Il 16 ottobre 1943, alle prime luci dell’alba, 300 soldati guidati dal generale Kappler si presentano al Ghetto di Roma. Bussando porta a porta, ordinano ai residenti di raccogliere i loro oggetti più preziosi in 20 minuti.

Alle 14 di quel giorno, il rastrellamento si conclude e 1024 ebrei vengono portati in via della Lungara a Palazzo Salviati. Il 18 ottobre, dalla stazione Tiburtina, vengono trasferiti al campo di Auschwitz in carri bestiame.

Solo 16 persone sopravviveranno alla deportazione e torneranno a Roma. Tra i superstiti, una sola donna che al momento della tragedia aveva 22 anni: Settimia Spizzichino. Nessuno tra i più piccoli degli abitanti del Ghetto farà ritorno.

Oggi il Ghetto è uno dei quartieri più interessanti di Roma. Nonostante non esistano più confini da attraversare, è ancora una porta aperta su una dimensione storica terribile, ma che è sempre importante ricordare.

Ad ogni angolo del quartiere si può leggere un ricordo caratterizzato da tradizioni antiche e recenti. Oggi è sempre acceso, frequentato dai turisti per gustare i piatti tipici della cucina kosher e carciofi alla Giudia, o per i numerosi locali, bar e pasticcerie.

Passeggiando nelle poche vie del quadrilatero che occupava solo tre ettari, incastonate nei muri si possono ancora notare le testimonianze di secoli di vita della comunità ebraica. I suoi simboli, come la stella a sei punte, la Menorah o candelabro a sette braccia, sono visibili su un portone in marmo murato e sul cornicione di un edificio che risale al 1400.

I suoi simboli, come la stella a sei punte, la Menorah o candelabro a sette braccia, sono visibili su un portone in marmo murato e sul cornicione di un edificio

Questi sono i segni che testimoniano le storie di occupazione libera e di quella coatta. Quest’ultima, stabilita da un Papa nel 1500, definisce il confine del “serraglio degli ebrei”. Successivamente si aggiungono delle vie al ghetto originale quando un Papa, nel 1800 fa abbattere il muro che lo limitava per far costruire i muraglioni lungo il Tevere.

La zona è ancora oggi, prevalentemente pedonale, ciò sembra favorire un attraversamento lento. Ogni angolo, ogni targa, mattone o pietra sembra chiedere un attimo di attenzione, e basta uno sguardo per ricordare. Di auto ne transitano poche a distrarre il passante nei vicoli troppo stretti e sembra di fare un viaggio nel passato. 

Ho partecipato a una visita guidata teatralizzata del Ghetto e le sensazioni che le luci, i sorrisi e i sapori mettono a tacere, emergono lentamente quando si ascolta una storia che per noi è ancora una ferita aperta.

Si parte dalla storia romana, testimoniata dal Portico d’Ottavia. In particolare dalla lettura dell’editto del Papa che per primo costrinse la comunità entro i confini delle porte del quartiere. Si dedica così un momento alla riflessione quando si arriva al cortile di via del Portico d’Ottavia numero 13.

Via del Portico d’Ottavia numero 13, cortile interno

L’indirizzo è quello descritto nel libro della storica Anna Foà, che descrive il lungo inverno del ’43. Si sofferma sugli abitanti, i vicini di casa, interno per interno, che vengono forzati e portati via. Ricorda coloro che non sono riusciti a fuggire dalle terrazze, sotto la minaccia dei fucili. Alzando gli occhi, sembra ancora di vederli cercare la fuga tra i balconi e le soffitte di un quartiere cresciuto e sviluppatosi con così poco spazio disponibile.

Dentro un cortile raggiungibile attraverso un arco, la guida ci parla di Celeste di Porto. La giovane ragazza, appartenente alla comunità ebraica, era soprannominata “la stella di Piazza della Giudia” per la sua bellezza. La giovane aveva relazioni con i nazisti e nel quartiere oggi è ricordata per  avere venduto al prezzo di 5000 lire a persona, gli appartenenti alla comunità. Altre volte in cambio di oro e pellicce, ha collaborato con i tedeschi durante la seconda guerra mondiale.

Mentre la guida racconta la storia, una signora interviene dalla finestra dicendo “la chiamavano la Pantera Nera, altro che stella”. La rabbia della signora brucia ancora, come il dolore della collettività e di Roma tutta. Questa città non è colma solo di una storia grandiosa e imponente , ma anche di quella di violenze, della disperazione e della sofferenza della gente. 

Il 27 gennaio si celebra il giorno della memoria, e ci viene spesso ripetuto che non dobbiamo dimenticare, per poter scongiurare un futuro di guerre, odio e sofferenze.

Tuttavia, ogni giorno ci troviamo di fronte ad immagini di bombardamenti, fosse comuni, rastrellamenti e giustizie sommarie. Ci sono persone che cercano rifugio, ma vengono respinte e costrette a vagare per l’Europa, provate psicologicamente, stremate e spesso malate. Tuttavia, queste persone non ricevono accoglienza che nei luoghi sovraffollati che ricordano più un ghetto che un luogo sicuro per sopravvivere.
Vorrei poter dire che la storia ci ha insegnato qualcosa, ma non sembra essere così.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here