Colombia: la guerra è finita?
Bambini, civili, dissidenti, attivisti, politici: un massacro senza fine.
La Colombia ha il triste primato di essere uno dei paesi in cui i conflitti sembrano non avere mai termine. Dall’epoca dei conquistadores spagnoli, passando per i gruppi di forze armate, fino ad arrivare alla situazione odierna, il filo conduttore è sempre lo stesso: la violenza, quella che non guarda in faccia nessuno.
Le radici del conflitto
Quello colombiano è un conflitto durato più di cinquant’anni ma le cui radici devono forse essere cercate più lontano.
Terra colonizzata dagli spagnoli, trova finalmente la sua indipendenza nel 1819. Il protagonista è Simon Bolivar, rivoluzionario che sogna di unire tutte le ex colonie dell’America meridionale in un’unica confederazione. Il fine, brillantemente intuito già all’epoca, è di scoraggiare le intenzioni di conquista delle potenze imperialiste, in primis dell’America del nord.
Per anni la vita politica del paese è sconvolta da pesanti scontri. Liberali, sostenitori di un governo decentralizzato e di una visione laica, e conservatori, centralisti sostenuti dalla Chiesa cattolica. Il minimo comune multiplo è sempre lo stesso: scontri, guerre civili, conflitti territoriali, governi incapaci.
La Colombia è un paese martoriato da una stabilità mai trovata. È protagonista, da oltre due secoli, di piaghe sociali mai risolte. L’ingiustizia economica e politica è sempre alla base del malcontento sociale e la questione della terra non è mai stata cosa da poco per chi non ha molto. Uno stato debole che non riesce a svolgere una funzione di controllo né a sopperire alle necessità della popolazione: ecco un mix perfetto affinché la violenza possa scoppiare.
Nel 1964, in un clima di scarsa alfabetizzazione, tra una popolazione per buona parte rurale, i guerriglieri sono considerati una speranza. Non solo le FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) ma altri gruppi come l’ELN (Ejército de Liberaciòn Nacional), l’ELP e l’M19 trovano terreno fertile.
In un paese con un governo chiuso ed autoritario, come il Fronte nazionale, in cui l’inflazione cresce e la disoccupazione aumenta, le Farc annunciano il loro programma agricolo: cambiare la politica di distribuzione della terra. Lo scopo è lo sviluppo della produzione dal basso, attraverso la confisca dei latifondi e delle terre appartenenti alle compagnie straniere, per consegnarle al popolo. Il processo di disaffezione ha inizio, i cittadini si allontanano dalla politica.
La conformazione ambientale e geografica della Colombia, caratterizzata da zone impervie non minimamente controllate da uno Stato che categoricamente si rifiuta di trattare con la popolazione in materia economica, non fa altro che favorire questi processi.
I gruppi guerriglieri si allargano e prendono potere, acquisendo fonti di finanziamento illegali, negli anni ’80, dal nascente commercio di cocaina. I principali destinatari sono proprio gli Stati Uniti che da qui a poco subentrano, con la giustificazione della lotta al narcotraffico ma che ben presto trasformano in una lotta contro la guerriglia. Sostenuti da un Presidente conservatore e filo americano, gli Stati Uniti mobilitano il “Plan Colombia”: una massiccia assistenza militare per la quale stanziano più di un milione di dollari, solo per iniziare.
Di nuovo migliaia di morti e deportazioni di civili dalle loro case. I massacri triplicano. La Colombia è di nuovo nelle mani di chi spera di trasformarla, legalmente, in un’enorme colonia moderna.
L’accordo di pace di L’Avana
Dopo anni di trattative e dopo la sorprendente bocciatura della prima intesa sottoposta a referendum popolare, a novembre 2016 una luce di speranza.
Tra Farc e governo colombiano viene firmato l’accordo di L’Avana. L’obiettivo è quello di mettere fine al conflitto e di costruire una pace stabile e duratura.
Le Farc, un’organizzazione verticistica composta da un Segretariato di sette persone ed uno Stato Maggiore Centrale (trenta elementi e sessantasette fronti combattenti), hanno la possibilità di trasformarsi in un partito politico, legalmente riconosciuto. Consegnare le armi sotto la supervisione di una commissione delle Nazioni Unite è l’obbligo.
Nell’accordo si toccano vari temi: la soluzione al problema delle droghe, lo sviluppo agrario, il risarcimento alle vittime dei conflitti. Per quest’ultimo è stata prevista l’istituzione di strumenti deputati ad accertare fatti e responsabilità, al fine di definire le riparazioni morali e materiali. Punire i colpevoli, siano essi dipendenti dallo Stato o dalle Farc. Assicurare sostegno umanitario e psicosociale.
In tema di sviluppo agrario, finalmente qualche promessa. L’accordo prevede un piano di distribuzione di tre milioni di ettari e la regolarizzazione di altre terre oggi coltivate da contadini senza alcun titolo di proprietà.
La Colombia oggi
Passati tre anni dall’accordo, il clima non è cambiato di molto.
Secondo i dati dell’Ambasciata d’Italia a Bogotà le condizioni di sicurezza restano critiche, considerati gli alti indici di violenza e criminalità comune ed organizzata. Il tasso di povertà è elevato: oltre la media nazionale del 29,3%, quasi 5 milioni di cittadini colombiani si trovano in uno stato di povertà estrema.
Dal report dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani emerge che il numero di omicidi nel 2018 è aumentato del 164%, rispetto all’anno precedente. Il governo, nonostante gli sforzi compiuti, non è stato in grado di arrivare in modo coordinato nelle zone rurali più remote, dove il conflitto ha generato il massimo impatto.
I massacri continuano anche tra i difensori dei diritti umani, brutalmente assassinati.
Grandi proprietari terrieri e multinazionali hanno al proprio servizio gruppi di paramilitari, in accordo con l’esercito nazionale. Sulle terre, che ancora non appartengono a chi di dovere, questi impresari continuano a farci enormi affari. Nonostante la riforma agraria decantata nell’accordo e la legge 1448 del 2011, sulla restituzione delle terra alle vittime del conflitto, la risoluzione della questione dell’uso e della distribuzione della terra in Colombia è ancora lontano dall’essere risolto.
Un paese il cui governo concentra le proprietà nelle mani di pochissimi, è un paese che permette la miseria, la disuguaglianza, l’ingiustizia. Dopo secoli la Colombia, ed i colombiani soprattutto, non hanno ancora trovato la propria libertà.