New York, 11 settembre 2001: in una mattina di fine estate, chiunque lavora e passeggia senza temere minaccia alcuna. Eppure, di lì a poco, le famose Twins Towers vengono colpite, e l’orrore regna sovrano. E’ di rito ogni anno il ricordo di tale evento, l’attentato più sanguinoso nella storia degli Stati Uniti, capace di traumatizzare il mondo intero e di ripercuotersi inevitabilmente sull’intero equilibrio globale. Oggi viene oggi commemorato e ricordato come “l’attacco alle Torri Gemelle”, ma in realtà si trattò di una serie di attacchi coordinati contro il Paese, ai danni non solo del World Trade Center, ma anche del Pentagono e Capitol Hill, anche se quest’ultimo bersaglio venne mancato.

La quota delle vittime crebbe sempre di più, non trattandosi solo di chi si trovava nei luoghi colpiti, ma anche dei passeggeri dei Boeing che vennero dirottati dai terroristi. Il bilancio complessivo raggiunse un totale di 2977 deceduti, esclusi i 19 attentatori divisi in 4 aerei, e compresi i vigili del fuoco che cercarono di salvare i cittadini.

L’attentato venne rivendicato dalla celebre organizzazione sunnita Al Qaeda (“La base”) capeggiata dal fondamentalista islamico Osama Bin Laden. Egli era uno dei principali nemici degli Stati Uniti a causa del coinvolgimento di questi ultimi nei conflitti a scapito dei musulmani e a favore dello Stato di Israele.

I bersagli colpiti non furono casuali, rappresentando difatti dei simboli: il Pentagono si riferisce al potere militare, Capitol Hill a quello legislativo, le torri a quello economico e alla metafora della globalizzazione.

Il ricordo odierno non si limita alla compassione verso le vittime e le famiglie, ma anche a denunciare il terrorismo affinché questa piaga possa essere debellata il prima possibile. Purtroppo, l’attualità ci sta mostrando uno scenario ben diverso da quello sperato, infatti nulla si fermò nonostante l’eliminazione fisica di Bin Laden.

Perché la minaccia terroristica è ancora così viva e frequente?

La comunità internazionale ha risposto al terrorismo in maniera risoluta e collaborativa, concentrandosi sulla sinergia fra le parti. Bisogna innanzitutto individuare il modus operandi: di base questi atti si caratterizzano per un assoluto disprezzo verso la vita non solo delle vittime, ma anche dei fautori stessi. Sono infatti stati cresciuti e addestrati in un contesto di duri regimi, carenza di risorse e spesso bombardamenti, arrivando a pensare che la loro esistenza valga ben poco. Di conseguenza, è facile che queste persone possano crescere succubi di un meccanismo molto più grande di loro, il quale usa la disperazione di questa gente e la muta in freddezza, rendendola pronta a compiere le loro missioni. Esse spesso implicano addirittura il suicidio, o comunque la facile cattura.

Dalle bombe a Madrid del 2004, ai vari attentati di Londra e Parigi, moltissime città europee hanno vissuto cruentissimi episodi di violenza di questo genere. Ogni volta che ricorre un anniversario o una commemorazione per uno di questi eventi, purtroppo ne ricordiamo sempre degli altri simili che si sono susseguiti in precedenza o successivamente. Bisognerebbe parlarne come un brutto ricordo, e invece viviamo dei continui deja-vu quando meno ce lo aspettiamo, che sia durante la giornata lavorativa o in dei felici momenti di condivisione come può essere un concerto.

La situazione geopolitica non è mai stata delle migliori, e nell’ultimo periodo la guerra e la devastazione sembrano non avere fine. Viviamo nell’era dello sviluppo, ma esso è enormemente scoordinato, portando molte zone a regredire anche umanamente, e di conseguenza trascinando il resto del mondo a vivere, direttamente o indirettamente, molti incubi. La Russia è un Paese che occupa ultimamente una posizione senz’altro scomoda, dato il trattamento che sta riservando al popolo ucraino. Ma al tempo stesso si tratta di una situazione anche difficoltosa, soprattutto per la sua popolazione civile. Ed ecco che, nel bel mezzo degli squilibri mondiali, durante un momento di svago e condivisione umana e artistica come un concerto, arriva l’ennesimo attentato terroristico a ricordarci cosa significa avere paura. D’altronde, questo è l’obiettivo primario del terrorismo, così come suggerisce il termine stesso.

In generale, morto un terrorista se ne fa un altro, infatti la furia omicida non dipende dalle idee di una singola persona o gruppo ristretto, ma siamo di fronte a una vera e propria ideologia estremista di massa che minaccia chiunque non vi sia allineato.

In particolare, nel 2014 è nato un nuovo gruppo, ossia lo Stato islamico di Khorasan. Esso ha perpetuato attacchi anche al resto dell’omonima regione, ossia “la terra del sole”, che comprende parti afghane, iraniane e anche pakistane. Il loro obiettivo primario, è ovviamente la fondazione di un nuovo califfato, ma nello specifico vogliono inglobarvi anche alcune ex repubbliche sovietiche, come l’Uzbekistan, il Turkmenistan e il Tagikistan.

Ciò rappresenta una minaccia bella e buona per la Russia, che già aveva sperimentato sanguinosi attentati e stragi. Un esempio sono i 15 morti nella metropolitana di San Pietroburgo nel 2017. Inoltre, l’intelligence russa aveva fermato, poco prima dell’attentato del Crocus City Hall, una cellula del Khorasan che pianificava un attacco contro una sinagoga di Mosca. Quindi, questa organizzazione, si oppone da anni a Vladimir Putin, così come Bin Laden aveva egli stesso combattuto ai tempi contro l’occupazione sovietica dell’Afghanistan, e contro quella militare americana in Arabia Saudita, considerata illegittima.

Aver cercato giustizia per l’11 settembre, e per tutti gli altri attacchi, può anche aver funzionato nell’immediato, con l’individuazione ed eliminazione degli artefici. Ma ancora prima che ciò ogni volta avvenga, una nuova forza si sta già formando, senza preoccuparsi minimamente dell’uccisione dei loro uomini una volta arrestati.

L’importante è proseguire la missione, quindi l’urgenza risiede non nello spegnere o anticipare i singoli attacchi, ma nel rimuovere direttamente le basi da cui il tutto ha inizio, e che ovviamente sono nascoste. Ma anche ciò non basterebbe, perché puoi eliminare persone, quartieri generali, se vuoi anche intere città, ma l’idea è l’arma più potente che esista. Al Qaeda, per esempio, volle colpire l’America per ispirare e quindi mobilitare i musulmani di tutto il mondo per unirsi alla loro causa.

Fra le critiche rivolte alla “guerra contro il terrore” (che fu a dir poco immediata tramite l’invasione americana dell’Afghanistan), capeggiano la questione del rispetto dei diritti umani, la legalità delle operazioni militari, e soprattutto l’efficacia a lungo termine di esse. Tali considerazioni sono a dir poco legittime ogni qualvolta che, come in questi giorni, assistiamo all’ennesima notizia relativa al terrorismo globale.

La colpa di questa evidente inefficacia può anche risiedere nel fatto che la guerra al terrorismo fu una guerra “di reazione”, decisa molto rapidamente in balia della foga e rabbia. Infatti, in un attimo le certezze sulla sicurezza del paese americano erano crollate. Ne consegue la mancanza di una strategia e di un vero e proprio obiettivo preciso.

Quello che manca, e che ci fa aumentare di anno in anno i ricordi legati al terrorismo, è la capacità non tanto di evitare gli attacchi in sé, bensì di evitare LA NECESSITA’ di essi. Bisogna spezzare l’alimentazione del terrorismo internazionale con molta più energia del solito ed eliminando i vantaggi che otterrebbero dalle loro azioni. Inoltre, spesso l’occidente tende a rispondere alle lotte alimentando involontariamente il nemico, poiché si propone una risposta tanto sanguinaria quanto lo sono gli attentati.

Ovviamente tutto ciò non è semplice, e per il momento il passato ritorna troppo spesso a essere il presente.

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