Il film “Fuga per la vittoria” (1981 del regista John Huston) riesce ancora oggi, a distanza di più di 40 anni, a mettere in mostra valori e sentimenti che appartengono al linguaggio universale dell’uomo ma che purtroppo vengono minacciati dagli interessi di pochi.

Lo sport, la musica, l’arte e in generale le manifestazioni attraverso cui l’uomo si esprime e incontra gli altri sono da sempre mezzi di grandi messaggi che raggiungono la società civile e spesso lasciano un segno all’interno di una comunità. “Fuga per la vittoria” tocca il tema della libertà attraverso un pallone da calcio, nello specifico con una partita di calcio tra una squadra di prigionieri di guerra di un campo di concentramento tedesco e una squadra tedesca voluta dall’ufficiale nazista Von Steiner.

Quest’ultimo, grande appassionato di calcio, accorgendosi di alcuni talentuosi calciatori inglesi nel campo di concentramento, decide di organizzare questa partita a Parigi per dimostrare la potenza tedesca ai francesi, in quel momento, sotto la loro occupazione. Per la squadra dei prigionieri non sarà una semplice partita ma un’occasione per organizzare insieme ad alcuni resistenti parigini la fuga. Dalla sponda tedesca l’intento è quello di sfruttare la partita per fini propagandistici perché la nazionale tedesca non aveva mai battuto quella inglese e una vittoria avrebbe sicuramente lanciato il messaggio che una volta battuti sul campo da calcio lo avrebbero fatto fuori, in guerra.

Il giorno della partita è tutto pronto, i tifosi sugli spalti, le squadre e il piano per la fuga. A fine primo tempo, il momento deciso per fuggire, la nazionale tedesca sta vincendo 4 a 1 ma nello spogliatoio degli alleati nasce la volontà di tornare sul campo e provare a ribaltare la partita mettendo da parte il piano per la fuga. Dopo aver preso questa sofferta decisione la squadra dei prigionieri riesce a pareggiare i conti nel secondo tempo generando un’euforia generale sugli spalti che porterà all’invasione di campo e alla successiva fuga dei giocatori alleati ormai mischiati tra la gente.

Il film è ispirato da una partita che si è tenuta effettivamente il 9 agosto 1942 a Kiev tra una rappresentanza tedesca composta da aviatori della Luftwaffe e una squadra ucraina. Nasce quindi il tema dello sport come mezzo per esprimere emozioni e come punto di riferimento attraverso il quale una comunità si può conoscere, ritrovare e crescere insieme. Se da una parte affidiamo questo importante ruolo allo sport dall’altra dobbiamo riconoscere un fenomeno sempre più diffuso che niente ha a che fare con la libera espressione ovvero il fenomeno dello sportswashing. Questo rappresenta una pratica con la quale i governi sfruttano intenzionalmente un evento sportivo a fini propagandistici per nascondere comportamenti illeciti e violazioni di diritti umani. Si tratta di vero e proprio “soft power” perché il governo o lo Stato in questione provano a persuadere e convincere il mondo intero della loro innocenza e mantenendo una certa reputazione promuovendo eventi sportivi. Di seguito porterò alcuni degli esempi più eclatanti della nostra storia recente nei quali vari regimi si sono “pavoneggiati” di fronte alla comunità internazionale. In coincidenza ai fatti raccontati dal film “Fuga per la vittoria” abbiamo le olimpiadi tenutesi a Berlino nel 1936. All’epoca fù proprio il ministro della propaganda tedesca a convincere Hitler della grande occasione che si stava prefigurando. Nel 1935 venivano pubblicate le leggi di Norimberga che davano il via ufficiale alla persecuzione ebraica in Germania e parallelamente ci si preparava ad accogliere un evento sportivo che doveva celebrare il terzo reich. Per l’occasione fù inaugurato l’Olympiastadium di Berlino con una capienza di oltre 100.000 spettatori e la realizzazione di grandiosi spazi per ospitare gli atleti provenienti da tutto il mondo.

Tutti, tranne gli atleti tedeschi riconosciuti come ebrei. Hitler chiese anche alla regista Leni Riefenstahl di realizzare il film “Olympia” con il chiaro intento di far arrivare a più persone possibili la magnificenza e la grandezza della sua Germania. Un altro esempio di evento sportivo che si è svolto sotto un regime che stava chiaramente perpetrando crimini in violazione dei diritti umani è il mondiale di calcio del 1978 in Argentina. Il golpe del 24 marzo 1976 diede inizio a una stagione di repressione e violenza nel territorio argentino ma nulla mise in dubbio l’organizzazione del mondiale di calcio giocatosi nel mese di giugno del 1978. Il “processo di riorganizzazione nazionale”, questo il nome scelto dalla dittatura militare, colse l’occasione per mostrare un’Argentina che era pronta ad accogliere un simile evento nel segno dell’efficienza e dell’ordine. Simbolica fù la decisione di demolire un intero quartiere che forniva solo un’immagine degradata di una nazione che in quel momento voleva nascondere i “desaparecidos” con un pallone da calcio. In epoca recente il mondiale in Qatar del 2022 è un altro esempio di come lo sport viene usato come un mero specchietto per le allodole, pronto a luccicare di fronte a potenti riflettori ma che nasconde disgrazia e ipocrisia. Come riportato dal giornale inglese “Guardian” ci sono stati circa 6000 morti per lavorare alla costruzione degli stadi dove si è svolto un mondiale tanto voluto dal regime qatariota quanto contestato da diverse organizzazioni umanitarie e che sarà ricordato per sempre come uno degli eventi immagine del fenomeno dello “sportswashing”.

Il film “fuga per la vittoria” trasuda di quei sentimenti che solo in una squadra che lotta per lo stesso obietivo si possono creare. Quel pallone da calcio che rotola e rimbalza portandosi appresso sguardi e sogni pieni di speranza è pronto a finire in rete e a far esplodere di gioia chiunque abbia creduto in quella sfera di cuoio. Non sempre però si gioca solo con il pallone, spesso sul campo viene calata un’altra medaglia composta da due facce: quella degli interessi economici e quella della violazione di diritti umani. Quando si gioca con questa medaglia il pallone non gonfia nessuna rete, anzi, viene catturato da pochi potenti. Bisogna quindi essere consapevoli di quella linea sottile che divide lo sport con i suoi valori universalmente riconosciuti, dallo sport come strumento di un potere che è pronto solo a perseguire i propri interessi, spesso, in violazione di diritti essenziali dell’essere umano.

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