Gli esseri umani amano le storie. Prima di Netflix, prima della televisione, della radio, della stampa di Gutenberg che ha reso la letteratura ampiamente disponibile, avevamo la parola, l’oralità. Miti, racconti popolari, infinite storie personali e nazionali, che ci aiutavano a definire e dare un senso alla nostra esistenza. La gente si sedeva intorno al fuoco, al focolare, e ascoltava queste storie degli dei, degli antenati e delle stelle. Tuttavia, quelle stelle sono ormai dei fugaci bagliori nel cielo, appena visibili nelle accecanti metropoli, e il loro posto è stato preso da ben altre star, quelle dell’industria cinematografica. L’ incanto del focolare domestico si è lentamente consumato e oggi i nostri occhi restano ammaliati piuttosto dal neon degli schermi. Siamo vicini a un secolo dall’avvento della televisione, un mezzo che ha ridefinito la trama stessa della nostra identità collettiva. In un’epoca antecedente alla programmazione televisiva accessibile alla massa, e prima ancora dei siti streaming su internet, le persone si affidavano ai giornali, alla radio, alle scuole, alla religione e ai genitori per ottenere informazioni che non erano facilmente reperibili sulle strade in cui erano cresciuti. Prima c’era la tradizione parlata. È facile per noi dimenticare che l’alfabetizzazione non era sempre un dato scontato per l’uomo medio, la capacità di leggere e scrivere era vista come un privilegio e molti non avevano il lusso di una tale educazione, così potevano esserci solo poche persone che fungevano da propagatori di informazioni all’interno di una comunità. E quanto dovevano essere apprezzati i migliori cantastorie. Quanto devono esser stati importanti durante gli interminabili inverni o le afose serate estive. Oggi noi ci rivolgiamo a poche figure prescelte, relativamente parlando, per questa guida, evasione, e forse soprattutto per l’intrattenimento. Una parola che da sola potrebbe non avere molto peso. Eppure, tutti noi ci divertiamo e desideriamo ardentemente una cosa in particolare: essere intrattenuti, e questo compito viene assolto da scrittori, registi e dai volti che danno vita ai personaggi, gli attori. Anche se non intendo presentarmi come una discepola dello schermo, né voglio esplorare le ripercussioni negative di un’eccessiva indulgenza in questa attività c’è da considerare che non tutta la televisione è degna di merito, e ora nell’anno 2022, con canali apparentemente inesauribili, produzioni stravaganti, e la popolarità di vacui reality show; ci sono molte critiche giuste da sollevare sul merito artistico o il valore del tempo speso di fronte allo schermo. Certo, ad oggi sarebbe difficilmente immaginabile un mondo senza internet e tutti i vantaggi che ne derivano. E se da un lato, dopo una lunga giornata di lavoro saremo grati alla tecnologia per averci offerto un cinema domestico alla portata di un click, dall’altro non possiamo chiudere gli occhi di fronte alle possibili conseguenze di questo progresso, senza diventare troppo Orwelliani in questa breve digressione. La televisione non può essere considerata separatamente da internet nonostante il processo di selezione dei programmi sia un po’ diverso sulla Rai, rispetto a Netflix o Prime video, l’esperienza tende ad un medesimo scopo: guardare uno spettacolo.
Vorrei raccontarvi tre serie che a mio parere valgono il vostro tempo. Naturalmente, ci sono molte produzioni epiche tra cui scegliere: Peaky Blinders, The Young Pope, Il Trono di Spade, Breaking Bad, L’Amica Geniale, Modern Family, Friends…la lista potrebbe continuare all’infinito. Vorrei però concertarmi su alcune serie meno note al grande pubblico e che, a mio avviso, non solo intrattengono ma stimolano alla riflessione facendo luce su alcuni degli aspetti piu’ fumosi delle vite che conduciamo.

“Il mio nome è Mrs. Maisel, grazie e buonanotte”

La prima è “La Fantastica Signora Maisel”, la commedia drammatica del 2017 ambientata nell’agiato ed emergente quartiere di Manhattan. La protagonista è Miriam ‘Midge’ Maisel, una bella, amabile e carismatica giovane donna sposata, la cui vita apparentemente invidiabile si scontra con un conflitto fin dagli esordi della prima stagione. Le apparenze ingannano e benché’ questa premessa potrebbe apparire sintomatica di una trama scontata e priva di rischi, non dobbiamo affrettarci a giudicare questo show. La serie è il frutto di una scrittura intelligente e schietta che ritrae personaggi memorabili e sottotrame intriganti. Mappa, abbastanza delicatamente, come i ruoli sociali e le aspettative delle donne si stavano rapidamente modificando durante quell’epoca. Per certi versi si potrebbe pensare a riferimenti femministi, ma la storia di Midge trasuda idee sociopolitiche di rottura che vengono espresse con leggerezza e umorismo. Rivela una profondità di contenuti che non è mai pedante o eccessivamente moralistica e la velata critica mossa alla società non sembra mai volta ad una demonizzazione dei costumi dell’epoca. Dipinge il ritratto variegato di un’umanità imperfetta, congelata in consuetudini arretrate, frustrata e allo stesso tempo compiacente del ruolo che occupa nel marchingegno sociale. Il personaggio di Miriam è soggetto a molti soprusi, da parte di suo marito, dei genitori, della società, eppure non veste mai i panni della vittima. È una donna che entra nel mondo profondamente maschiocentrico della stand-up comedy della downtown Newyorkese. Dove, in quel periodo, si verificava la transizione da una comicità slapstick un po’ “rudimentale” ad una scena comica irriverente e politicamente carica, una temperie culturale che stava sbocciando sulle spalle di personaggi come Lenny Bruce. Una rappresentazione diretta e un omaggio al famoso comico non fittizio che gioca un importante ruolo di supporto all’interno della serie. Un simbolo dell’ideologia che cambia rapidamente, tanto quanto la signora Maisel stessa. La commedia si snocciola in modo naturale nella sua narrazione, tra frangenti più profondi e circostanze scanzonate e goliardiche. “La Fantastica Signora Maisel” è una serie, a mio avviso, profondamente riuscita nel suo descrivere la natura grigia delle relazioni, della famiglia, della società e dell’identità. Facendo tutto ciò con un’arguzia giocosa, ma ben sviluppata, colpi di scena drammatici, momenti di morbida malinconia e un calore cordiale.

“Ti chiedi mai se sono una cattiva persona, Rust?”

La seconda serie a cui mi vorrei dedicare è “True Detective” (stagione 1). Il thriller drammatico del 2014 segue le vite di due detective, Rustin ‘Rust’ Cohle (Matthew McConaughey) e Martin ‘Marty’ Hart (Woody Harrelson), impegnati nel tentativo di far luce su una serie di omicidi elaborati e brutali nello stato meridionale della Louisiana. La narrazione non lineare si articola tra flashbacks e flashforwards che rivelano progressivamente i protagonisti allo spettatore. La serie esplora i temi della mascolinità esasperata, della decadenza sociale, della tossicodipendenza, della religione e della salute mentale attraverso le performance stellari di McConaughey e Harrelson. Le interazioni, la chimica e il contrasto tra i due protagonisti sono magnetici da guardare. I personaggi sono ricchi di sfumature e, quando in coppia, generano una potente dicotomia tra l’uomo forte, stoico, imperfetto, che beve whisky, spiritoso (Martin) e l’archetipo maschile più introverso, incline alla melanconia, disturbato e di sani principi (Rustin). Entrambi i personaggi sono ritratti prima e dopo l’evento che cambia la loro vita, il caso che si prefiggono di sciogliere. Nonostante l’immediata ammirazione che lo spettatore si sentirebbe di nutrire per via dei loro gesti eroici, la realtà rivela che entrambi questi uomini stanno avanzando su una corda sottile tesa tra debolezza e virilità, bene e male, aspirazioni e nichilismo. Sono entrambi individui profondamente imperfetti, e dietro il loro contegno burbero c’è una vulnerabilità e un’impotenza che non possono permettersi, o sopportare di rivelare. Lo show è stato originariamente concepito come un romanzo dal suo creatore Nic Pizzolatto, che alla fine ha intuito che sarebbe stato più congeniale ad un riadattamento televisivo, e una volta che avrete avuto il piacere di guardarlo è difficile non essere d’accordo. È necessario a questo punto fare una precisazione, sebbene ci siano diverse serie che condividono il titolo di “True Detective”, ognuna ha una trama autonoma, con personaggi diversi, attori e temi. In questa mia breve introduzione ho preso in considerazione la prima stagione della serie come un’esperienza a sé stante che consiglio vivamente.

“Tutte queste possibilità, alla fine non sai più cosa vuoi”

Infine, vorrei parlare del dramma fantascientifico britannico del 2011, “Black Mirror”. Come nel caso appena esaminato anche “Black Mirror” è una serie antologica, ma a differenza di “True detective”, la trama, i personaggi e i temi si alternano ad ogni episodio, piuttosto che ad ogni stagione. Ogni episodio ci cala in un’atmosfera, fastidiosamente realistica, che ci introduce al tema della interazione tra la società e la tecnologia. Dalla realtà virtuale ai social media, lo show descrive in modo toccante e viscerale il cambiamento epocale circa il modo in cui comunichiamo, consumiamo informazioni e viviamo le nostre vite mentre siamo costantemente interconnessi, inseriti in un contesto in cui la linea tra il mezzo tecnologico e l’individuo non è mai stata così ambigua e confusa. Ogni episodio sembra un film relativamente breve in cui si articolano le iperboliche rappresentazioni della nostra società attraverso storie ambientate in futuri distopici, sia vicini che lontani, che affrontano i temi dell’alienazione e della simbiosi tra uomo e macchina. Lo spettacolo non si sottrae al suo intento, che è evidentemente quello di criticare la normalizzazione di certe manifestazioni culturali all’interno della moderna società tecnologica e mettere a nudo la complessità e la follia di certi aspetti di questo nuovo ambiente elettronico a cui tutti partecipiamo, in un modo o nell’altro. Nonostante alcuni episodi siano più incisivi di altri, raramente ci ritroveremo delusi. La serie affronta coraggiosamente una fitta gamma di questioni di interesse contemporaneo, e per quanto l’esagerazione intenzionale impiegata dagli scrittori sia talvolta scomoda da tollerare, è difficile accantonare questa lettura quale una collezione di meri futuri ipotetici visti attraverso occhi cinici. Una “fantasiosa” esasperazione della realtà che ci traghetta istantaneamente in un futuro forse più vicino di quanto vorremmo ammettere. Ironicamente, questa è una serie che vi farà discutere internamente se guardare un altro episodio, o se buttare la televisione dalla finestra.

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