Brexit si fa reale: cosa succede adesso

Brexit è ufficiale. Il 31 gennaio alle ore 23 di Londra, dopo il via libera del Parlamento e del Consiglio europeo, il Regno Unito è uscito dall’Unione Europea, a ormai più di tre anni dal referendum del 2016 e 47 anni dopo l’adesione del 1973. A partire da ora ci sarà un periodo di transizione di un anno circa, in cui verranno definiti i nuovi rapporti commerciali con gli ex partner europei e con il resto del mondo. Nel frattempo il Regno Unito resterà nell’unione doganale e continuerà a contribuire al budget dell’Ue, senza però partecipare alle decisioni politiche.

Ci saranno ovviamente dei cambiamenti riguardo alla circolazione delle persone, se pur non stravolgenti, ma l’aspetto principale ancora da trattare è quello puramente economico, accordi commerciali in particolare. Le imprese si stanno muovendo già da tempo per adattarsi, ma nei prossimi mesi dovranno accelerare i tempi.

L’accordo di ritiro è stato raggiunto, quindi la tanto temuta hard brexit è stata evitata. Tuttavia le imprese, finanziarie e non, stanno cercando di prevedere i prossimi sviluppi durante la transizione e ad agire di conseguenza. I primi effetti già si sono manifestati negli ultimi tre anni di incertezza, con un calo degli investimenti ed una fuga di capitali verso l’Ue.

Questo ha contribuito al deprezzamento della Sterlina contro l’Euro di oltre il 10% dalla data del referendum. Oltre che ai capitali, a fuggire da Londra sono le imprese stesse, tanto da parlare di “Brexodus”. Molte, tra cui le giganti Jp Morgan e Goldman Sachs, hanno spostato la sede legale in Ue e la lista sembra destinata ad allungarsi. Le mete preferite sono Dublino, Francoforte e Rotterdam.

Il Brexit Barometer di Bloomberg, un indice che stima la reazione dell’economia britannica a Brexit, è passato in quest’arco di tempo da 35,8 a -9,7, indicando quindi un impatto negativo. Tuttavia non è facile attribuire solamente a Brexit il rallentamento del Regno Unito, in un contesto di stagnazione europea e di incertezze a livello globale.

Ad oggi, dunque, il bilancio sembra pendere a favore dell’Europa. Si teme tuttavia una sorta di no deal 2.0. Nel caso in cui infatti i negoziati non vadano a buon fine, le ricadute commerciali danneggerebbero le imprese (e i lavoratori) coinvolte in entrambe le economie, andando a complicare un quadro già ostico per via delle aggressive politiche commerciali di Usa e Cina. In questo senso sarà determinante come agiranno le imprese in termini di investimenti e commercio.

Il Regno Unito è un paese importatore. Secondo International Trade Center circa 360 miliardi di dollari dall’Ue, di cui 25 Made in Italy, in particolare per quanto riguarda cibo, abbigliamento ed automobili. Questi prodotti, allo scadere del periodo di transizione, dovranno passare per una dogana, che comporterà comunque un costo economico indiretto.

L’impatto sarà per lo più in termini di efficienza, ovvero i costi legati alla logistica e alla riorganizzazione della struttura operativa, a cui vanno aggiunti anche i costi fiscali dovuti all’IVA. Infatti il Regno Unito, non facendo più parte dell’area doganale e fiscale europea, verrà trattato come un paese terzo secondo le regole della World Trade Organisation.

Nel peggiore dei casi entreranno in vigore dei dazi per alcuni prodotti. L’ipotesi è piuttosto verosimile, considerando la brevità del periodo di trattativa a disposizione. Tra i numerosi temi da negoziare vi sono tra l’altro la condivisione di dati, il traffico aereo, le forniture energetiche, ma anche il settore agroalimentare e il diritto alla pesca.

Se è certo che Brexit avrà un impatto negativo sul commercio da entrambi i lati, in particolare per paesi esportatori come l’Italia, il quadro per quanto riguarda gli IDE (investimenti diretti esteri) è più complesso. Negli ultimi anni si è assistito ad un deflusso di investimenti dalla City, essendo questi molto sensibili al rischio e all’incertezza, che per ora ha favorito l’Ue.

Secondo le stime di Confindustria, una riallocazione degli IDE potrebbe generare una crescita del Pil italiano dello 0,4%, comunque non sufficiente a compensare gli altri effetti negativi. In ogni caso bisogna aspettare il nuovo status quo per farsi un’idea più chiara della direzione che prenderanno gli investimenti. Un contesto commerciale sfavorevole, infatti, potrebbe rilanciare gli IDE a danno delle esportazioni, generando un nuovo afflusso verso il Regno Unito.

Il 31 dicembre termina il periodo di transizione, chiudendo definitivamente la telenovela Brexit. Da quel giorno in poi i rapporti economici tra Ue e Regno Unito saranno sicuramente meno favorevoli, anche se verrà perlomeno superata l’atmosfera di incertezza che ha caratterizzato gli ultimi anni. In ogni caso Brexit rappresenta una sconfitta, anche morale, in un momento storico in cui serve un’Europa più unita che mai.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

 

 

 

 

 

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