CONFLITTO ISRAELO-PALESTINESE: TRA SANGUE E POTERE
Il 4 Dicembre 2017 l’attuale presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato che Gerusalemme è riconosciuta come capitale dello Stato di Israele. Nonostante l’entusiasmo mostrato dal presidente israeliano, Rivlin, e dal ministro israeliano, tale decisione trovò una forte opposizione da parte dell’OLP. Il presidente palestinese Mazen, ha affermato che Gerusalemme è la capitale eterna dello stato di Palestina e che la decisione di Trump ha aperto le porte alle organizzazioni estremistiche di intraprendere una guerra di religione che danneggerà l’intera regione e che porterà ad una continuazione del conflitto senza fine. Anche l’ONU si è dichiarata contraria alla decisione del presidente Trump.

LA STORIA

La tensione tra israeliani e palestinesi è un conflitto che ha avuto inizio nel 1917, quando gli inglesi posero fine alla dominazione ottomana del territorio. Nella “dichiarazione di Balfour” si sancisce il sostegno britannico alla causa ebraica in Palestina. La dichiarazione sostenne il movimento migratorio degli ebrei verso i territori palestinesi, immigrazione già in atto fra gli ebrei della diaspora, frutto della dispersione del popolo ebraico.
Durante la seconda guerra mondiale, per gli ebrei che riuscirono a sfuggire dal regime nazista, la Palestina rappresentò la meta principale, così, al termine della Seconda guerra mondiale, l’Assemblea generale dell’ONU approvò un piano di ripartizione della Palestina, dando di fatto avvio alla costruzione di uno stato ebraico e di uno stato arabo.

I PRINCIPALI SCONTRI DEL CONFLITTO ISRAELO PALESTINESE

In seguito alla decisione presa dall’ONU i principali paesi arabi si opposero allo Stato d’Israele. Il primo conflitto si risolse a favore di Israele nel ’49, così come la guerra d’Egitto nel 1956, la guerra dei sei giorni nel 1967, la guerra del Kippur del 1973.
Nel 1979 Israele ed Egitto firmarono la pace, con la quale l’Egitto riconosceva l’esistenza dello Stato di Israele, mentre, già a partire dal 1964, si era costituita l’OLP, Organizzazione per la liberazione della Palestina, la quale fu attaccata da Israele nel 1982.
Nel 1987 scoppiò così la Prima Intifada, una serie di scontri e violenze portate avanti dai palestinesi nei territori amministrati da Israele.
Nel 1993 si firmarono gli accordi di Oslo tra Rabin, il primo ministro israeliano e Arafat, il leader dell’OLP, che portarono alla creazione di un’Autorità Nazionale Palestinese a Gaza e in Cisgiordania. Rabin verrà poi ucciso da un estremista ebraico nel 1995.
Dagli accordi di Oslo la pace non si è mai realizzata, il processo è graduale e ancora oggi pieno di conflitti, intensificatisi a partire dalla seconda Intifada, a cui si diede avvio nel 2000, che comportò moltissimi attentati suicidi da parte dei palestinesi, e occupazione dei territori palestinesi da parte dell’esercito israeliano.
Nel 2002 il presidente americano George Bush aveva previsto l’applicazione di un nuovo piano che avrebbe dovuto garantire una pace duratura tra Israele e Palestina. Il piano era stato chiamato “Road Map” e prevedeva l’obbligo da parte dei palestinesi di porre fine ad ogni forma di azione terroristica e la creazione dello Stato palestinese. Ci fu anche un successivo tentativo di pace tra i due Stati, questa volta con un maggior coinvolgimento delle forze internazionali, con la conseguente suddivisione della città di Gerusalemme e la decisione che essa sarebbe divenuta la capitale di due stati. Sempre nel 2002 Israele ha iniziato la costruzione di una barriera di separazione in Cisgiordania della lunghezza di 570 chilometri che rende difficile la vita dei palestinesi che ogni giorno devono attraversarla per andare a lavorare in Israele.
Nel 2005 il primo ministro israeliano Sharon decise il ritiro unilaterale di Israele dalla Striscia di Gaza.
Nel 2007 il movimento islamico palestinese Hamas cacciò l’OLP dalla Striscia di Gaza e ne assunse il controllo, Israele impose un blocco navale e terrestre a Gaza, da allora l’esercito israeliano invase per tre volte la Striscia di Gaza, nel 2006, fra il 2008 ed il 2009 e nel 2014, con il conseguente contrattacco da parte della Palestina.

OGGI

Il 14 maggio 2018 ci giunge l’ultima decisione presa dal presidente Trump, con la cerimonia di insediamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, che ha portato i palestinesi a dare avvio ad una serie di scontri lungo la barriera difensiva, scontri ai quali ha risposto l’esercito israeliano comportando l’uccisione di 58 persone, di cui otto con meno di 16 anni e di quasi tremila feriti.
L’annuncio dello spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme era già stato proclamato 5 mesi fa, e da quel momento le tensioni erano già notevolmente aumentate.
Il presidente Trump ha inoltre annunciato che gli USA usciranno dal trattato sul nucleare stipulato con l’Iran e con i paesi del Consiglio di sicurezza ONU più la Germania. Trump ha inoltre sostenuto che farà partire presto delle sanzioni nei confronti di un paese che sostiene il terrorismo in tutto il Medio Oriente e che può facilmente arrivare alla bomba nucleare.
L’ex presidente Obama, i paesi firmatari ed il presidente iraniano Rouhani sono tutti preoccupati per le gravi conseguenze che il venir meno di tale accordo potrebbero comportare.
Trump ha giustificato la decisione di strappare tale accordo affermando che in una conferenza tenutasi in Israele pochi giorni fa, vennero presentati dei documenti con i quali si attestava il tentativo da parte dell’Iran di ottenere le armi nucleari. Tali documenti, però, non sono stati rilevati da alcun osservatorio internazionale.

CONSEGUENZE DI TALE DECISIONE

Il presidente iraniano ha annunciato che se i negoziati con gli USA dovessero fallire si darebbe avvio ad un nuovo arricchimento di uranio come mai prima d’ora. Anche in Francia il presidente Macron è preoccupato per la decisione presa. Il presidente francese afferma anche che da questo momento in poi l’obiettivo è lavorare per la ratifica di un nuovo accordo più ampio con l’Iran. Paolo Gentiloni, l’ONU, il presidente dell’UE Donald Tusk si sono pronunciati contrati alla decisione del presidente Trump che, invece, ha trovato il sostegno da parte di Israele e dell’Arabia Saudita.
In conclusione possiamo affermare che il conflitto israelo-palestinese è una guerra, una tragedia quotidiana che ormai non vede più coinvolti due popoli. Non è un conflitto religioso o territoriale, e probabilmente non lo è mai stato, ma oggi, ancor più di ieri, la vita degli individui coinvolti quotidianamente in questo dramma perde sempre più importanza, e mentre ci arrovelliamo per comprendere quali siano le cause del conflitto e chi, tra i due blocchi, abbia più ragioni di continuare questo massacro, oggi in Palestina qualcun altro ha perso la vita.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here