Il giudice Giovanni Falcone è stato ucciso 21 anni fa, il 23 maggio 1992, sull’autostrada che collega l’aeroporto di Punta Raisi con Palermo, all’altezza dello svincolo per Capaci. Nell’attentato vennero usati 400 chili di tritolo posizionati sotto il manto stradale. Nell’esplosione persero la vita insieme al magistrato palermitano sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro.La scelta di un quantitativo così elevato di tritolo fa riflettere sembra quasi  voler dire: ” se ci ostacoli non solo ti eliminiamo, ma ti spazziamo via letteralmente ”. Questa era la strategia, tremendamente violenta, che veniva messa in atto un ventennio fà da Cosa Nostra.

Fiumi di sangue che venivano riversati per poter eliminare chiunque fosse stato di ostacolo e per incutere quella paura da cui spesso scaturisce il fenomeno dell’omertà di cui tanto si è discusso. Ma già da allora le cosche mafiose ,oltre a manifestarsi in maniera brutale per potersi spianare la strada, si stavano insinuando nel mondo della finanza per poter investire gli enormi proventi derivanti dal traffico di stupefacenti. Come analizzò il giudice Paolo Borsellino,ucciso due mesi dopo Falcone, Cosa Nostra cercò lo sbocco di questi capitali affidandosi a finanzieri dalla dubbia moralità,vedi Sindona, e quale luogo migliore per immettere capitali se non la ricca e prospera Lombardia. Il tristemente celebre Vittorio Mangano, veniva considerato dai due giudici assassinati come la testa di ponte della mafia nel Nord Italia.

Tornando ai giorni nostri e cercando di deliniare un quadro della situazione nel Nord Italia; spicca la presenza non solo di Cosa Nostra, ma con l’aggiunta della ‘Ndrangheta calabrese e della Camorra campana si è venuto a creare un crogiolo di cosche che non cercano di prevalersi a vicenda ma anzi a parere di molti cooperano per la spartizione di appalti,per il controllo del territorio e per tutte quelle attività da cui deriva lucro. Per potere agire indisturbati sono riusciti a permeare nei palazzi governativi della Regione, delle Province e persino di quei Comuni dove mai ci si aspetterebbe di incappare nel fenomeno mafioso.  Citando  Abbate e Gomez, il tutto si può semplificare con una  frase:  ”politica e mafia sono due poteri  che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo.”

Cercando di trarre delle conclusioni, è evidente che il ”mafioso” del terzo millennio non è più quell’individuo sanguinario armato di lupara tanto presente nell’immaginario collettivo, ma per stare al passo con i tempi ha dovuto effettuare una metamorfosi trasformandosi nel classico ”white collar” di cui le borse azionarie di tutto il mondo ne sono piene. Ma la domanda che infine mi pongo è questa: perchè c’è ancora gente in parlamento che propone una legge che dimezzerebbe le pene per chi ha commesso il reato di concorso esterno in associazione mafiosa? Non sono bastate tutte le vittime innocenti che si sono susseguite negli anni? Evidentemente no.

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