Il nazionalismo indiano e le comunità musulmane
Citofoni suonati da segretari di partito, presidenti che si atteggiano a Sultani e prove di forza che minacciano guerre mondiali. Che piaccia o meno, nel 2020 l’Uomo Forte va di moda, e con lui l’intolleranza. Chi osserva la politica italiana, europea o americana lo sa bene. Ma c’è un dato che potrebbe sfuggire ancora a qualcuno: il fenomeno è globale.
Non ci metteremo qui a elencare i vari paesi che, negli ultimi 5 anni, hanno visto la ribalta di movimenti di destra più o meno xenofoba, nazionalista nel senso più intransigente del termine. Possiamo però suggerire un caso, forse sconosciuto ai più: l’India.
La politica indiana
Indipendente dal 1947, l’India è una Repubblica Federale. Per questo, condivide l’assetto politico di molte Repubbliche europee: un potere esecutivo affidato al Consiglio dei Ministri sotto la tutela del Presidente della Repubblica, un potere legislativo affidato a due camere, una bassa (Lok Sabha) e una alta (Rajya Sabha).
Essendo una Repubblica Federale, i partiti politici seguono tre ordini di grandezza: nazionale, statale e locale. Ente deputato alla loro organizzazione è l’ECI (Election Commission of India), che ne registra rispettivamente 7 nazionali, 47 statali e 1600 totali.
Per molto tempo (10 elezioni su 16) il partito prevalente è stato l’Indian National Congress (INC), storicamente legato alla dinastia politica Gandhi-Nehru.
Le elezioni del 2014 però hanno visto il risultato più basso di questo partito (45 seggi su 545 nel Lok Sabha), premiando di gran lunga l’opposizione, il Bharatiya Janata Party (BJP).
Esponente di punta del BJP, nonché Primo Ministro al suo secondo mandato, è Narendra Modi (riconfermato nel Maggio 2019).
Le critiche delle opposizioni
Veniamo al sodo: per quale ragione le opposizioni accusano questo governo di discriminazione, candidandolo all’albo dell’intolleranza globale ?
Tralasciamo aspetti (per qualcuno) secondari, come la militanza giovanile del Primo Ministro nell’organizzazione paramilitare di estrema destra Rashtriya swayamsevak sangh (Rss).
Le accuse delle opposizioni, almeno negli ultimi mesi, si basano eventi molto puntuali. La combinazione di due provvedimenti che, se incrociati, tradirebbero un’intenzione discriminatoria verso le comunità musulmane del paese.
Ma andiamo con ordine:
- NRC : National Register of Citizens, ovvero il registro dei cittadini indiani, implementato nel 2019 attraverso i censimenti dell’NPR (National Population Register). Già sperimentato nella regione di Assam su indicazione della Corte Suprema, il programma di schedatura tende a individuare cittadini regolari e non. Già questo può costituire un primo filtro poiché, come avvenuto, non sempre è possibile testimoniare una residenza (personale o dei propri antenati) precedente al 1971. Il governo però ha pensato a queste difficoltà, ottemperandole con il provvedimento che segue.
- CAA : Citizenship Amendment Act (2019). Come si legge sul testo del provvedimento “ogni persona appartenente a comunità hindu, sikh, buddiste, jainiste, parsi o cristiane, proveniente dall’Afghanistan, dal Bangladesh o dal Pakistan, non sarà considerata come irregolare se entrata in India prima del 31 Dicembre 2014″. A questo provvedimento si sottraggono le regioni indiane a statuto autonomo.
- Dunque, da una parte abbiamo una schedatura di massa dei cittadini regolari e non, dall’altra una grande regolarizzazione tesa a cancellare (con un anticipo di ben 6 anni rispetto ai 12 richiesti per la naturalizzazione) le difficoltà che potrebbero emergerne.
Fin qui niente di strano, se non fosse che la regolarizzazione sia rivolta a tutte le comunità religiose, tranne una: quella musulmana.
Le opposizioni hanno insistito molto su questo dato, sottolineando come l’India sia una Repubblica Laica che non può accettare un criterio di cittadinanza basato sulla religione.
Il provvedimento violerebbe infatti gli articoli 14 e 15 della Costituzione, che sanciscono l’uguaglianza dei cittadini e il ripudio di ogni discriminazione religiosa, di casta, di genere o per luogo di nascita.
Le repliche del Governo
Attraverso il proprio organo di stampa, Kamal Sandesh, il BJP ha respinto fortemente le accuse delle opposizioni, sottolineando la natura positiva del provvedimento.
Il ministro delle finanze Nirmala Sitharaman, fautrice di una campagna porta a porta per sensibilizzare su queste iniziative, ha dichiarato che “il CAA non è fatto per togliere la cittadinanza, ma per darla. Il resto sono mistificazioni dell’opposizione”.
Il Primo Ministro del Karnataka, B.S Yediyurappa, ha aggiunto “non un solo musulmano sarà penalizzato per via del CAA”.
Dunque l’idea che i due provvedimenti possano costituire un doppio filtro contro le comunità musulmane è respinta dal governo. Questo iniziativa è tesa a dare, non togliere. Nessuno musulmano ne sarà direttamente colpito.
Effettivamente, il provvedimento non attua alcuna discriminazione diretta. Tuttavia rischia di attuarne una indiretta di peso ben maggiore. Pensiamo a tutti quei contesti dove si registra una forte immigrazione irregolare di hindu e musulmani, ad esempio dal Bangladesh. In queste regioni la regolarizzazione (asimmetrica) di tutte le comunità meno quella musulmana, rischia di minacciarne l’identità culturale. Per non parlare delle questioni legate all’insediamento, implicitamente favorito per i regolari.
Insomma, il rischio di vedere soppiantate certe identità, con un esito discriminatorio, è molto concreto.
Ampliando per un attimo la prospettiva, emerge come la discriminazione (presunta o meno, lo lasciamo dire a voi) della comunità musulmana si leghi direttamente alla storica ostilità dell’India col suo vicino, la Repubblica Islamica del Pakistan.
Proprio in questi primi mesi del 2020 si stanno registrando ulteriori tafferugli tra i due paesi nella regione del Kashmir.
Non è difficile riscontrare, tra le dichiarazioni di molto membri del BJP, l’intenzione di reagire con questi provvedimenti alle crescenti persecuzioni religiose dei vicini paesi islamici. https://www.bjp.org/en/kamalsandesh
I musulmani andassero in Pakistan allora ! Una valutazione fuorviante, se pensiamo alle molte minoranze islamiche che subiscono lo stesso trattamento, ad esempio i rohingya.
Il BJP è un partito intollerante ?
La risposta a questa domanda, ammesso che ve ne sia una, non compete a questa sede. Ma possiamo fare alcune osservazioni.
Addentrandoci un po’ nel sito istituzionale del BJP, che si presenta come “world’s largest political party”, possiamo accedere ad alcune nozioni sulla sua filosofia.
In breve, il partito si basa sull’Umanesimo Integrale (Integral Humanism).
Questa filosofia, ricondotta alle riflessioni di Pt. Deendayal Upadhyay, fu formulata ufficialmente nel 1964.
Rivendicando l’autonomia culturale dell’India, si respinge l’emulazione di quei modelli filosofici (gli “ismi”) ricevuti passivamente dall’occidente. Secolarizzazione, Individualismo e Comunismo sarebbero infatti filosofie basate sul conflitto, ricondotto alle lotte tra poteri temporali della storia europea.
L’India però è estranea a questa storia. I suoi modelli culturali, legati all’antichissimo “nazionalismo culturale indiano” (non sorprende la presenza di un mito nazionale delle origini) , sono molto più orientati all’integrazione.
Integrazione delle componenti della società e dell’individuo. Entrambi, possono raggiungere la felicità solo nella completezza, solo se tutte le loro componenti sono orientate nella stessa direzione.
Tutto questo è esemplificato dalla Dea Madre India, Bharat Mata, dea indù impiegata con questa accezione dai nazionalisti indiani di fine ‘800.
Bharat (“la nostra terra”), Mata (“la nostra tradizione e cultura”) e Jai (“l’aspirazione del popolo”).
Segnaliamo di traverso la difficoltà di alcune comunità musulmane, legate all’unicità di Dio, nell’identificarsi in una divinità induista, rischiando esiti politeisti o superstiziosi.
Il programma che ne emerge sostiene un impegno verso il Nazionalismo, l’integrazione nazionale e la democrazia.
Conclusioni
Il BJP è un partito dichiaratamente nazionalista. Allo stesso tempo però, riconosce la natura storicamente eterogenea dell’India, valorizzandone il pluralismo democratico, da sempre compreso nel “nazionalismo culturale indiano“.
Nonostante questo pluralismo (effettivamente il CAA è aperto a moltissime comunità), il BJP non si salva dall’esigenza, propria di molti nazionalismi presenti e passati, di coagulare questa unione attorno al contrasto con un nemico. Le contese geopolitiche dell’India suggeriscono chiaramente il bersaglio.
In India, come in Europa e in molti altri casi, il nazionalismo si fa promotore dell’unità, fondandola sul conformismo nel conflitto (ricorre nel BJP la retorica del “nemico della nazione”).
Nessuno scenario politico, nel 2020, sembra immune da questo rischio.
Direttore responsabile: Claudio Palazzi
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