Seni seviyorum: l’amore sulle rive del Bosforo (prima parte)

Ilker esce dalla bottega e si siede sul bordo del marciapiede: ha deciso di prendersi un attimo di pausa e stringe tra le mani un elegante bicchiere di vetro, colmo di tè caldo e scuro.

La strada tranquilla, quasi deserta, così lontana dal fragore della metropoli turca, mormora appena il suo buongiorno.

Istanbul è sveglia giorno e notte: non passa secondo senza avvertire il continuo transitare delle automobili, il perenne andirivieni di barche e traghetti da una sponda all’altra dello stretto del Bosforo, il garrito affamato di decine di gabbiani alla ricerca di avanzi di pesce e briciole di simit.

Paradossalmente, il coro sincronizzato dei muezzin, sparsi tra tutte le moschee della città, funge non solo da richiamo alla preghiera, ma anche da invito a fermarsi per un istante a pensare, a guardare il cielo limpido sopra la propria testa, a dare importanza al profumo delle castagne proveniente dal venditore nel parco, o allo sguardo preoccupato di un ragazzo intento a scegliere, dalla fioraia grassoccia e cordiale, il mazzo di fiori più bello da regalare alla fidanzata.

Ilker osserva con attenzione questi dettagli, soprattutto da quando ha cambiato quartiere: stanco del caos, dei corridoi labirintici e al chiuso del Gran Bazar e, spronato dall’affitto fin troppo alto, ha scelto di traslocare a Balat; ormai ha una certa età, non gli interessa più contrattare con i turisti e vendere il più possibile, né farsi pubblicità.

Ilker sa di produrre le tipiche lampade turche più belle di tutta Istanbul: in qualità di artigiano sopraffino e rigoroso, seleziona la pasta vitrea più lucida e robusta, per poi romperla delicatamente con cacciavite e martello, pezzo per pezzo, con un’idea già precisa nella mente; dopo ulteriori levigature ai frammenti disordinati, comincia a comporre il suo piccolo capolavoro, quel mosaico policromatico che una lampadina, dall’interno, metterà in risalto in tutta la sua armoniosità.

Il negozio di Ilker, seppur minuscolo, è come uno scrigno prezioso, pronto ad espandersi in un’altra dimensione, fatta solo di luci e colori: entrandovi, si viene travolti dalle migliaia di variopinte sfumature luminescenti le quali, filtrate da quei pezzetti di vetro all’apparenza senza valore, si intersecano e si fondono nell’aria in arcobaleni infiniti, avvolgendo le pregiate lampade sospese, dalla struttura in ottone, esse stesse fonti di tanta onirica bellezza.

Nonostante l’invadenza ininterrotta di un simile abbacinante riverbero, unita ad un soffitto e a degli scaffali carichi di queste lampade dallo stile inconfondibile, l’abile artigiano ha trovato spazio anche per qualcos’altro: un tappeto persiano impolverato protegge il pavimento antico in legno di quercia, mentre alla parete troneggia una foto in bianco e nero di Ataturk, in una posizione così centrale e prestigiosa da lasciare in secondo piano i ritratti della famiglia.

L’angusto e spartano bancone si contrappone al resto della stanza: in realtà, dopo aver dato un’occhiata fugace al bollitore elettrico, alla scatola di legno intagliata degli incassi giornalieri e ad una cartolina spiegazzata raffigurante la città tedesca di Ratisbona, esso custodisce, se ci si sporge un po’ verso l’interno, due soffici cuscini ricamati, con tracce di peli e fili tirati.

Kemal e Mustafà adorano ronfare in quell’angolo morbido e nascosto, lontano dagli sguardi più indiscreti: Ilker è molto protettivo verso i suoi due gatti e, quando li vede tornare un po’ in ritardo dalle loro scorribande mattutine e dell’imbrunire, si preoccupa subito; mai avrebbe immaginato di diventare così apprensivo per le due bestiole fulve, ormai diventate parte integrante della sua esistenza, come due fratelli minori da tenere sempre sotto controllo.

Ma conosce anche la loro indole intraprendente e libertina: se la passeggiata si prolunga un poco, vuol dire che sono riusciti ad estorcere una merenda extra dal pescivendolo dell’isolato accanto, oppure stanno facendo la corte a qualche sfortunata gatta in calore… non c’è motivo di preoccuparsi.

D’altronde, Balat è un quartiere estraneo alle ampie strade a larga percorrenza e alla folla febbrile che invade il Mercato delle spezie: è un luogo che, nel cuore storico di Istanbul, riesce ad appartarsi, a ritagliarsi un po’ di quiete, attirando i turisti più selezionati e curiosi di scoprire uno dei tanti volti della città, forse quello più intimo e antico.

Balat sembra una cittadina a sé: ovviamente l’inconfondibile impronta della metropoli turca è dietro l’angolo ma, secondo Ilker, da questa particolare prospettiva spaziale è possibile evadere e viaggiare con l’immaginazione, addirittura arrivare in un altro continente; le caratteristiche vie a saliscendi gli ricordano le ripide colline urbane di San Francisco, l’atmosfera ruggente e psichedelica della West Coast, forse troppo mondana rispetto all’ambigua sacralità della sua nazione, ma tanto accattivante, lontana dai ristretti confini della sua bottega.

Ilker racconta che una volta, osservando le abitazioni colorate del suo quartiere, si era mentalmente catapultato in una perfetta e ricercata città nordica, forse Bergen o Stoccolma, o magari si era spinto ancora più lontano, nelle silenziose isole Svalbard… ma non era abituato a quel freddo artico anche in piena estate e si era subito risvegliato a Istanbul; l’aroma caotico ma piacevolissimo di curry, cumino, cannella e cardamomo messi insieme gli aveva dato conforto immediato.

Per quanto ami sognare altri mondi e culture, Ilker non lascerebbe mai la sua cara e tumultuosa Istanbul, soprattutto ora, con la nuova sistemazione, essendo finalmente riuscito a conciliare la sua crescente ricerca di pace con l’irresistibile bisogno di convivere con il trambusto di altri quindici milioni di abitanti.

Quando si congeda, per qualche istante, dal suo universo di lampade multicolori per affacciarsi all’esterno, respira a pieni polmoni l’aria salmastra proveniente dal mare, mentre si mescola con l’odore del merluzzo a vapore, che lui stesso ha cucinato per Kemal e Mustafà: i due gatti si avvicinano con diffidenza alle ciotole piene fino all’orlo, poi le svuotano con fare sornione, per passare alla pulizia di fine pasto; le lingue ruvide frizionano il pelo e le zampe, che si trasformano in un fazzoletto per il muso e in un cotton-fioc per quei loro occhi verdi dalle scintille dorate.

Ilker, mentre si rilassa ad osservarli, di tanto in tanto alza lo sguardo, puntandolo verso l’orizzonte, verso il Bosforo, sul quale si affaccia quella città sconfinata: dal suo negozio, quasi in cima ad una delle tante stradine collinose del quartiere Balat, riesce a godersi una buona fetta di quel panorama istanbuliota; un’enciclopedia ricca non solo di edifici, gatti e persone fisiche, ma anche di sentimenti sinceri, di batticuori, di romantiche dichiarazioni.

Il maestro del vetro policromo ama perdersi anche nelle storie d’amore, in quegli ineffabili e preziosi incontri del destino che la sua città è in grado di suscitare: basta una panchina, un ballo improvvisato o un casto bacio ed ecco che si crea la magia, due cuori ignari si incontrano attraverso gli occhi stupiti e puri di chi ne è rimasto coinvolto senza difese.

Prendono vita un dedalo di unioni speciali e momenti da ricordare per sempre, perché leggiadri come una farfalla in cerca del ciliegio che deve ancora aprire le sue gemme più belle.

Stavolta è la realtà ad ispirare la fantasia ed Ilker, emozionandosi lui stesso, intrattiene turisti e passanti con le sue narrazioni, tratte da vicende reali infarcite di un pizzico di spontanea poesia.

In turco fluente o in inglese stentato, non importa: ciò che conta è donare, a chi sa davvero ascoltare, una dimensione parallela, concreta come il suo elegante e luminoso mondo turco, evanescente e magnifica come l’innamoramento inaspettato.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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