Avventurandosi tra le cime del monte Regina e quelle dell’Adda è possibile scorgere le rovine di un piccolo Borgo. All’occhio del viaggiatore difficilmente sfuggirà la particolarità architettonica degli edifici e la bizzarra disposizione di cupole e porticati. Avvicinandosi meglio, il viaggiatore ne potrà cogliere l’essenza: si tratta di rovine diverse da altre, non scosse e divorate soltanto dal tempo, ma soprattutto dall’uomo.

Consonno è un paesino della Brianza situato in provincia di Lecco. Del suo nome si trova traccia già all’inizio del primo millennio dopo Cristo, in una pergamena risalente al 1085 d.c., che la cita come ospitante un monastero benedettino. Nel corso dei secoli, la vita all’interno del borgo scorre tranquilla, passando dal controllo di un ducato all’altro, fino alla sua costituzione in comune autonomo in occasione dell’unità d’Italia, quando Consonno si dota per la prima volta di un proprio sindaco, di una giunta e di un consiglio. Dopo questo primo sprazzo di autonomia, nel 1928 il borgo diventa parte del comune della vicina Olginate per via dell’esiguo numero di abitanti.

A inizio ‘900 il borgo conta infatti circa 300 persone, popolazione prevalentemente contadina, composta da gente comune che coltiva la terra ma è priva della proprietà delle case che abita. Il borgo è un agglomerato di edifici modesti: una chiesa, il palazzo del Comune, un’osteria, case abitate e un cimitero. Tutto intorno, campi arati, vigne, boschi e montagne ne circondano il perimetro, regalandogli una vista mozzafiato.

Eppure questa vita campestre e bucolica non è che il primo capitolo di una storia che, per il suo essere troppo definita e apparentemente immobile, difficilmente rimarrà troppo a lungo tale.

Fine della guerra, inizio dello sfarzo

Finita la Seconda guerra mondiale, l’Italia esplode d’energie, e con lei nascono rigogliosi – ma senza veri e propri piani regolatori né attenzione alle problematiche ambientali – nuovi edifici; vengono costruite nuove strade, sono gli anni d’oro del boom economico, del calo della disoccupazione e dell’incremento stellare di fatturato delle aziende edili. Una di queste, l’azienda della famiglia Bagno, posa i suoi occhi proprio su Consonno, borgo sempre più svuotato dalle migrazioni dei contadini verso le più grandi cittadine dei dintorni.

Forte dell’inferiorità numerica degli abitanti rispetto alle città vicine, dell’assenza di competitor e di proprietari locali, il Conte Bagno acquista nel 1962 le quote di partecipazione delle antiche famiglie intestatarie e inizia il suo viaggio immaginativo – e per certi versi futuristico – sul “promettente” futuro del piccolo borgo.

In quegli anni il termine “riqualificazione” è ancora sulla bocca di pochi. Difficilmente si concepisce la questione ambientale come dirimente interesse pubblico; con fatica si riesce ad immaginare qualcosa di differente dall’abbandono o, come suo estremo opposto, dell’abbattimento e ricostruzione totali dei siti in disuso o sottopopolati.
E’ questa seconda opzione quella riservata a Consonno. Secondo i piani del Conte, infatti, sulle macerie delle antiche case contadine sarebbe sorto qualcosa di ben più “glorioso” e mondano. Qualcosa al passo coi tempi e in grado di coronare quegli anni gloriosi: una Las Vegas tutta italiana fatta di Bingo, serate musicali, mercati arabeggianti e sfarzoso splendore.

La mancata considerazione dell’impatto ambientale: conseguenze

Ma le conseguenze dei piani edilizi orientati al profitto ma privi di basi reali e studio di contesto sono ben impresse, insieme a tanti altri episodi simili, nell’immaginario italiano dell’epoca: ruspe, molazze e macchinari da cantiere iniziano l’opera di abbattimento delle vecchie case di Consonno, lasciandone sfollati gli abitanti. Il terreno viene smussato e una collina attigua demolita con l’esplosivo per aprire a una vista panoramica che permettesse all’occhio di raggiungere il vicino monte Resegone e le Prealpi lecchesi. Pagode, sfingi egizie e strutture asiatiche vengono posizionate fra i palazzi con funzione decorativa, regalando un artificioso tocco esotico al paesaggio della Brianza.

Tutto ciò, attivato senza tener conto del delicato equilibrio idrogeologico della zona, non fa che peggiorare la situazione, rendendo ancora più precaria la tenuta del terreno e delle rocce adiacenti. Frane provocate da piogge frequenti, cascate di fango e pietre iniziano ad essere sempre più frequenti, provocando danni ai nuovi edifici sfarzosi.

L’esuberanza del bingo e della musica sfrenata, l’esaltazione dei turisti e il tintinnare delle slot-machine sembrano stonare di fronte al rombo proveniente dalle interiora della terra. Approssimazione dell’uomo e imprevedibilità della natura si fondono in un caos non solo apparente e che apre la strada a un prevedibile esito finale: un’ultima frana sulla strada di collegamento fra Olginate e Consonno pone fine alla breve seconda vita di questa città dei balocchi.

Una resurrezione è possibile?

Consonno oggi è una città “fantasma”, che come tanti altri siti d’Italia che hanno visto lo stesso destino (si ricordino l’ex impianto siderurgico di Bagnoli in Campania, il Castello di Sammezzano in Toscana, Le Vele di Calatrava nel Lazio, il Cinema Palazzo a Roma), meriterebbe una riqualificazione questa volta reale, rispettosa dell’ambiente e consapevole della sua storia. Consonno è un esempio lampante dell’importanza di un controllo dello sviluppo urbano che rispetti il ciclo idrogeologico e ha una valenza e un potere simbolici che potrebbero avere inaspettati risvolti maieutici e sociali.

Riconvertire il sito, una volta fatti gli opportuni interventi di riforestazione delle aree boschive e di riassestamento strutturale, in un museo di geologia con attività di sensibilizzazione sul dissesto idrogeologico o in una comunità di recupero per persone vittime di dipendenza dal gioco d’azzardo, riempirebbe il vecchio borgo di nuovo significato.

Allo stesso modo, lasciare che la natura si riprenda quel che le è stato sottratto, chiuderebbe un capitolo che, se pur tetro, potrebbe forse rimanere monito silente e linfa viva per comunità locali e imprenditori futuri: la logica del profitto, da sola e fine a se stessa, può solo, nel tempo, creare danni di lungo periodo e perdite di fatturato, con responsabilità che rimangono incastonate nelle insenature del tempo e dello spazio; le promesse di incremento del turismo e di miglioramento per la comunità, allo stesso modo, vanno valutate tenendo conto dei possibili danni ambientali, perché non diventino un boomerang.

In definitiva, purché si tenga vivo il ricordo, anche le opere lasciate inconcluse e gli edifici rimasti abbandonati o vuoti possono assumere valenza sociale. Sta alla comunità tutta attivarsi e riempirli di significato.

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