Soprannominata The Mother of the Civil Rights Movement, Rosa Parks è oggi un’icona internazionale della lotta contro la discriminazione razziale. In seguito alle vicende storico-sociali degli ultimi anni, conoscere la sua storia appare più importante che mai.

Il “no” che ha fatto la storia

Era il 1° dicembre 1955 e negli Stati Uniti d’America vigeva la segregazione razziale che imponeva una separazione totale tra i bianchi e i c.d. “colored people”: scuola, lavoro, negozi, fontanelle dell’acqua e anche mezzi di trasporto.
Quel giorno una giovane sarta di nome Rosa Parks saliva su un autobus di Montgomery, in Alabama, per tornare a casa da lavoro. Non trovando alcun posto libero nel settore dedicato alle persone di colore, decise di sedersi nella zona comune, accessibile a entrambe le razze, ma vigente la regola per cui un nero doveva dare la precedenza a un bianco.
Alla richiesta da parte dell’autista di liberare il posto a sedere per un uomo bianco appena salito, Rosa Parks si rifiutò e venne arrestata con l’accusa di “condotta impropria”.
Il suo semplice atto di protesta innescò una lotta da parte della comunità afroamericana in tutto il paese. Lo stesso Martin Luther King, un giovane pastore di Montgomery e attivista per la National association for the advancement of colored people (NAACP) organizzò, insieme ad altri membri, il boicottaggio di tutti i mezzi di trasporto della città per oltre un anno.
Il caso di Rosa Parks catturò l’attenzione mediatica e nel 1956 giunse di fronte alla Corte Suprema, che dichiarò l’incostituzionalità della segregazione razziale sui bus dell’Alabama.
La lotta per i diritti civili dei neri continuò, fino al Civil Rights Act del 1964, con il quale si proibì ogni forma di discriminazione nei luoghi pubblici.
Infine Rosa Parks si è spenta nel 2005 all’età di 92 anni, dopo aver dedicato la sua vita a lottare per i diritti degli afroamericani.

Black Lives Matter

Le parole di Rosa Parks sono tornate a essere di nuovo attuali qualche anno fa, il 25 maggio 2020, quando, in piena pandemia, un agente della polizia di Minneapolis ha ucciso l’afroamericano George Floyd, soffocato dal ginocchio che il poliziotto gli premeva sul collo. La morte ingiusta di Floyd ha suscitato grande scalpore e ha generato negli Stati Uniti e in tutto il mondo proteste contro la violenza nei confronti delle persone di colore.
Un ruolo molto importante è stato ricoperto dall’organizzazione globale Black Lives Matter (BLM), fondata nel 2013 e avente come obiettivo quello di combattere la supremazia bianca.
Inoltre, il movimento BLM, insieme ad altri gruppi attivi nello stesso settore, ha presentato al governo federale una proposta di legge chiamata il BREATHE Act. Riprendendo le ultime parole di George Floyd mentre stava morendo, il bill americano si prefigge di modificare il sistema di sicurezza pubblica, per investire nella società e garantire la salvaguardia della comunità nera dagli abusi della polizia.

Un progresso molto lento

Dalla pacifica ribellione di Rosa Parks sono passati ben 68 anni. Fortunatamente possiamo affermare che molte cose sono cambiate e migliorate. È possibile osservare un maggiore impegno a livello internazionale per combattere la discriminazione razziale, in primis dall’ONU e le sue agenzie, ma anche a livello nazionale, ad esempio in Italia è presente dal 2003, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR).
Eppure, le violenze e gli abusi contro le persone di colore non si sono esauriti.
Più recentemente, nel mese di luglio di quest’anno, la polizia ha ucciso con il taser un afroamericano di nome Jawan Dallas. Secondo quando riferito dall’avvocato della famiglia le sue ultime parole sarebbero state “non voglio essere come George Floyd”. Purtroppo, è proprio la fine che ha fatto.

La necessità di una rieducazione sulle questioni etnico-razziali appare più impellente che mai, e non solo nel paese del melting pot per eccellenza quale gli USA.
Viviamo in una società priva di barriere concrete, che ci permette di viaggiare e instaurarci ovunque nel mondo. L’incontro con persone e culture differenti è inevitabile. Occorre dunque armarsi di principi quali il rispetto e la tolleranza dell’altro, per garantire a tutti un vivere civile.

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