Emanuele Morganti e Roberta Ragusa, protagonisti di due storie differenti ma allo stesso tempo uniti da un unico destino, quello di aver pagato il prezzo più caro, ovvero quello della vita, entrambi tuttavia senza ricevere giustizia.
Alatri, provincia di Frosinone, è lo scenario che ha visto Emanuele Morganti perdere la vita durante una serata qualunque con gli amici nella discoteca Mirò. Secondo la ricostruzione della procura di Frosinone, Emanuele sarebbe stato aggredito da un gruppo di buttafuori in seguito ad una discussione al bar del locale. Dopo essere stato portato fuori, probabilmente in cerca della fidanzata, si era riavvicinato alla discoteca, ed è a quel punto che sarebbe scattato il pestaggio, con uso presunto di manganelli. L’unico intervenuto in difesa di Emanuele sembrerebbe essere stato un suo amico, che purtroppo non è riuscito ad evitare il destino fatale. Uno dei responsabili dell’omicidio era stato arrestato pochi giorni prima per possesso di un notevole quantitativo di droga, ma subito dopo rilasciato dal Gip. Oggi gli amici, e soprattutto la famiglia di Emanuele chiedono e vogliono giustizia.
Roberta Ragusa, uccisa cinque anni fa per mano del marito Antonio Logli, che ad oggi nonostante la condanna a 20 anni di carcere, si ritrova a girare liberamente, anche in ambienti protetti, per le strade di San Giuliano Terme (Pisa). A febbraio erano state confermate le misure alternative, quali obbligo di dimora in orari notturni e comunicazione degli spostamenti. La domanda più frequente tra i cittadini è: “perché non è in carcere?”.
Questi sono solo due dei numerosi esempi cui potremmo fare riferimento, difatti in Italia un omicidio su due resta impunito e la maggior parte dei colpevoli ottiene copiosi sconti sulla condanna. Ma è giusto che la legge permetta a chi commette omicidio di cavarsela con così poco? Viviamo in un paese in cui sconti e prescrizioni, come anche il non riconoscere l’aggravante, rende del tutto aleatoria la certezza che verrà scontata una pena e fatta giustizia. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo afferma chiaramente che: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”; allora perché si permette che la legge non punisca chi viola il principale dei diritti? Il cittadino di fronte ad una mancanza estremamente importante come quella di sentirsi al sicuro nella propria città, quanto nel proprio paese, dovrebbe colmare l’assenza di un serio intervento della legge nel proteggerci, smettendo di chiedere giustizia e iniziando a farsela da solo?
Sarebbe interessante sapere in che modo un cittadino possa sentirsi tutelato se chi compie un illecito, si ritrova a scontare, sempre che la sconti, una pena ridotta. È, infatti, difficile trovare opinione contraria e rimane il fatto che il singolo non riesce a sentirsi sereno anche nelle situazioni più banali, continuando a percepire sempre di più l’assenza dello Stato. La sensazione più comune potrebbe essere quella di rabbia, soprattutto perché spesso le condanne si attenuano quando i “riflettori si spengono”. Altra sensazione di dissenso condivisa è quella riguardo il ruolo del giudice: le pene sono difatti sanzioni che vengono inflitte dal giudice stesso una volta accertata la responsabilità del soggetto. Viene spontaneo, quindi, domandarsi se nel loro giudizio ci sia qualcosa di erroneo, che non torna e se di conseguenza sia necessario sanzionare chi commette errori di valutazione così gravi.
Le opinioni divengono divergenti invece quando si tratta di farsi giustizia da sé. Può risultare talvolta giusto poter ricambiare con la stessa moneta, a dispetto della mancata condanna che ne sarebbe dovuta conseguire; allo stesso tempo vi sono coloro che non lo ritengono assolutamente auspicabile in alcun caso e si augurano che lo stato non metta in condizione di arrivare a tanto. Non vi sono dubbi però sul fatto che se tutti cercassero giustizia da sé la situazione diverrebbe incontrollabile e sopraffatta da sovversivismo totale.
Importante rimane inoltre un eventuale lato psicologico che deriva dalla mancanza di giustizia fin qui rilevata: la scarsa efficacia della legge in materia di omicidio provoca un aumento dei casi in cui quest’ultimo avviene? I pareri sono nuovamente contrastanti. Al contrario di chi ritiene possibile questa eventualità, vi è chi crede fermamente che per quanto necessario un cambiamento, il disturbo di chi commette crimini gravi sia imprescindibile dal pensiero di un eventuale condanna.
Secondo la teoria preventiva, la pena è necessaria affinché il soggetto che ha compiuto reato non possa commetterlo nuovamente e al fine di dissuadere altri dal cadere nello stesso errore. In caso di omicidio, però, con la volontà di infliggere una pena, non si tenta solo di “punire”, ma anche di sottrarre un’infinitesima parte di ciò di cui è stata privata la vittima stessa: la libertà di vivere la propria vita.
Ottimo articolo, ampiamente condivisibile.
Articolo puntuale che riprende fatti recenti e non per aiutare la nostra memoria a non dimenticare. La memoria è forse l’unica giustizia che le vittime, per ora riceveranno.