Il movimento body positive Cosa NON è la body positivity: sfatiamo il mito del “sì” all’obesità Direttore responsabile: Claudio Palazzi
La body positivity ha tutta l’aria di essere l’ultima moda del momento: il viso di Armine Harutyunyan è il simbolo di Gucci, in passerella sfilano modelle curvy e le influencer iniziano a mostrarsi self confident con i loro difetti nelle instagram stories… ma c’è di più. Come spesso accade per i movimenti di sensibilizzazione quando percorrono la “via del mainstream”, la storia ed il credo della body positivity sono sconosciuti e spesso fraintesi, ormai legati ad un’infinità di falsi miti.

Ma
cos’è davvero la body positivity e perché, in realtà, ci riguarda tutti? Quante volte ci siamo rovinosamente paragonati a standard irraggiungibili, considerandoci inferiori? Quante volte abbiamo esasperato un “difetto” rendendolo ben più significativo di ciò che realmente è… una semplice caratteristica del corpo?

Quello del body positive è un vero e proprio movimento socio-culturale finalizzato a combattere quelle numerose e pervasive realtà discriminatorie legate alla fisicità (il tanto discusso body shaming!), promuovendo, di contro, una nuova narrazione inclusiva, empatica e rispettosa di tutti i corpi, nella loro naturalissima eterogeneità.
Deriva dal movimento della fat acceptance, nato negli anni ‘60-’70 per contrastare la profonda stigmatizzazione sociale verso i corpi grassi; successivamente il concetto è stato esteso ad ogni fisicità non-conforme agli standard, abbracciando negli anni ‘90 il termine “body positivity” sulla base dell’omonima associazione di sensibilizzazione riguardo i disturbi del comportamento alimentare.

“…e la salute?”

I luoghi comuni e i fraintendimenti più gettonati riguardo la body positivity sono perlopiù legati al tema del benessere: dall’accusa di promozione dell’obesità e dei disturbi alimentari all’intramontabile «…e la salute?!», i contenuti social body positive sono bombardati di commenti simbolo di un fenomeno ben più ampio.

Sarebbe impossibile analizzare tale fenomeno senza tenere a mente alcune premesse fondamentali:
1) Il movimento nasce come la promozione di una narrazione secondo cui ogni corpo è valido e dignitoso a prescindere dal “fattore-salute”. Anche nel caso-limite in cui un corpo non fosse in salute, avrebbe comunque diritto ad empatia, inclusione e rispetto.
2) Nonostante inizialmente non fosse un argomento di discussione prioritaria, il movimento è ormai diventato più ampio e inclusivo, costituito da menti eterogenee (seppur direzionate verso una linea comune): l’articolatissimo tema della salute, dunque, è talvolta da esse trattato con pesi e termini diversi. 

Sulla base di tali premesse: il movimento della body positivity NON È in alcun modo una promozione dell’obesità o dei disturbi del comportamento alimentare.
Comprendiamone il perché.

La body positivity combatte i disturbi alimentari

L’obesità è una condizione (non una patologia, non un disturbo alimentare) che caratterizza alcune tipologie di corpi (con un BMI superiore a 30).
disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (DSM-5) consistono in disfunzioni del comportamento alimentare da cui consegue un danno significativo alla salute fisica e al funzionamento psicologico dell’individuo.
L’eziologia di entrambi sembra essere multifattoriale, infatti oltre alla familiarità e alla genetica gioca un ruolo di fondamentale influenza il fattore ambientale: l’attuale narrazione socio-culturale dell’immagine e del corpo e il conseguente fenomeno di derisione del corpo, sono, quindi, fattori predisponenti, precipitanti e di mantenimento di tali fenomeni. 

Per la body positivity tutti i corpi possono fare sportE’ chiaro, dunque, che accusare la body positivity di promozione dell’obesità e dei disturbi alimentari è un profondo fraintendimento della sua essenza: non promuove alcuno standard di salute, bensì apre una finestra sull’autenticità di ogni persona, raccontandola così com’è, contrastando quella stessa narrazione irrealistica e standardizzata che, invece, dovrebbe essere il reale bersaglio delle accuse mosse al movimento.

E’ altrettanto evidente che il fenomeno «…e la salute?» celi una verità ben più ampia e complessa. Si tratta di una preoccupazione fittizia, indice dell’attuale tendenza alla stigmatizzazione dei corpi non-canonici (weight stigma). La salute ed il benessere psico-fisico rappresentano una condizione multifattoriale dalle determinanti infinite, che non possono in alcun modo essere ridotte ai soli fattori visivi, quali l’osservazione del corpo (e l’ipotesi di un peso corrispondente): essi non sono indice del reale stile di vita condotto dal dato individuo, e quindi della sua condizione di salute.

La body positivity non riguarda necessariamente la salute
Credits: Dietista Veronica Bignetti

Tali determinanti, inoltre, sono talmente numerose da non essere individuabili con una sola visita medica. Bisognerebbe superare la concezione dicotomica salute-malattia, è tutto molto più complesso di ciò che siamo abituati a pensare: è impossibile assegnare una “coccarda della salute”. 

Vivere in un corpo “normopeso” una vita di privazioni alimentari, giudizi, aspettative, tentativi di incarnare uno standard di bellezza o di rientrare in una taglia “accettabile”… è veramente salutare? E allora che ruolo giocherebbe la psiche nella comune concezione del benessere?
Sono queste le provocazioni di chi combatte la retorica della salute, protagonista di quella narrazione dannosa a cui la body positivity si oppone. 

Allora… cosa promuove davvero la body positivity?

 Per comprendere davvero la body positivity, basta addentrarsi nella realtà di chi ne incarna coraggiosamente l’essenza, scegliendo di rappresentare la narrazione alternativa al “corpo perfetto” attraverso i propri profili social

La conformazione di un corpo non necessariamente racconta qualcosa sullo stile di vita e sullo stato di salute della persona che lo abita.

Laura Brioschi – tra le altre cose modella, attivista e imprenditrice, creatrice del brand inclusivo The Body Positive Shop e del progetto internazionale The Body Positive Catwalk – parla dell’importanza dell’equilibrio tra salute fisica e mentale: la salute non si misura sempre e solo in termini di centimetri, numeri e chilogrammi.
Collabora con psicologi, nutrizionisti, insegnanti di discipline sportive e artistiche per promuovere uno stile di vita sano, un rapporto amichevole con l’attività fisica (tutti i corpi possono permettersi di fare sport!), un’alimentazione consapevole e non-restrittiva che ha reso la bulimia nervosa di cui soffriva un lontano ricordo.

Un corpo non è indice del valore individuale di chi lo abita: non rivela niente della sua professionalità, né della sua vita lavorativa, sociale e sentimentale.

Carlotta Gagnapersonal trainer certificata e promotrice dell’«accettarsi senza mai smettere di migliorarsi» – quando non lavora ai suoi programmi d’allenamento, seguiti da più di 8000 persone di ogni età e condizione, si racconta attraverso podcast e social abbattendo molti falsi miti: mostra come i suoi “inestetismi” – cellulite, smagliature e hips dips – non siano indice di un allenamento troppo leggero, bensì parte integrante della sua dignitosa fisicità e della sua storia, da sfoggiare con fierezza; condivide la propria quotidianità alimentare dimostrando che si può essere in forma mangiando spesso fuori casa, tra pizzerie e ristoranti etnici, senza rinunce o sensi di colpa.

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L’aspetto fisico non deve e non può diventare il metro di giudizio delle capacità di una persona. Ogni corpo è vivo, incredibile, complesso, ricco di funzionalità e potenzialità, in grado di fare qualsiasi cosa.

Annachiara (di naki.earth) racconta sui social come la percezione del suo corpo sia cambiata attraverso lo yoga: non uno strumento di dimagrimento, ma il filtro attraverso cui osservare e imparare ad amare un corpo in equilibrio, un corpo che danza, che si flette, si rafforza attraverso il movimento. 

Muriel De Gennaro (di murielxo) si racconta sui social fin dall’adolescenza: da allora il suo rapporto con la fisicità – che, squisitamente umano, oscilla fra alti e bassi – è in continua evoluzione, ma non le impedisce più di combattere per ciò che desidera, coltivare le sue passioni e realizzare i suoi sogni; Muriel sa di essere molto più del suo peso: canta, recita, posa per brand importanti come Calvin Klein, è un’attivista e una content creator, non ha paura di mostrarsi nel suo stile stravagante e colorato a scapito di chi afferma che un corpo grasso possa solo nascondersi in capi anonimi e grigi.
Erik Cavanaugh dimostra come non esista limite che un corpo danzante non possa valicare, diventando manifestazione vivente del suo motto «changing the “dancer body”».

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In un’epoca in cui i social e i media sono parte integrante della nostra vita, bisogna ricordare che i corpi “da copertina” non corrispondono quasi mai a quelli reali.


Pose, luci, ritocchi, lenti e filtri fanno spesso dimenticare come un corpo reale sia in movimento, mutevole, soggetto a cambiamenti repentini. Le pance reali possono gonfiarsi durante la giornata, su Instagram sono immobilizzate in pose statuarie; i visi reali possono essere ricchi di discromie, pori, acne e inestetismi che un filtro o un ritocco minimizzano o eliminano; i corpi reali cambiano al variare della luce da cui sono illuminati.


Danae Mercer si ritrae in entrambe le versioni – contribuendo alla diffusione del trend instagram vs reality – e le confronta: è subito chiaro come uno stesso corpo possa apparire come totalmente diverso in pochi secondi, attraverso accortezze ingannevoli.
Il suo scopo – perfettamente in linea con la body positivity – è la consapevolizzazione: entrambe sono versioni di sé, ognuno può liberamente decidere come mostrarsi online, senza mai dimenticare, però, quale sia la normalità

Una normalità che non è standard, ma realtà. Una normalità inclusiva, eterogenea, variegatabody positive.

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