Corea del Nord (fonte: Tempi)

L’escalation sul trentottesimo parallelo è ormai ad una fase di svolta. Le relazioni tra nord e sud della penisola hanno visto interrompersi anche la “linea rossa” che collegava Seoul e Pyongyang. Le incognite di questa spirale -alimentata dal caos che sta tenendo impegnate altrove le potenze euro-occidentali- sono però molte. E rischiano di trascinare la Corea -ed eventuali comprimari- in uno scontro le cui conseguenze sono imprevedibili, per portata e conseguenze.

C’è qualcosa di eminentemente stupido in quello che sta accadendo in Corea, su questo non c’è dubbio. Se ciò però si verifica nel procedimento di formazione di un governo, la questione può sostanzialmente rimanere nei binari dell’ordinaria follia (ed ogni riferimento è qui puramente casuale). Se invece accade nei rapporti con un vicino poco amichevole e decisamente ben armato, allora la storia è radicalmente diversa.

Innanzitutto, va sottolineato come il punto centrale a partire dal quale la situazione in Corea è stata analizzata è quello dello sviluppo dell’arsenale nucleare in Corea del Nord, seguendo in sostanza il filone che a partire della questione dell’arricchimento dell’uranio ha dato origine agli attriti con gli USA e alle conseguenti sanzioni dell’ONU nei confronti di Pyongyang. Se si scorre la lista delle potenze nucleari stilata dalla Federation of American Scientists però la posizione della Nordcorea è relativamente bassa, in quanto a numero di testate (meno di 10), specie se paragonata ai maggiori possessori, Russia (8500) e USA (7700). Ciò che in realtà preoccupa in maniera più specifica gli ambienti di Washington non è la produzione nucleare della Corea del Nord in sé, quando il suo recente programma missilistico. Il progressivo riarmo che ha caratterizzato la penisola ha infatti portato nel nord lo sviluppo del cosiddetto Unha-9, un missile intercontinentale che con i suoi 10000 km di gittata lo porterebbe a minacciare direttamente la east coast americana. È quindi questo il nodo del contendere che sta infiammando la penisola, ben al di là dei pur esistenti attriti tra i due paesi. E’ infatti sulla direttrice di Guam, Hawaii e Stati Uniti che la minaccia nucleare della Corea del Nord sembra infatti decisamente più risoluta. Pur rimanendo infatti dubbia l’efficacia su tali distanza della deterrenza che Pyongyang vorrebbe operare nei confronti dell’America in caso di una sua aggressione verso il sud, di certo non viene da pensare sicuramente che intenda utilizzare le proprie testate nei confronti di un proprio vicino, considerata anche la tiepida accoglienza da parte della Cina riguardo l’escalation nei rapporti tra i due paesi. Il punto rimane quindi il puntamento ad Est.

 

Il territorio nordcoreano (fonte: Global Security)

Ciò che appare invece più probabile è l’ipotesi che -approfittando del caos in Siria- Pyongyang intenda portare avanti un blitz direttamente verso Seoul, a poche decine di chilometri dall’area di confine (la quale costituisce ad oggi un’area smilitarizzata). Sembra questa infatti essere una possibilità relativamente facilitata dalle caratteristiche del terreno, ormai sottoposto da decenni a deforestazione, oltre che pianeggiante nell’area che divide Seoul dalla Nordcorea. Il punto è qui che entrambi i paesi hanno investito sugli armamenti, spingendoli verso l’utilizzo di tecnologie, in particolar modo nel settore missilistico e dell’artiglieria. L’esercito nordcoreano, stanziato principalmente nel sud del paese, potrebbe quindi utilizzare le proprie forze -nonché, va ricordato, la propria ideologia- proprio nell’impatto con la Corea del Sud, tramite un settore che ad oggi viene pesantemente sottovalutato. La Corea del Nord ha infatti sviluppato nel tempo un arsenale chimico di tutto rispetto (gas mostarda, fosgene, sarin e V-agent). Le prospettive del suo utilizzo in un eventuale conflitto sono evidentemente terrificanti, specialmente in considerazione della metodologia con la quale eventualmente l’esercito altamente ideologizzato della Corea del Nord potrebbe sostenere lo scontro. La Corea del Nord è pensata come un popolo in armi, e nessuno può permettersi di dimenticarlo, specie i suoi vicini.

Va infine aggiunto che la morte di Kim Jong-Il ha lasciato lo stato in mano ad un successore come Kim Jong-Un, mediocre e per questo decisamente più pericoloso del suo predecessore. È difficile pensare quindi che l’avvicinamento operato dal padre possa andare oggi in porto, proprio grazie a questo personaggio e all’incognita che lascia sia sulle sue capacità sia sull’influenza che avrà su di lui lo Stato Maggiore. Certo è invece che un eventuale conflitto trascinerebbe la Corea in una voragine devastante, dalla quale non potrebbe trarre alcunché di buono. E su questo la grettezza di alcuni personaggi coinvolti nell’operazione -francamente- non lascia molto di cui sperare. Non può, in mezzo a tanta mancanza d’intelligenza, fatta di parossistici proclama e espressioni ottuse. Il prezzo più alto di questa kafkiana rappresentazione però potrebbero essere proprio i coreani. Le popolazioni locali che -si sa- in mezzo ai virtuosismi lirici di un idealismo riformatore non sanno che essere tenera e poetica carne da cannone. Chissà che non debbano anche ringraziare.

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