cresce a ritmi più sostenuti. Contrastare l’abbassamento del potere d’acquisto richiede un approccio multifattoriale. Alcune soluzioni potrebbero essere:  adeguare il salario minimo all’inflazione per garantire che i lavoratori possano mantenere il loro potere d’acquisto; ridurre le imposte sul reddito, specialmente per le fasce di reddito medio-basse; offrire detrazioni per spese essenziali come l’istruzione, la sanità e l’alloggio; intervenire per regolare i prezzi dei beni essenziali come cibo e energia; incentivare le aziende a investire in tecnologie che aumentino la produttività; investire nell’istruzione e nella formazione  professionale per migliorare le competenze della forza lavoro; espandere i programmi di assistenza sociale per sostenere le famiglie a basso reddito; promuovere l’educazione finanziaria per aiutare i consumatori a gestire meglio le loro finanze; la banca centrale può adottare politiche monetarie per mantenere l’inflazione sotto controllo, evitando che i prezzi aumentino troppo rapidamente; offrire incentivi fiscali alle aziende che aumentano i salari o investono nella formazione dei dipendenti; offrire sussidi per gli affitti soprattutto nelle aree urbane ad alto costo. Quindi affrontare l’abbassamento del potere d’acquisto richiede un approccio integrato che coinvolga governi, imprese e società civile per creare un ambiente economico più stabile ed equo.

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