Le grandi potenze hanno sempre cercato, fallendo, di trasformare l‘Afghanistan in un focolaio per le loro ambizioni geopolitiche. Dal protettorato britannico dell’Ottocento all’occupazione sovietica del secolo scorso (il famoso “Great Game“), fino ad arrivare al nostro secolo ed agli Stati Uniti, l’ultima superpotenza a subire una sconfitta catastrofica nel paese, dopo due decenni di una guerra rivelatasi inutile ed infruttuosa, e a contribuire ad accrescere la concezione dell’Afghanistan quale “tomba degli imperi“. Il nuovo Grande Gioco cinese nellanella tomba degli imperi Claudio Palazzi
Adesso, tuttavia, il paese mediorientale è tornato nuovamente ad essere un Emirato islamico dopo il regime del ’96 e, tra non molto, la Repubblica Popolare Cinese approfitterà dell’ascesa dei talebani e si “sostituirà” agli USA. Ma per quale motivo? E, soprattutto, in che modo? Il nuovo Grande Gioco cinese nella tomba degli imperi
Il nuovo Grande Gioco cinese nella tomba degli imperi
GLI OBIETTIVI DELLA CINA IN AFGHANISTAN
La Cina persegue due obiettivi principali nell’Emirato: promuovere negoziati e prevenire l’ascesa di forze terroristiche. A questo proposito, la Cina si affida al dialogo coi talebani, per cercare di evitare una possibile espansione del conflitto, e a relazioni intensificate con Russia, Iran e Pakistan, gli altri Paesi asiatici interessati al “grande gioco afgano”. L’Afghanistan, infatti, è strategicamente situato in un hotspot che collega il Medio Oriente, l’Asia centro-meridionale e l’Europa. Per questo motivo la Cina considera il paese come un importante pezzo di puzzle geopolitico tra Pakistan e Iran, i quali hanno già approfondito i loro legami con Pechino sotto le iniziative per la costruzione della Belt and Road Initiative (BRI), la Nuova Via della Seta ed il relativo China-Pakistan Economic Corridor (CPEC).
Il CPEC consiste principalmente di progetti che coinvolgono autostrade, ferrovie e gasdotti energetici tra Pakistan e Cina e quest’ultima potrebbe includere l’Afghanistan creando un collegamento terrestre diretto con il Pakistan. Attualmente, la Cina è il secondo più grande partner commerciale dell’Afghanistan, ma può aumentare significativamente il suo volume commerciale attraverso un collegamento terrestre diretto con Islamabad. I colloqui sulla costruzione di una strada principale tra l’Afghanistan e la città pakistana nord-occidentale di Peshawar indicano che questo potrebbe essere il primo grande progetto all’interno del CPEC nel prossimo futuro.
Ma la terra afgana fa gola a Pechino soprattutto perché è un tesoro nascosto. Un tesoro ricco delle famose “terre rare“, un gruppo di 17 elementi chimici tra cui lo scandio, il gadolinio o il lantanio, le cui proprietà li rendono necessari per realizzare prodotti di alta tecnologia. Non solo si trovano in beni di largo consumo come smartphone e televisori, ma sono fondamentali anche per la “green economy” in quanto essenziali per realizzare pannelli fotovoltaici e auto elettriche. Si stima che, in totale, l’Afghanistan abbia risorse minerarie per un valore compreso tra uno e tre trilioni di dollari. Il nuovo Grande Gioco cinese nella tomba degli imperi
L’altro grande obiettivo di Pechino in Afghanistan è contrastare il terrorismo, scoraggiando, principalmente, un possibile supporto talebano agli uiguri, una minoranza turcofona e islamica, presente nella provincia cinese dello Xinjiang, vittima di brutali violazioni dei diritti umani perpetrate dal governo centrale, fino all’accusa di genocidio. Una stretta repressiva che si unisce alla povertà, alla disoccupazione e alle disuguaglianze sociali denunciate dagli uiguri che sono riusciti a fuggire all’estero, spesso con grave rischio della loro incolumità personale e dopo aver subito maltrattamenti o autentiche torture nei “centri di rieducazione” cinesi dello Xinjiang. Tuttavia, dopo la recente escalation di attentati a Kabul rivendicata dal gruppo terroristico Isis-k, le preoccupazioni cinesi legate a una potenziale escalation del terrorismo islamico, e soprattutto al timore che i talebani non riescano ad evitarla, sono cresciute a dismisura.
LA “REALPOLITIK” DI PECHINO Il nuovo Grande Gioco cinese nella tomba degli imperi
Ma in quale maniera la Cina vuole raggiungere i suoi obiettivi? Il “metodo”, se così può essere chiamato, di Pechino nelle questioni estere, segue il principio della non interferenza. Ciò si traduce in un ordine diplomatico spogliato dei suoi valori (o almeno di quelli della varietà liberale). Ai cinesi non importa il tipo di governo di un paese, o cosa potrebbe fare al proprio popolo, purché non causi problemi a Pechino.
Un ordine, dunque, caratterizzato da un certo pragmatismo. La politica estera cinese si basa sull’idea che gli esseri umani condividono un destino comune e questa idea include una cooperazione win-win e un quadro che enfatizzi lo sviluppo delle politiche di non interferenza.
Inoltre, la Cina ha ampliato il suo coinvolgimento nell’attuale sistema di governance globale e svolge un ruolo significativo nel mantenimento delle norme globali, il che suggerisce una chiara determinazione a promuovere il multilateralismo piuttosto che l’unilateralismo nella comunità internazionale.
Ora i cinesi però sono costretti di fronte alla comunità internazionale a tenere fede al ruolo che si sono auto-attribuiti, quello di salvatori della stabilità mondiale, gli unici in grado di dialogare con i talebani.
Ma è una sfida molto complicata perché se Pechino vuole realmente portarla a compimento, probabilmente il dialogo non basterà e di conseguenza dovrà “sporcarsi le mani”. Il problema è che, se ci si sporca troppo le mani, si rischia di finire proprio in quella tomba degli imperi che, fino a poco tempo fa, si è rivelata fatale per gli americani.