Vittoria piena di Bersani, che si attesta al 60%, con Renzi che non supera il 40%. Determinante è stato l’apporto di Vendola, ma anche la polemica sulle votazioni e le resistenze dello zoccolo duro del partito, schierato con il segretario PD.

Era stata una battaglia lunga, estenuante, una geostrategia dei contenuti atta a definire in maniera chiara gli schieramenti e i loro programmi, nonostante la comune appartenenza al Partito Democratico. Un dibattito che era passato attraverso il vaglio di SkyTg24 e poi della Rai. La mappatura aveva poi preso una piega diversa, quella del gioco sull’immagine, pienamente vinta da Renzi, meno ritroso rispetto a Bersani di fronte alla comunicazione con gli elettori. Studiato era stato l’atteggiamento di apertura di fronte all’avversario, e con esso l’invito a votare. Più meccanico il rapporto di Bersani con le telecamere, o forse semplicemente più caratteristico di tempi che non sono più adatti all’attuale contesto sociopolitico. Un dibattito, insomma, vinto da Renzi, ma le vittorie morali servivano a poco, e lui lo sapeva. Era necessario attendere il verdetto di un ballottaggio dai candidati virtualmente certi: Bersani e Renzi, appunto.

Il primo turno aveva confermato le attese, e da ciò ne è conseguita una mobilitazione generale, al fine di sopportare questo ultimo sforzo: la strategia di Bersani è stata quella del basso profilo di chi lavora invece di chiacchierare ai microfoni, mentre Renzi, conscio di essere lo sfidante, ha optato per una maggiore presenza sulla scena. Era chiaro infatti che lo zoccolo duro, quello dei militanti di lunga data si sarebbe schierato con il Segretario, e che stava al sindaco di Firenze smuoverli da posizioni stratificatesi in anni di adesione.

Ulteriore pesante ipoteca sulla vittoria di Bersani era stata la polemica sulla legittimità del voto, espressa a più riprese dall’ala renziana del PD, ma anche l’endorsement del segretario del SEL, Nichi Vendola, nei suoi confronti. Un 15% di preferenze che avrà un impatto determinante sulla consistenza del sostegno a Bersani, anche se non sulla sua vittoria.

E’ proprio dalle polemiche sul voto che inizia la tornata di oggi, con l’impressionante dato che attesta al 93% la percentuale di votanti registrati esclusivamente al secondo turno rifiutati per non aver presentato una motivazione valida. Renzi aveva contrastato tale sistema: se il nucleo del PD vota Bersani, mettere fuori gioco gli indecisi sarebbe andato tutto a favore del segretario. Tutto ciò ha però alimentato una polemica deleteria per Renzi: su oltre 2 milioni di votanti, i novantamila esclusi di certo non sarebbero stati determinanti. Alla fine della considerazione, però, neanche Bersani ne esce bene, considerato il valore simbolico di lasciare fuori cittadini venuti ad esprimere il proprio pensiero, oltretutto in una domenica con un tempo dal pessimo carattere.

Forti polemiche sono poi giunte dal comitato per Renzi in Toscana, che ha denunciato forti irregolarità, prima di ricevere la risposta di Luigi Berlinguer, Presidente del Collegio dei Garanti, secondo cui, pur con alcuni disagi, la votazione procede regolare.
E’ poi ancora Berlinguer a rispondere alle voci che parlano di una diminuzione dell’afflusso: si tratterebbe secondo il presidente di un “calo meno che fisiologico“. Secco poi l’intervento di D’alema, riportato dalla Stampa: “Migliaia di elettori non hanno votato? Ci dispiace per loro. Dovevano studiarsi il regolamento prima“. Uno stile invidiabile.

Alla chiusura dei seggi, alle 20:00 giunge, profetico, l’instant poll dell’Istituto Piepoli, per conti di RaiNews24: 61,5% Bersani, 38,5% Renzi. Da quel momento il risultato non si distaccherà più dalla soglia indicata, nonostante l’aggiornamento in tempo reale del sito per le primarie, accompagnato da Repubblica, Stampa, Corriere, Secolo XIX, Adnkronos e Ansa. Centrale, ma non determinante, sembra essere proprio quello schieramento degli elettori SEL accanto a Bersani: dal 45% del primo turno passa infatti al 60%, uno scarto del 15%, esattamente il risultato ottenuto da Vendola.

I risultati regionali attestano un sostanziale dominio di Bersani. La forbice tra i due candidati si mantiene attorno al 20% delle preferenze, fino al picco del 30% in Liguria, Lazio e Sicilia o addirittura del 40% in Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sardegna. Solo poche regioni tamponano tale risultato, tra cui la roccaforte della Toscana, dove addirittura Renzi sorpassa il segretario del 9%.
Il sito in sostegno a Renzi non si rassegna (alle nove e mezza lo attesta ancora al 41,5%), ma è un risultatocomunque forte.

Ancora una volta è Renzi ad ammettere la sconfitta, prima ancora che gli scrutini siano conclusi, quando mancano ancora migliaia di sezioni. Dal palco di Firenze dichiara: “Abbiamo perso, è inutile negarlo, non eravamo qui per fare una battaglia di testimonianza. Se siamo felici di averci provato, dobbiamo avere il coraggio di ammettere che qualcosa non è andato. Quindi volevo chiedervi scusa“. E’ una nota di onestà che fa ben sperare, ma non cambia il risultato, che attesta una forte propensione degli elettori di centrosinistra nei confronti di Bersani, della quale si deve dare atto.

E’ necessario, però, anche oltrepassare le dichiarazioni ufficiali per giungere alle dinamiche di potere che le primarie hanno riattivato all’interno del centrosinistra. A farlo è Dagospia, ipotizzando una spartizione già avvenuta, affinché a Renzi vada il partito e a Bersani il governo. L’evoluzione del ruolo del sindaco all’interno del mare PD andrà a vagliare tale ipotesi, ma da tenere d’occhio sarà l’intero gruppo dei candidati, Vendola in primis. In virtù di quel credito detenuto nei confronti di Bersani per quel 15% di ipoteca un giorno gentilmente ceduto, ai tempi in cui mitologiche primarie giunsero da un luogo lontano e misterioso per annunciarsi al nostro sgangherato paese.

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