Malta: un paradiso fiscale con un futuro tutto da definire
Nel bel mezzo del Mediterraneo, a fare da ponte tra l’Europa e l’Africa, troviamo l’isola di Malta, ex colonia del Regno Unito, che ha ottenuto l’indipendenza in tempi relativamente recenti, nel 1964. Tuttavia, in seguito all’indipendenza, mantenne la Regina d’Inghilterra come Capo di Stato, fino al 1974, quando divenne ufficialmente una Repubblica. Successivamente, nel 1980, terminò anche la protezione militare britannica dell’isola, che venne garantita dalla Repubblica Italiana, grazie ad un trattato bilaterale. La repubblica è entrata a far parte dell’Unione Europea nel 2003, in seguito ad un referendum popolare, e dal 2008 ha aderito alla moneta unica dell’Euro.
Malta ha un’economia molto solida: per il quinto anno consecutivo l’economia maltese registrerà una crescita del PIL di oltre il 5%, primato di tutta l’Unione Europea e ben distante dalla media UE, che vede una crescita media dell’1,4%. Tuttavia, dietro questi primati economici, l’isola nasconde alcuni lati oscuri: negli ultimi anni è nota per essere diventata il paradiso fiscale dell’Unione Europea.
Questo ha attratto molti stranieri: in particolare molti italiani (vista la vicinanza geografica). Grazie ad una tassazione molto agevolata, tanti italiani hanno aperto aziende offshore, con sede a Malta, per sfuggire alla pesante pressione fiscale dello Stato Italiano. L’Unione Europea ha condannato questo status di paradiso fiscale, ma per imporre la rimozione del potere di veto maltese per le leggi in materia fiscale servirebbe l’approvazione unanime di tutti gli Stati membri.
Malta, per via della sua posizione geografica, è anche al centro del problema dei migranti: l’isola è il porto europeo più vicino alle coste libiche, ma Malta ha spesso negato alle ONG lo sbarco nei propri porti, le quali ripiegavano sull’Italia, che a sua volta, con il governo giallo-verde rifiutava di aprire i propri porti. Con il cambio di governo italiano, nel mese di settembre, il nuovo ministro degli interni italiano Lamorgese, insieme ad altri omologhi di alcuni paesi europei come Malta, Francia e Germania, hanno firmato un accordo sulla redistribuzione dei migranti proprio a La Valletta, capitale di Malta.
L’accordo ha come obiettivo quello di superare in futuro la convenzione di Dublino, che regola attualmente il diritto d’asilo in Unione Europea. Quest’accordo di La Valletta, però, presenta alcuni lati oscuri: coinvolge solamente pochi paesi europei (quando dovrebbe essere premura di tutta la comunità interessarsi al problema) ed inoltre, è un accordo di redistribuzione solamente su base volontaria e coinvolge solamente chi sbarca tramite ONG o mezzi militari, sono dunque esclusi tutti quelli protagonisti dei cosiddetti “sbarchi fantasma” che sono la maggioranza degli sbarchi registrati sulle coste europee.
Malta, nonostante l’indipendenza ottenuta nel 1964 è rimasta molto legata al Regno Unito: l’inglese è una delle lingue ufficiali, è un membro del Commonwealth ed ha affinità giuridiche e legislative che richiamano il Common Law britannico. Malta e Regno Unito continuano a scambiare e ad avere anche ottimi rapporti, nei settori della salute, della sicurezza sociale, nella cooperazione finanziaria. Senza dimenticare, che Malta è anche una delle mete turistiche più ambite dai cittadini britannici.
Questa vicinanza ideologica al Regno Unito potrebbe preoccupare l’Unione Europea nel caso si realizzasse la Brexit: Malta onorerà i suoi impegni con l’Unione Europea o tornerà ad essere l’avamposto britannico del Mediterraneo? Questo, fino a che non si realizzerà la Brexit non siamo ancora in grado di saperlo, ma in un’Unione Europea dove non si riesce a fare blocco sulle questioni principali e si è divisi su quasi tutto, Malta potrebbe farsi coinvolgere da un possibile progetto di “impero” britannico post Brexit, con grosso danno per l’Unione Europea.