Fonte: Matteo Pascoletti
“Presidente Napolitano scrivo queste righe per comunicarle che ha perso il mio rispetto. Lo scrivo a beneficio di chi leggerà, dunque, e non suo.
Lei, Presidente Napolitano, non ha perso il mio rispetto in quanto Presidente della Repubblica. Ho pieno e totale rispetto per questa carica al punto che, nello scrivere queste poche, dolenti righe, è la carica da Lei ricoperta a spingermi a ricercare toni adeguati, a tenermi lontano da insulti o parole volgari, nei Suoi confronti, a tenere a freno lo sdegno furente per lo scempio da Lei perpetrato. Ho pieno e totale rispetto per questa carica al punto che mi impongo di separarla da chi la ricopre, poiché ci sono state altre persone prima di Lei a ricoprire la carica di Presidente della Repubblica, e io intendo parlare del rispetto che ho perso per Lei, non certo per chi l’ha preceduta o per chi, eventualmente, la seguirà. Ho pieno e totale rispetto per questa carica al punto che ogni grammo della mia coscienza civile s’infiamma di sdegno per la Sua decisione, Presidente Napolitano, di firmare il legittimo impedimento, l’ennesima rata che Lei sta facendo pagare agli italiani mentre ciò che resta della Repubblica italiana è svenduta legge dopo legge, decreto dopo decreto, ad un manipolo di malfattori. Circostanza ancora più riprovevole è il fatto che lei sta svendendo qualcosa di cui è garante, ossia la Costituzione, ma di cui non è proprietario. Lei ne è garante, e quindi ne è custode. Se il custode di una casa di proprietà di più di cinquanta milioni di persone vendesse quella casa senza l’autorizzazione legale di tutti i proprietari (tutti e cinquanta milioni), come andrebbe definito quel custode? Lei non può dare a qualcuno qualcosa che non è suo, Presidente, e per questo ha perso il mio rispetto.
Presidente, Lei non è un precario che guadagna ottocento euro al mese, magari in nero, non vive sotto il continuo, orribile ricatto di un licenziamento che significherebbe una condanna alla miseria, alla strada. Lei non è un giovane laureato che, nel provare la strada da dipendente pubblico, a prescindere dalle qualità individuali è stritolato dalle logiche clientelari dove le eccezioni sono sempre più rare, al punto che chi riesce a farsi avanti davvero con i propri mezzi è visto con odioso sospetto e invidia meschina da chi gli sta vicino, perché se ce la fai, in Italia, è impossibile pensare che tu non sia il servo compiacente di qualcuno. Lei non è una giovane coppia che ha paura all’idea di avere figli perché non sa se avrà i soldi per pagare l’affitto tutti i mesi. Lei non è una donna che, nel fare un colloquio di lavoro, è costretta a mentire alla domanda: “è fidanzata? Ha intenzione di sposarsi?”. Ho rispetto per queste persone, per la frustrazione, il dolore e l’angoscia con cui pagano i compromessi e i ricatti che non sempre riescono ad evitare. Ma Lei, Presidente Napolitano, ha il mandato di tutti gli italiani per opporsi a chi tratta la cosa pubblica come un’azienda privata, ha il medesimo mandato che hanno avuto i suoi illustri predecessori. Lei non è realmente minacciabile o ricattabile: se lo fosse, Lei non dovrebbe in alcun modo ricoprire la carica di Presidente della Repubblica, dovrebbe immediatamente correre a denunciare chi l’ha minacciata. Ma Lei ha invece scelto di garantire a chi l’ha minacciata l’impunità per legge, e per questo ha perso il mio rispetto.
Lei non ha mai smentito la notizia circa le minacce che Lei stesso avrebbe ricevuto dal Presidente del Consiglio quando si è trattato di firmare il decreto salva-liste, notizia riportata dal quotidiano “Il messaggero” e da Bruno Vespa. Dal momento che non ha smentito la notizia, e dal momento che, soprattutto, non è stata smentita dal Presidente del Consiglio, chiunque abbia a cuore l’amore per la verità e non voglia colpevolmente voltare dall’altra parte la propria coscienza è moralmente obbligato a ritenerla un Presidente sotto minaccia, e quindi inadatto a svolgere il delicato ruolo che ricopre. Quanto alle minacce, quali sono le piazze da temere? Quelle semideserte viste in occasione della manifestazione del Pdl? I 150mila manifestanti contati da una questura così clemente da diffondere i dati dopo la fine delle edizioni serali dei tg più seguiti, ossia tg5 e tg1? È bene ricordare che un numero non imprecisato di manifestanti era stato pagato per partecipare, nel pieno spirito di un governo convinto che le persone siano in vendita. Ma se anche fossero stati davvero un milione, se anche la maggioranza degli italiani fosse d’accordo con questo declino morale, economico e sociale lungo cui l’Italia si sta inabissando, è bene sfatare una volta per tutte questa colossale scusa, questa menzogna che solo un Potere convinto di poter prosperare sull’ignoranza gretta ed autocompiacente può divulgare. Consenso non significa autorità; non in una democrazia, non nella Costituzione su cui hanno giurato i ministri di questo Governo e il Presidente del Consiglio. Hitler andò al governo vincendo regolarmente le elezioni e da lì inizio a gettare, pietra dopo pietra, le basi per il Terzo Reich. Mussolini ricevette l’incarico di formare il suo primo governo dal Re: sempre il Re firmò le leggi razziali. Le pagine più nere della storia del ‘900 iniziarono grazie o al consenso, o grazie alla firma di una carica dello Stato. Iniziarono in seno alla legge. E chiunque, leggendo questa verità inoppugnabile, si sta indignando e vorrebbe magari urlare “e Stalin, allora? E Castro? Pensa ai comunisti, piuttosto!”, chiunque nel segreto della propria mente sta procedendo ad analizzare o ingiuriare il dito che indica il cielo piuttosto che guardare il cielo, può essere definito solo in un modo: stolto. Stolto, sì, perché la possibilità che ha questo paese di salvarsi da se stesso non risiede certo nel vivere la società come gli spalti di uno stadio, insultando le opposte tifoserie e, perché no, i giocatori di colore.
Presidente Napolitano, quando sarà il momento di raccontare alle generazioni successive ciò che è successo in Italia in questi ultimi vent’anni, ciò che sta succedendo, io non avrò alcun problema ad indicarla tra coloro che avrebbero potuto opporsi e non si è opposto. Non avrò alcun problema a paragonarla a Ponzio Pilato che condannò a morte Cristo e salvò Barabba, il criminale famoso, per evitare disordini popolari. Questa non è più la Repubblica italiana. È la Repubblica di Barabba.”