Bay Yanliş, Can Yaman, Özge Gürel… ulteriori riflessioni a margine

Li ho incontrati quasi per caso, Can e Özge: in una normale giornata di inizio estate, si palesarono sul piccolo schermo nei ruoli di Nazli e Ferit nella diziBitter Sweet”.

Non una telenovela né una soap, ma una dizi turca: un modello narrativo televisivo del tutto nuovo per i canoni occidentali, poiché si tratta di produzioni in divenire che contano sul gradimento del pubblico per costruire una trama che, a prescindere dagli ascolti, non possiede un numero di puntate che si protrae negli anni, ma perviene sempre ad una conclusione certa.

È l’occasione per conoscere un universo diverso quanto sconosciuto, una cultura a prima vista lontana, una Nazione che pareva così remota da non essere chiamata in causa nella mia quotidianità…

Rimasi affascinata dall’eleganza di Can Yaman e Özge Gürel, dal loro modo di recitare espressivo ma mai affettato, capace di trasmettere tutte le sfumature di una storia d’amore che ha i lineamenti di una pudica dolcezza, di un’attesa rispettosa e intrigante.

Can e Özge approntano una descrizione sui generis dell’amore: una passione vivace e languida, impulsiva e meditata al tempo stesso, un sentimento che trae nutrimento dalla forza reciproca degli sguardi, da quei discorsi a tratti accesi, sanguinanti nel loro foga argomentativa, per poi passare a poche ma importanti parole, dette quasi con esitazione… forse per paura di creare imbarazzo, di correre un po’ troppo.

Uno sfondo si rivela insostituibile: la selva dei minareti, la Kız Kulesi, la Torre di Galata, il perpetuo rilassante moto del Bosforo, attraversato dagli snelli ponti assetati di progresso e cosmopolitismo… l’unione di questi elementi fa la differenza nel contestualizzare una crescente intesa amorosa.

Dopo “Bitter Sweet”, i due protagonisti, su strade diverse, hanno proseguito per i loro rispettivi percorsi umani e professionali, tra svariati impegni televisivi, pubblicitari, cinematografici, sfruttando bravura, intelligenza, bellezza, ma senza mai ostentarle.

Benché consapevoli delle loro qualità, Can e Özge acquistano popolarità e, sui social media, pubblicano con garbo preziosi frammenti della loro carriera: ogni foto, ogni video è una raffinata dichiarazione di stile, una conferma che si può essere apprezzati rimanendo se stessi, senza cedere all’omologazione e alla volgarità a tutti i costi; si può restare spontanei e semplici anche se si finisce in prima pagina… perché, innanzitutto, si indossa la propria personalità e non un abito firmato.

Poi è arrivata “Bay Yanlış”, una fiction che porta avanti con successo il perfezionamento della stessa commedia romantica “alla turca”: una vicenda intrisa di modernità, di colti simbolismi e rimandi al cinema, all’arte, alla cultura in genere, di psicologie sofferte, sfaccettate, complicate, alle prese con l’indole mendace del genere umano, con i suoi inspiegabili deludenti atteggiamenti; una narrazione dove conta ogni dettaglio, spesso utilizzato per denunciare problematiche sociali o disparità sessuali.

Grazie a “Bay Yanlış”, la narrazione stessa con tutte le sue componenti, dalle azioni dei personaggi ai complementi d’arredo, è protesa al superamento esplicito di usanze obsolete e bigottismi, promuove la libertà e il libero arbitrio, entrambi concentrati nelle mani dei singoli, ormai trasformati in artefici delle proprie vittorie ma anche dei propri errori: ognuno può trarre giovamento da questa formazione esperienziale, dettata dalle scelte individuali, seppur sbagliate, e non da imposizioni esterne, e questo percorso di crescita ha l’orgoglio di compiersi senza rinunciare al decoro e alla compostezza.

Ecco che si assiste alla consacrazione umana e attoriale di Can Yaman e Özge Gürel, mediante i ruoli da loro interpretati: Özgür è inizialmente un ragazzo superficiale, lascivo, un Turkish lover pronto a collezionare donne disinibite e notti “roventi”.

Poi subentra l’inaspettata evoluzione: Özgür si accorge di provare sentimenti veri, soffre, si emoziona mentre prepara la festa a sorpresa per la sua amata; il suo cuore ha smesso di nascondersi, mostrandone la gentilezza e dialogando finalmente con un cervello che ha abdicato alla rigorosa e fredda logica del passato.

Dall’altra parte, Ezgi è una trincea sventrata: tradita dall’indifferenza maschile, fatica a fidarsi delle relazioni sociali, ha paura di rimettersi in gioco…

Tuttavia, non vuole perdere il suo entusiasmo, la voglia indefessa di non arrendersi alle circostanze presenti; d’altronde, è una donna intraprendente: cosciente del suo valore intellettivo e morale, sa che la vita prosegue comunque e che, nonostante tutto, potrebbe rivelarsi meravigliosa e ricca di sorprese, a patto di trovare il giusto equilibrio con se stessi.

In virtù della potenza dell’autostima, il termine “intraprendenza” assume un’accezione tutta particolare: alla ricerca di certezze, Ezgi si getta nel mondo senza concedersi subito e, a testa alta, fa interagire corpo e cervello in un’armonica equivalenza, affinché l’uno non offenda o sottometta l’altro.

Ed Özgür, ammaliato da questo modello femminile così magnificamente bilanciato, la segue quasi con ossequioso riguardo, sperando, nel suo piccolo, di donare agli uomini almeno un briciolo di dignità perduta.

Se Allah vorrà, l’afflato amoroso compirà il miracolo, permettendo l’incontro tra due anime fin troppo abituate a combattere in solitaria le asperità della vita.

Intanto, scatta il cortocircuito, Ezgi lascia spazio a Özge, Özgür cede il posto a Can: il carisma dei due attori esplode, i personaggi profondamente introiettati, così intimi nella loro mutevole sensibilità, portano alla luce l’umiltà e la professionalità di due ragazzi straordinari, allo stesso modo limpidi nell’essere chi sono realmente e nel vestire i panni di qualcun altro; si crea un continuo scambio di persona che, tuttavia, non genera mai confusione, né inganna lo spettatore estasiato, rapito da un romanticismo d’altri tempi, disciolto nell’emozionata contentezza di un lento abbraccio.

Can e Özge non sono una coppia nella vita, ed è giusto che sia così.

Ma le loro individualità sono reali, la loro saggia recitazione è autentica, vivida come un copione impaziente di essere portato sulla scena; una scena dove Ezgi e Özgür litigano, ridono, piangono, si divertono, immersi in un equivoco stillicidio verbale o smarriti in una muta affermazione di eloquente intesa.

La loro schiettezza è il più grande augurio per un’umanità più attenta al prossimo, al diverso, alla natura, è un paio di occhi visionari su una società senza filtri, capace di appianare soprusi e contraddizioni; perché ognuno, innanzitutto, ha curato la propria interiorità rifugiandosi nella ritrovata purezza dell’altro, nell’ascesi di un bosco incontaminato, di una spiaggia vuota o grazie alla benefica fuga in una terra straniera eppure simile…

Sì, è solo un sogno.

Ma è meglio perdersi in un bel sogno che arrancare in una realtà mediocre.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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