Apartheid a Shuada Street, Hebron

Davanti alle immagini della liberazione di Gilad Shalit e dello scambio di prigionieri tra Israele e Hamas, molti gli interrogativi che sorgono e le riflessioni che seguono. La maggior parte dell’opinione pubblica israeliana non ha visto di buon occhio l’alto prezzo pagato per la liberazione del sergente, mentre in Cisgiordania molti cittadini stanno sostenendo lo sciopero della fame che da 24 giorni viene condotto dai detenuti palestinesi nelle prigioni israeliane, per protestare contro le condizioni detentive. Tra polemiche e festeggiamenti, un’analisi dell’accordo può risultare efficace per comprendere il quadro del conflitto israelo-palestinese. In primis sorge spontaneo chiedersi: chi decide il peso di un prigioniero? Com’è possibile stabilire che un sergente valga quanto mille e  ventisette detenuti e che quindi un uomo pesi quanto mille e ventisette di un’altra bandiera? Si tratta di una considerazione qualitativa che oppone un sergente del prezioso Tzahal a “mille terroristi”, per citare i rotocalchi di Tel Aviv, oppure di un valore etnico? O ancora un’equazione demografica che uguaglia i rarefatti indici di natalità israeliani al timore dell’esplosione demografica araba? Una cosa è certa, questi numeri ricordano che in Terra Santa il valore di un uomo dipende dalla sua fede e dal colore della sua carta d’identità. Uno a mille. Proporzioni che non tornano ma che ricorrono frequenti. A Hebron, per citare un caso significativo, dove l’arteria principale è stata occupata dai coloni israeliani, il piccolo snodo che rimane percorribile agli hebroniti è diviso da un muro che destina solo il 10% della strada agli arabi, per non contaminare i settlers. E’ pur vero che questa teoria degli scambi ineguali è stata osannata come un brillante risultato diplomatico di Netanyahu, che segna un punto a suo favore per la rielezione riportando a casa Shalit, ma la campagna mediatica sull’amnistia lascia molto perplessi. Mentre imperversano le immagini di Gilad Shalit e Roma aspetta -palloncini gialli alla mano- la sua liberazione, l’immagine dei mille palestinesi prima della liberazione è collegata solo alle fotografie degli scatoloni contenenti i loro nomi, depositati sulla scrivania del capo del Dipartimento Amnistie del Ministero della Giustizia israeliano e prima d’ora inglobati nella definizione di terroristi, per semplificare la questione. Ci chiediamo allora di quali delitti si saranno effettivamente macchiati i detenuti scarcerati, per far si che uno Stato come Israele, che considera la sicurezza interna il suo pilastro fondamentale, conceda l’amnistia a mille prigionieri politici? Se tra le liste dei detenuti ci fossero effettivamente dei violenti terroristi, non sarebbe troppo rischioso approvare la loro scarcerazione di massa? Non sarebbe una strategia pericolosa per il prudente Stato ebraico? Risulta chiaro che i mille terroristi di ieri, molti dei quali con condanne di vari lustri, sono gli innocui di oggi, se lo scambio coincide con un aumento di consensi per Netanyahu. Nonostante l’accordo israelo-palestinese abbia sfiorato la questione delle carceri palestinesi, rimane inascoltato l’appello dell’Unicef al governo israeliano, che esorta alla liberazione di tutti i minori presenti nelle carceri di Israele – solo 164 arrestati ad ottobre- e lo sciopero della fame dei prigionieri palestinesi, che si protrae da quasi un mese per la richiesta di migliori condizioni di detenzione e la fine degli arresti arbitrari. E ancora, lo scambio che ha rafforzato Hamas e premiato la strategia del sequestro, non tende forse a delegittimare Abu Mazen ed il governo della Cisgiordania? Quanto questo patto con Hamas ha inciso sul processo di pace in questo delicato momento in cui la Palestina ha inoltrato la richiesta di riconoscimento all’Onu? Molti interrogativi, con un unico denominatore. Bisognerebbe chiedersi se davvero Benjamin Netanyahu stia cercando la pace, o se il ritorno del sergente in patria sia stato solo un atto propagandistico per distogliere l’attenzione da questioni più pressanti e da problemi più spinosi.

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