Dopo l’aggressione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, in molti in Europa si sono indignati per l’assurdità di dover ancora assistere a conflitti armati nel ventunesimo secolo. Eppure, per quanto ci convenga ignorarlo, il mondo non manca di guerre silenziate e dimenticate. La guerra in Siria è tra queste, un cimitero a cielo aperto, un conflitto civile atroce in corso da più di dieci anni che continua a contare centinaia di migliaia di morti e milioni di rifugiati e che non sembra avvicinarsi a una fine. Una catastrofe umanitaria ulteriormente aggravata dal collasso economico, dall’insicurezza alimentare, dalla pandemia di COVID-19 e dalla recente epidemia di colera. A tutto ciò si aggiunge il devastante terremoto di magnitudo 7.8 che ha colpito le regioni al confine tra la Turchia e la Siria nella notte tra il 5 e il 6 febbraio 2023 causando, secondo le stime attuali (febbraio 2023), oltre 50mila morti nei due paesi. Ebbene, chi sono gli attori coinvolti nella guerra siriana? Qual è la natura del riconoscimento degli insorti siriani sul piano del diritto internazionale?

La “rivoluzione” del Ba’th: da Hafiz a Bashar al-Asad

Con il colpo di stato del 3 marzo 1963 (la cosiddetta “rivoluzione”) il Ba’th, il Partito socialista arabo, si afferma al potere. Nel 1966 un nuovo coup porta al potere l’ala più radicale del Ba’th con un governo che colloca al ministero della Difesa Hafiz al-Asad, futuro dittatore. Nel 1970, approfittando di una fase d’instabilità causata dalla crescita di malcontento all’indomani della disfatta nella Guerra dei sei giorni (1967) e dalle faide interne al partito, Assad sale al potere con un altro golpe militare. Nel 1971 viene eletto Presidente della Repubblica con un referendum popolare confermativo. La svolta autoritaria definitiva si registra nella seconda metà degli anni Settanta, quando il periodo di crescita economica che la Siria aveva conosciuto tra la metà degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta inizia a mostrare segni di cedimento con un conseguente indebolimento del consenso. Di fronte all’incrinamento della legittimazione del suo governo, Assad reagisce con una dura epurazione dei vertici del Ba’th e la brutale repressione delle forze di opposizione: instaura così un presidenzialismo centralizzato nel quale esercita il proprio potere autocratico e personalistico, seppur sempre mascherandolo con il ricorso a meccanismi apparentemente democratici ma realmente fittizi (come i referendum popolari confermativi del Presidente in cui Assad era l’unico candidato).

Alla morte di Hafiz al-Asad nel 2000, la guida del paese passa nelle mani del secondogenito, Bashar al-Asad, il quale in un primo momento fa sperare in un sistema più progressista e liberale di quello del padre. Ma presto l’immagine di “presidente riformatore” viene meno e tornano le modalità persecutorie violente verso i dissidenti che, assieme allo scontento dato dalla crisi finanziaria e dalla fragilità della posizione della Siria nello scacchiere mediorientale e internazionale, portano la tensione sociale in una situazione prossima alla guerra civile. Nel marzo del 2011, infatti, la Siria si unisce all’ondata di proteste della cosiddetta “primavera araba”, un periodo di sollevazioni contro i regimi autoritari da parte delle popolazioni di alcuni stati nella zona SWANA (espressione decoloniale per South-West Asia e North Africa). Nel 2012 si giunge a una vera e propria guerra civile e il fronte di opposizione aveva intanto cominciato ad armarsi e a organizzarsi militarmente e politicamente.

Il fronte di opposizione

Il fronte di opposizione al regime di Assad è caratterizzato da una forte eterogeneità e da un’alta conflittualità interna; un fronte eccessivamente composito e pertanto debole, incapace di raggiungere una posizione comune e di costituire una coalizione solida e compatta. Esistono quindi più gruppi insurrezionali spesso in contrasto tra loro e con obiettivi diversi, dagli estremisti che vogliono il rovesciamento definitivo del regime ai moderati disponibili a scendere a patti con il governo di Assad. Tra le forze di opposizione militare c’è l’Esercito Siriano Libero (Free Syrian Army) formato nel luglio del 2011 dai disertori dell’apparato di repressione di Assad e dell’esercito regolare. Nel settembre 2011 il fronte di opposizione, divenuto sempre più composito, dà vita all’autorità politica del Consiglio Nazionale Siriano (Syrian National Council) con cui l’ESL inizia a coordinarsi per definire la propria linea operativa. Nel novembre 2012 il Consiglio viene sostituito dalla Coalizione Nazionale Siriana delle Forze dell’Opposizione e della Rivoluzione (National Coalition for Syrian Revolutionary and Opposition Forces), abbreviata in Coalizione Nazionale Siriana (CNS).

Si distinguono poi due ulteriori identità ben distanti dalla CNS: l’ISIS (o ISIL) e le milizie curde. Lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (o del Levante) è un’organizzazione jihadista radicale terroristica impegnata attivamente nella guerra civile siriana ma il suo obiettivo non era tanto il rovesciamento del regime di Assad quanto l’acquisizione di nuovi territori da assoggettare al proprio califfato (proclamato nel 2014). Ci sono poi le milizie curde. I curdi sono una popolazione di lingua ed etnia indeoeuropea, di religione in maggioranza musulmana sunnita, situata in una regione geografica a cavallo tra Turchia, Siria, Iraq e Iran. Nel 2012, quando con l’imperversare del conflitto le truppe governative siriane si ritirarono dal nord del paese, la regione settentrionale della Siria rimase di fatto sotto il controllo della milizia Unità di Protezione Popolare (YPG) che si stabilì nella zona nota come Kurdistan siriano (o Rojava in curdo). L’obiettivo primario delle milizie curde non è la deposizione del governo autoritario di Assad in sé per sé quanto piuttosto l’ottenimento di una più ampia e riconosciuta autonomia. Si tratta di un popolo diviso che lotta per il riconoscimento di un proprio stato indipendente, il Kurdistan, ma che tutt’oggi continua a essere violentemente perseguitato (basti guardare agli ultimi bombardamenti in funzione anti-curda in Siria e Iraq settentrionali autorizzati da Turchia e Iran nel novembre 2022), al punto da far parlare di genocidio etnico.

Come evidenzia Giancarlo Guarino nel suo articolo “Il conflitto in Siria tra guerra, rivoluzione e terrorismo. Alla ricerca di una logica (…normativa?)”, si possono quindi distinguere tre guerre differenti: quella per il rovesciamento della dittatura di Assad, quella del terrorismo (da parte dei terroristi e contro il terrorismo) e quella dell’aspirazione all’autodeterminazione del popolo curdo. Vi si potrebbe poi aggiungere un’ulteriore guerra, come evidenziato da Sergio Romano in “Atlante delle crisi mondiali”: la guerra per procura, ovvero quella combattuta da altre potenze mondiali sul corpo della Siria. Il coinvolgimento straniero nel conflitto siriano, basti pensare al ruolo giocato da grandi potenze quali Russia, Iran, Turchia e Usa, complica ulteriormente il già difficile quadro geopolitico, inserendosi in uno scacchiere strategico di ruoli e di obiettivi sempre più intricato e caotico.

Il (mancato) riconoscimento internazionale degli insorti

È allora interessante capire quali siano le posizioni della dottrina in merito alla natura del riconoscimento degli insorti siriani, in particolare della Coalizione Nazionale Siriana delle Forze dell’Opposizione e della Rivoluzione. Occorre innanzitutto ricordare le condizioni necessarie per poter parlare di movimento insurrezionale: gli insorti sono un gruppo sociale organizzato a carattere militare che esercita un controllo effettivo su una parte del territorio e che persegue mediante la lotta armata il rovesciamento del governo statale per impadronirsi dello stato oppure per provocare la secessione di una parte del suo territorio. Dunque, in virtù di un potere effettivo esercitato su una parte di territorio dello stato (che pertanto viene sottratto all’autorità del governo “legittimo”), gli insorti possono acquisire personalità internazionale e diventare così destinatari delle norme del diritto internazionale generale, con tutti gli obblighi e i diritti che ne derivano.

È proprio a partire dalla definizione di movimento insurrezionale che emergono le difficoltà a riconoscere l’opposizione siriana come tale. Infatti, come sopra evidenziato, le forze di opposizione in Siria non sono un gruppo sociale organizzato ma consistono di più movimenti sia di natura militare che politica con una propria amministrazione e obiettivi differenti. Inoltre, nessuno di questi esercita un controllo effettivo su una parte sufficientemente ampia di territorio. Nel già citato articolo, Guarino insiste infatti sulla necessità di rilevare l’esistenza dell’effective (o overall) control, fondamentale per stabilire se si possa o meno attribuire agli insorti la soggettività internazionale e gli obblighi internazionali che ne derivano. In questo senso, Guarino sostiene che l’atomizzazione dei gruppi di opposizione unita alla loro scarsa capacità di conduzione del territorio e di connessione a una base popolare visibile, indurrebbe a collocarli tra i movimenti politici interni alla Siria piuttosto che tra gli enti capaci di acquisire la soggettività di diritto internazionale.

Un riconoscimento meramente politico

Data la mancanza dei requisiti necessari per poter giuridicamente riconoscere come soggetti internazionali gli insorti contro il regime ba’thista, ci si è allora interrogati sulla natura del riconoscimento della Coalizione Nazionale Siriana compiuto da molti paesi. Emergono due posizioni principali della dottrina: una parte degli studiosi ritiene che si tratti di un riconoscimento esclusivamente politico; altri parlano di riconoscimento prematuro.

A rappresentanza della prima posizione della dottrina c’è Stefan Talmon (professore di diritto internazionale all’Università di Oxford) che affronta la questione nel suo articolo “Recognition of Opposition Groups as the Legitimate Representative of a People”. Nell’incontro dei gruppi di opposizione tenutosi a Doha (Qatar) nel novembre 2012, la neoformata CNS si autoproclamò legittima rappresentante del popolo siriano e chiamò i paesi stranieri a riconoscerla come tale. Tra il 2012 e il 2013, molti stati occidentali e mediorientali riconobbero la CNS ma ognuno con diverse e fraintendibili sfumature di significato. Secondo Talmon, il primo indice del fatto che in tutti i casi si tratterebbe di un riconoscimento meramente politico si rileva nell’utilizzo in molte di queste dichiarazioni di termini come “acknowledge”, “accept” o “consider” invece di “recognize”. Inoltre, Talmon evidenzia l’importanza di non confondere la legittimità di un governo (messa in crisi dalla perdita di controllo sia territoriale sia politica del regime di Assad) con la sua legalità: “il fatto che un governo perda la legitimacy non significa che perda automaticamente il proprio status giuridico”. Dunque, secondo questa parte della dottrina (nonché quella prevalente) mancano le condizioni necessarie per riconoscere giuridicamente la CNS e attribuirle personalità internazionale: gli insorti siriani quindi godono soltanto di un riconoscimento politico che lascia intatto lo status giuridico del governo di Assad; ha un valore principalmente simbolico di supporto agli obiettivi dell’opposizione che si traduce in sostegno materiale, finanziario e umanitario ma non consente di fornire armi e assistenza militare. Tutto ciò è in linea con quanto dichiarato dalla Corte internazionale di giustizia in occasione del caso Nicaragua, ovvero che l’approvvigionamento di armi o l’equipaggiamento militare a un gruppo di opposizione costituisce una violazione del principio di non-intervento e del divieto di uso della forza nelle relazioni internazionali.

Oppure un riconoscimento prematuro?

Tuttavia, è innegabile l’interferenza straniera nel conflitto interno sia con affermazioni fraintendibili sia con l’aiuto militare. Anzi, si potrebbe addirittura dire che sono proprio le dichiarazioni a sostegno dell’una o dell’altra parte a comportare dubbi e incomprensioni sullo status dell’opposizione e del governo legittimo. Riconoscendo politicamente un gruppo insurrezionale, lo Stato riconoscente segnala la sussistenza di un divario tra governanti e governati, mette in dubbio l’effettiva rappresentatività e legittimità del governo e implicitamente incoraggia le attività ribelli (Amoroso D., Il ruolo del riconoscimento degli insorti nella promozione del principio di autodeterminazione interna: considerazioni alla luce della “Primavera Araba”, in Federalismi, 2013). La linea di non-intervento degli stati si fa così molto sottile, ancor di più laddove molti paesi non stanno fornendo solo assistenza umanitaria ma anche armi e sostegno militare. È proprio in virtù di questi aspetti che una parte della dottrina non parla di riconoscimento politico, bensì di riconoscimento prematuro dell’opposizione. Per riconoscimento prematuro si intende una situazione in cui l’entità insurrezionale non è ancora divenuta un governo legittimo ma è in una fase embrionale o in status nascendi e gli si riconosce comunque la personalità internazionale. Tuttavia, data l’evidente mancanza delle condizioni necessarie per riconoscere gli insorti come soggetti internazionali, il riconoscimento prematuro potrebbe facilmente costituire un illecito internazionale di interferenza da parte degli stati riconoscenti. A giustificazione di ciò, è stata evidenziata  una tendenza alla riduzione della “soglia minima” per acquisire la personalità giuridica internazionale: in questa visione, a seconda della portata del controllo effettivo esercitato dagli insorti, ci sarebbe una sorta di scala della soggettività internazionale e della conseguente destinatarietà delle norme internazionali; dunque, anche insorti poco effettivi sarebbero destinatari di diritti e obblighi internazionali seppur in maniera limitata in quanto non godono di una soggettività piena.

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