Tra i rumorosi ed eterni cantieri della via Tiburtina e il traffico di via Nomentana sorge Ponte Mammolo. Un quartiere di Roma che conosco bene, sembra cristallizzato nel tempo così incastonato nel verde di due grandi parchi. Ignorato dalle grandi progettazioni rimane quasi in una dimensione a misura d’uomo, da quando è sorto in maniera spontanea.          Il quartiere deve il suo nome ad un ponte romano del V secolo oggi non più visibile perché distrutto dai francesi nel 1849 per ostacolare la difesa di Garibaldi della Repubblica Romana.

Nel 1956 nell’ambito del piano INA-casa iniziano dei lavori per realizzare le principali costruzioni. Prima di questa iniziativa l’edilizia relativa a quest’area non era espressione di una volontà progettuale, ma comunque fu sempre presente una edificazione di iniziativa privata su una importante consolare. Il lotto si estende dalla via Tiburtina alle sponde del fiume Aniene. “Ricordo ancora mio padre che mi chiamava per vedere il risultato dell’esondazione del fiume in inverno” dice mamma.

Nonna si trasferisce da Cinecittà e venendo a Ponte Mammolo trova tanto verde e tranquillità. Nel 1966 le sembra un paese con persone accoglienti e negozi rustici. Nonno era cresciuto in una traversa di Via Casal de’ Pazzi nella palazzina costruita dal padre, dipendente della Solvay di Via Tiburtina.

Il quartiere è luogo di passaggio anche per Pasolini che per un breve periodo, all’inizio degli anni ‘50, vive nei pressi del carcere di Rebibbia. La casa di via Giovanni Tagliere 5 è la sua prima abitazione a Roma. Personaggio di mezzo tra le notti nelle borgate e la frequentazione della vita mondana di giorno, i suoi ricordi mettono in evidenza l’estrema semplicità della borgata “tutta calce e polverone” e la vicinanza al carcere. La casa, che doveva essere venduta all’asta, anche grazie alla mobilitazione di realtà di quartiere, è ora proprietà del Comune.

Nel 1980 nonna si trasferisce con il marito e due figlie piccole nel nuovo grande palazzo di via Casal de’ Pazzi. Mamma sorride pensando al nascondino e ai giochi tra i ponteggi che sembravano un Luna Park, il palazzo quando erano arrivate era ancora in costruzione. Le famiglie erano tante e i ragazzi formavano gruppi per divertirsi insieme. Con meno simpatia mamma ricorda pomeriggi di delusione quando i genitori non la facevano scendere alla festa di quartiere. Questo carattere forte Pontemammolo lo ha sempre avuto e lo ha anche ora, con un comitato di quartiere molto attivo anche oggi. “Qui ci manca tutto non ci serve niente” si legge scritto sul murales di Zerocalcare che ti accoglie alla fermata della metro Rebibbia .

Proprio l’arrivo della metropolitana, inaugurata nel 1990 cambia molto la zona avvicinandola al centro della città. Prima di essere il capolinea della metro B, un “autobus rantolante” collegava il quartiere a Montesacro e da lì si arrivava in centro. Mezzi di superficie collegano oggi Pontemammolo al quartiere di San Lorenzo e ai quartieri vicini come Casal de’ Pazzi e Talenti. Con la metro il quartiere diventa più affollato e multiculturale, oggi frequentato anche da turisti e studenti, evidenziando tratti da quartiere-dormitorio. Un’idea questa che non sembra essere condivisa da chi vive qui che da anni lotta per la riqualificazione e contro il degrado.

Risultato di queste proteste sono i murales che spezzano il grigiore dei grandi palazzi del complesso abitativo di Casal de’ pazzi. “L’evoluzione della vita sulla Terra”, murales di Blu è una spirale di colore che rappresenta quello che resta come stratificazione della storia del nostro pianeta. “Càpita” altra opera di Blu rappresenta le disparità sociali  tra i pochi eletti che possono godere nel tuffarsi in un’acqua cristallina e le masse di gente comune che deve accontentarsi delle poche risorse e delle acque putride rimaste. Una metafora dell’ingiustizia sociale che tanto caratterizza le periferie ma Pontemammolo ha un’anima tutta diversa.

Zerocalcare invece si ritrova a Rebibbia quando si trasferisce a Roma e al quartiere è molto legato. Durante il lockdown racconta la vita quotidiana della”Rebibbia quarantine”. Evidenzia le caratteristiche di un quartiere oggi multiculturale e dal grande carattere e orgoglio. Spesso infatti questo figura nei suoi libri come in “La profezia dell’armadillo”. “ Rebibbia è il quartiere del carcere e il capolinea della metro B. È difficile che queste due caratteristiche facciano colpo su una ragazza. Ma anche noi abbiamo il nostro fiore all’occhiello.” “Lo sai che a Rebibbia abbiamo un mammut” racconta con i fumetti Zero alla ragazza. E il mammut a Rebibbia c’è veramente. Negli anni ‘80 infatti degli scavi portano alla luce diversi fossili di animali estinti e non. Tra questi, vengono rinvenute le zanne di un mammut. I ritrovamenti sono ospitati nella struttura museale, il Museo di Casal de’ Pazzi, collocata oggi dove nel Pleistocene scorreva un fiume. Sul muro esterno del museo si trova il murale dell’artista Jerico dal titolo “Riflessi”. Questo è uno specchio che ci restituisce la ricostruzione del paesaggio dell’antico fiume come una finestra temporale.

In questa “terra di mammut, tute acetate, corpi reclusi e cuori grandi” (dal murale di Zerocalcare) possiamo proprio dire che forse, per chi lo guarda dall’esterno, non lo conosce, non lo vive può sembrare un posto al quale manchi qualcosa, ma nel viaggio tra la storia presente e passata, le chiacchiere e i racconti di artisti e anziani al bar mi sento di dire che non sia affatto così e una visita la meriti: “Welcome to Rebibbia”.

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