Ariaferma è un film del 2021 diretto da Leonardo Di Costanzo. Il film, girato nel 2000 tra due ‘bolle’ (la gabbia del carcere e il confinamento dovuto all’emergenza sanitaria), prevedeva sia attori che professionisti che non professionisti. Per amalgamare i due tipi di recitazione, Di Costanzo utilizzò lo stratagemma di assegnare a ciascuno dei due protagonisti la parte dell’altro, togliendo quindi alla loro interpretazione la patina di professionismo che avrebbe reso stridente il contrasto con gli altri attori, alcuni dei quali erano ex-detenuti e quindi portavano sul set il loro vissuto. Il film è stato girato nel carcere di San Sebastiano di Sassari. Il primo trailer è stato diffuso il 31 Agosto 2021.
Il film ha ottenuto 9 candidature e vinto 2 Nastri d’Argento, 11 candidature e vinto 2 David di Donatello.

LA TRAMA

In un carcere ottocentesco in via di dimissione, situato in una vallata, il personale di polizia penitenziaria festeggia la chiusura, ma al mattino successivo arriva una inaspettata notizia: il trasferimento degli ultimi dodici detenuti rimasti deve essere rinviato a data da destinarsi a causa di un disguido burocratico. Gran parte dell’enorme costruzione è in rovina, le cucine e tutti gli altri servizi sono stati dimessi, la direttrice viene inviata ad un’altra destinazione e i pochi agenti rimasti devono cercare di gestire l’imprevista situazione: i detenuti vengono riuniti in poche celle nel corpo centrale della struttura, rimanendo sotto il loro stretto controllo.
La condivisione di uno stesso destino che accomuna carcerati e carcerieri per un periodo di tempo indefinito fa saltare alcune barriere e manda all’aria le procedure consuete, creando una palpabile tensione fra i personaggi. Gaetano Gargiulo, l’agente che per anzianità ha dovuto assumere la direzione del carcere, si ritrova sfidato da un pericoloso camorrista, Carmine Lagioia, il quale approfitta del proprio carisma per aizzare una rivolta che ha come pretesto la chiusura delle cucine e la conseguente distribuzione di cibi precotti. Quando Lagioia propone di riaprire le cucine e di preparare egli stesso i pasti per i detenuti, ma anche per gli agenti, Gargiulo accetta e si propone di tenerlo sotto controllo nelle cucine.
Mantenere il rigore si fa ancora più difficile nel momento in cui Fantaccini, il più giovane dei detenuti, sfiora il suicidio dopo aver saputo che l’anziana vittima di una sua maldestra rapina sta per morire. Proprio Lagioia riesce a sventare il tentativo del giovane e a diventare il suo confidente. Gargiulo tenta di mantenere le distanze e riaffermare i diversi ruoli, affermando di non avere nulla in comune con il camorrista. Questa distanza viene però demolita quando, per un guasto alla centrale elettrica, una sera salta l’illuminazione nell’intero carcere. I detenuti e alcuni agenti si ritrovano a cenare in una tavolata comune, alla luce delle poche lampade rimaste a disposizione.
Il giorno dopo, un’altra emergenza avvicina ancora di più i due rivali: il fornitore di cibo ha un disguido e tocca a Lagioia improvvisare il pranzo raccogliendo le verdure rimaste nel vecchio orto del carcere. Il detenuto e l’agente di polizia si ritrovano a parlare del proprio passato e dell’infanzia trascorsa a Napoli nello stesso quartiere. Il film si conclude con una carrellata dei volti di alcuni detenuti e agenti, in attesa di sapere cosa ne sarà di loro.

L’equilibrio tra carcerieri e carcerati: il punto di vista del regista

Il regista ha cercato di far emergere nella narrazione che ciascuno poteva trovarsi da una parte o dall’altra delle sbarre a causa di una serie di accidenti della vita. Racconta di un carcere quasi modello, infatti la narrazione più comune e drammatica delle carceri non emerge. Anche l’espediente narrativo che utilizza, il trasferimento dei detenuti e la rimanenza di poche persone nel carcere dismesso, favorisce determinati rapporti e facilita relazioni.
Il fatto di essere qualcuno che chiude in gabbia qualcun altro fa scaturire la violenza che va sviluppandosi sui detenuti. Un atto insopportabile per qualsiasi essere umano, un gesto violento. Il carcere in cui è stato girato il film, nel 2001 è stato scenario di violenze inaudite che poi hanno determinato la chiusura della struttura e la conseguente apertura di una nuova. Gli agenti con cui il regista si è confrontato giustificano il proprio atto di violenza, perché questo non può essere neutro. Il poliziotto di strada ha un ruolo attivo: prendere qualcuno e consegnarlo alla giustizia. Il ruolo dell’agente penitenziario è un ruolo passivo, è il ruolo della guardia, è un ruolo duro. All’interno dello loro categoria é molto alto il numero di suicidi, tre volte maggiori rispetto alle altre forze dell’ordine.
Il messaggio che emerge dal film è quello della fiducia, si racconta cioè che attraverso un piccolo gesto, nel caso del film la cena condivisa dei detenuti con le guardie, che comprende la fiducia, si può rompere una catena di vendetta e di violenza che altrimenti si perpetua all’infinito e non intende il carcere come una possibilità di recupero nella vita, non guarda un uomo che sta scontando una detenzione, come qualcuno che ha anche altre possibilità, altre potenzialità. Il carcere dovrebbe essere rieducazione e reintegrazione. Di Costanzo specifica che è molto più importante che questo film venga visto fuori, piuttosto che dentro gli istituti di pena. Le persone devono capire se vogliono che il carcere continui ad essere essenzialmente punizione e vendetta poiché tutti abbiamo una reazione di esclusione quando vediamo dei delitti efferati:”prendi la chiave e buttala”.
Bisogna, però, chiedersi quanto ciò serva per la comunità e quanto per la vittima. Quando il carcere è punizione produce malavita, diventa uno stimolo alla criminalità, ma dovremmo pensare e non perpetrare la criminalità, anche da un punto di vista egoistico.

Emerge dal film il conflitto tra la responsabilità della guardia giurata, interpretata da Toni Servillo, e la compassione che la guardia stessa prova nei confronti dei detenuti. La frase che colpisce infatti è quella in cui la guardia giurata afferma:”io e te siamo totalmente diversi” riferendosi al detenuto camorrista interpretato da Silvio Orlando. In realtà lui comincia a sentirsi rinchiuso come lui, emerge insomma, alla fine, la loro natura di uomini, pur in questo contesto di aria sospesa, in cui ognuno deve però rivedere e riconsiderare il proprio ruolo. Le regole allora sfumano e i confini tra guardie e detenuti si fanno più sottili, dando vita a compromessi, scambi e nuove forme di relazioni interpersonali, fondate sull’umanità e il ‘prendersi cura’, sui valori universali della socialità, della convivenza e dell’agire collettivo, che risultano addirittura amplificati e diventano macroscopici nella struttura chiusa e claustrofobia del carcere.

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