La crisi di governo si consuma. E si consuma, irritualmente, non nei seggi parlamentari quanto all’interno di una Direzione di partito. Sì, perché a dare il benservito, all’ormai ex capo del governo Enrico Letta, è la richiesta avanzata dal segretario nazionale del PD, Matteo Renzi, di mettere in pratica la famosa “staffetta”, quindi la sostituzione di Letta da capo dell’esecutivo proponendo all’adempimento della stessa funzione, se medesimo.

 Il responso dal Nazareno si fa sentire, forte e chiaro: 136 i favorevoli, 16 i contrari e solo 2 gli astenuti. E’,dunque, una larga, larghissima maggioranza a votare il passaggio di testimone all’interno del Partito a sostenere la proposta di Renzi e di conseguenza, le dimissioni di Letta, presentate al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano venerdì 14 febbraio. La manovra di Renzi, infinitamente discussa, da molti criticata in quanto giudicata fin troppo ambiziosa e poco coerente con quanto affermato in precedenza dallo stesso (se non anche ademocratica) è giustificata dal neo-eletto premier in pectore come intervento necessario e mirato a tirar fuori l’Italietta dalla “palude” di instabilità nella quale è rimasta  infangata. Una crisi di governo extraparlamentare che per molti andrebbe “parlamentarizzata” con il rinvio del governo alle Camere.

In merito alla crisi interna al partito democratico, il capo di Stato Napolitano preferisce non intervenire e tenersi in disparte, non ritenendo necessario il passaggio in Parlamento del governo in uscita. Una volta ricevute le dimissioni di Letta e svoltesi le consultazioni di routine, è il 17 Febbraio quando Napolitano affida al segretario democratico il compito di formare il nuovo esecutivo. Renzi accetta, ma con riserva.

Ben consapevole della responsabilità e dell’importanza del compito assegnatogli, assicura il Presidente della Repubblica, le forze politiche e gli stessi Italiani che metterà l’impegno, l’entusiasmo e l’energia di cui è capace nell’impresa. Incontrerà nel pomeriggio i presidenti rispettivamente di Senato e Camera, Grasso e Boldrini, per poi dedicare i giorni successivi alle consultazioni formali e ufficiali con gli schieramenti politici.

L’impegno prefisso è serio: quello di formare un governo di legislatura e soprattutto quello di farlo durare fino al 2018. Per questo, dice il premier, sarà necessario dedicare particolare attenzione ai contenuti e alle scelte da fare per costituire un esecutivo valido ma soprattutto solido. I tempi sono stretti, è vero. Ma un orizzonte di legislatura come quello che si sono prefissi necessita di qualche giorno di tempo per sciogliere la riserva. Il piano di lavoro presentato alla stampa è tuttavia serrato: entro febbraio un lavoro urgente sulle riforme costituzionali da portare all’attenzione del Parlamento, a marzo la questione del lavoro, ad aprile la pubblica amministrazione e a maggio il fisco, partendo dall’esigenza più importante del nostro Paese: ovvero quella del lavoro, dell’occupazione e, perché no, del pessimismo e della rassegnazione che lo affliggono.

 Al termine delle consultazioni, la maggioranza sembra fondamentalmente la stessa del governo Letta. La questione più delicata  era forse il rapporto con il Nuovo Centro Destra di Alfano che ha lasciato chiaramente intendere non sarebbe entrato in un governo più orientato verso sinistra o centrosinistra. Ma sembra confermata la presenza del leader Ncd nel nuovo esecutivo.

 In anticipo rispetto alle previsioni, Matteo Renzi presenterà questo pomeriggio alle 16 al Presidente Napolitano la squadra che lo accompagnerà nell’impresa. Il segretario del Pd si mostra ambizioso e risoluto, speriamo a lungo andare anche risolutivo.

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