“[…] I diritti dei migranti sono diritti umani. Tali diritti devono essere rispettati senza discriminazioni e indipendentemente dal fatto che il loro migrare sia forzato, volontario o formalmente autorizzato. Dobbiamo fare tutto il possibile per prevenire la perdita di vite umane, come imperativo umanitario e obbligo morale e legale. […] Non c’è una crisi migratoria, ma una crisi di solidarietà. Oggi e sempre, salvaguardiamo la nostra comune umanità e garantiamo i diritti e la dignità di tutti.”

Queste le parole di António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, il 18 dicembre 2022 in occasione della ventiduesima Giornata internazionale dei migranti, istituita nel 2000 con Risoluzione 55/93 dell’Assemblea generale dell’ONU. Secondo il XXI Rapporto Immigrazione 2022, pubblicato lo scorso ottobre dalla Caritas Italiana e dalla Fondazione Migrantes, il numero stimato di migranti internazionali nel 2021 era 281 milioni circa. A metà del 2022, come conferma l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, si contavano più di 103 milioni di migranti forzati. La Rete Europea sulle Migrazioni definisce migranti forzati quanti sono soggetti “a un movimento migratorio caratterizzato da elementi di coercizione derivanti da calamità naturali o da cause umane, comprese le minacce alla vita e al sostentamento”. Sono rifugiati, richiedenti asilo, sfollati interni, migranti ambientali ed economici e altri soggetti che necessitano di protezione internazionale. Ma soprattutto sono “una sorella, un fratello, una figlia, un figlio, una madre o un padre”, ci rammenta Guterres. Eppure, nel mondo e in Europa non mancano politiche migratorie che sostituiscono la “comune umanità” con l’indifferenza o l’intolleranza, le “vite umane” con i “carichi residuali”. A chi non è mosso dall’empatia verso l’altro, il Segretario Generale ricorda che il rispetto dei diritti dei migranti non è soltanto un obbligo morale ma anche legale. Vediamo allora quali sono le fondamenta giuridiche di questo imperativo umanitario che resistono ai propagandismi della lotta allo straniero. Ci si concentrerà sulla normativa europea ma per poter procedere alla presentazione del Sistema europeo comune d’asilo occorre prima fare riferimento al pilastro normativo portante in materia di diritto d’asilo e di protezione internazionale: la Convenzione di Ginevra del 1951.

La Convenzione di Ginevra

La Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati viene adottata dalle Nazioni Unite nel luglio 1951 ed entra in vigore nell’aprile 1954. La sua portata nodale si rinviene soprattutto in due elementi che la rendono tutt’oggi il modello di riferimento in materia di protezione internazionale: la previsione di una precisa definizione di rifugiato e il principio di non-refoulement.

L’articolo 1 della Convenzione fornisce infatti una definizione di rifugiato che costituisce la premessa essenziale per il suo riconoscimento e, di conseguenza, per la protezione internazionale. Rifugiato è chi “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di siffatti avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”.

Il principio di non-refoulement o di non respingimento è invece previsto dall’art. 33 par. 1 della Convenzione di Ginevra, il quale sancisce che: “Nessuno Stato contraente può espellere o respingere, in qualunque maniera, un rifugiato alle frontiere di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbe minacciata a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza a un certo gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”. Si tratta di una disposizione normativa che deve essere sottoposta a una lettura estensiva in tutti suoi elementi: i soggetti protetti, l’ambito del divieto, i territori di non rinvio. Il termine “rifugiato” infatti si riferisce ai rifugiati regolarmente e irregolarmente soggiornanti, ai richiedenti asilo in quanto possibili rifugiati e a tutti quei soggetti con potenziali bisogno di protezione internazionale che però non chiedono asilo. L’espressione “in qualunque maniera” non comprende solo la non ammissione al territorio, bensì anche altre forme di allontanamento ed espulsione quali l’estradizione, l’intercettazione e il respingimento in alto mare, la cosiddetta cooperazione pullback (ovvero l’intercettazione da parte dello stato di partenza). Quanto ai “territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbe minacciata”, non si tratta soltanto dei paesi di origine ma anche di altri stati di transito non sicuri e dei paesi di potenziale respingimento indiretto (c.d. a catena).

Il principio di non-refoulement costituisce uno dei principali diritti dei rifugiati che è infatti contenuto, in maniera esplicita o in via interpretativa, in molti altri riferimenti normativi. Tra questi: l’art. 3 della Convenzione contro la tortura ed altre forme di trattamento e punizione crudeli, disumane o degradanti; l’art. 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici; l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU); l’art. 4 del IV Protocollo della CEDU; l’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Il Sistema europeo comune di asilo

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE) viene proclamata dal Consiglio europeo di Nizza nel dicembre 2000 e diventa pienamente vincolante per le istituzioni europee e per gli stati membri con il Trattato di Lisbona del 2007. L’art. 6 del Trattato sull’Unione europea (TUE), infatti, oltre a dichiarare l’adesione dell’Unione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, prevede anche il riconoscimento dei diritti, delle libertà e dei principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea stabilendo che ha “lo stesso valore giuridico dei trattati”. Di qui l’obbligo per l’UE di rispettare gli articoli 18 e 19 CDFUE, rispettivamente inerenti al diritto di asilo e al divieto di allontanamento, espulsione ed estradizione. Oggi la disciplina europea del diritto d’asilo è contenuta agli articoli 67 e 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE): si tratta del Sistema europeo comune di asilo (SECA). Lo stretto legame che sussiste tra quest’ultimo e la normativa internazionale è espressamente richiamato dagli articoli 18 CDFUE e 78 par. 1 TFUE che sanciscono la conformità alla Convenzione di Ginevra della disciplina europea in materia di diritto d’asilo, protezione internazionale e principio di non respingimento.

Accanto alla protezione internazionale, l’Unione europea ha poi previsto due ulteriori forme di tutela con carattere complementare e suppletivo: la protezione sussidiaria e la protezione temporanea. La protezione sussidiaria si applica nel caso in cui un cittadino di un paese terzo o apolide non possieda i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma sussistano comunque fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno. La protezione temporanea, invece, è un meccanismo eccezionale volto alla tutela immediata e provvisoria nell’eventualità di massicci afflussi di sfollati provenienti da paesi terzi che hanno dovuto abbandonare il proprio paese d’origine e non possono rientrarvi; si tratta di afflussi ai quali, per la loro portata, non si potrebbe far fronte con il comune sistema d’asilo di cui rischierebbero di compromettere il buon funzionamento.

La disciplina dettagliata di queste forme di protezione è contenuta da una serie di atti legislativi che l’UE ha adottato ai sensi dell’art. 78 par. 2 TFUE, il quale prevede che il legislatore europeo prenda tutte le misure necessarie a istituire un Sistema europeo comune di asilo.  La direttiva 2011/95 (c.d. Direttiva qualifiche) ha fissato le norme minime sull’attribuzione della qualifica di beneficiario di protezione internazionale e di protezione sussidiaria ai cittadini di paesi terzi o apolidi. Tali disposizioni sono integrate dalla direttiva 2013/32 (c.d. Direttiva procedure) che ha dettato un quadro minimo comune per le procedure che gli Stati membri devono seguire ai fini del riconoscimento e della perdita dello status di rifugiato e di protetto sussidiario. Dei criteri e dei meccanismi per la determinazione dello stato membro competente all’esame di una domanda d’asilo o di protezione sussidiaria si occupa il regolamento n. 604/2013, noto come Regolamento Dublino III. Infine, la protezione temporanea è oggetto della direttiva 2001/55 che è stata attivata per la prima volta soltanto nel 2022 per far fronte alla crisi umanitaria seguita alla guerra in Ucraina.

Dunque, è evidente che su carta non mancano gli strumenti, seppur perfettibili, di tutela dei migranti. Eppure, continuano le riammissioni forzate e i respingimenti a catena sulla rotta balcanica. Continuano le morti nel Mediterraneo. Continuano i rinnovi degli accordi di supporto ad autorità responsabili di trattamenti inumani e degradanti su chi cerca di fuggire. Continuano i decreti sicurezza che prevedono per le ONG condizioni stringenti nonché contrastanti con l’obbligo di prestare soccorso sancito dall’art. 98 della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare. Continuano le denunce e i processi a carico delle associazioni di soccorso che tentano di rimediare all’inerzia delle autorità statali. Continuano i trattamenti preferenziali e i doppi standard nell’accoglienza tra rifugiati europei ed extraeuropei. “Non c’è una crisi migratoria, ma una crisi di solidarietà”.

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