Il Parco della Caffarella si trova nel Parco Regionale dell’Appia Antica, l’area protetta urbana più estesa di Europa. Questo dato è puramente quantitativo e a breve, addentrandoci nel parco, scopriremo che, la Valle della Caffarella, non è solo un polmone verde nel cuore della Capitale. Sono infatti centinaia i romani che, ogni giorno, frequentano questa zona del Parco Regionale, chi viene per portare a spasso il cane, chi per correre o semplicemente per prendere una boccata d’aria. Il parco, come dicevamo, è molto frequentato dai “locali” ma non è solo “terra ed erbacce”. All’interno si trovano infatti edifici di rilevanza storica e, in generale, la zona della Caffarella, svolge anche una funzione agricola che rende vivo il territorio del parco. In modo particolare, ci soffermeremo su una zona del parco che negli ultimi anni ospita un’installazione che, in teoria, ha una portata “mondiale”.

Al pascolo e per cisterne

All’interno del parco l’edificio più imponente è quello della “Vaccareccia”. Una struttura risalente al XVI secolo che oggi ospita un allevamento di ovini e una produzione di formaggi. E’ infatti una peculiarità del parco della Caffarella quella di potersi ritrovare circondati, più o meno improvvisamente, da centinaia di pecore. Il casale si sviluppa su più piani e ingloba una torre medievale risalente al XIV secolo. Oltre all’allevamento bovino, la “fauna” del parco offre una varietà di pappagalli e, sopratutto, la presenza di innumerevoli conigli. La crescita esponenziale di questi, oltre a creare allarmismo per la gestione agli “addetti ai lavori”, ha spinto molti romani a ribattezzare la zona “il parco dei conigli”. Tutto questo movimento rende il parco un’attrazione viva e sempre in cambiamento. Inoltre, girovagando per il parco, si possono incontrare delle costruzioni che, a primo impatto, sembrano rovine ma, in realtà, costituivano il principale sistema per il mantenimento dell’acqua: le cisterne. Sono ben 5 le cisterne databili all’epoca repubblicana. Infatti, gli antichi romani, sfruttarono la presenza del fiume Almone, e di altre fonti d’acqua, all’interno dell’attuale parco, per la coltivazione di frutta e ortaggi. Chiaramente, l’acqua derivante dalle sole sorgenti non bastava e, di conseguenza, vennero costruite delle cisterne. Queste si possono visitare in alcuni periodi dell’anno grazie all’Ente del Parco, ma purtroppo si osserva, intorno agli edifici, cumuli di mondezza e una generale non curanza del verde. Nella foto si può osservare lo stato di accesso all’area della cisterna dall’ingresso in via Centuripe.

Il parco “sacro”

Seguendo le indicazioni per “Ninfeo di Egeria” ci imbattiamo nella visione più suggestiva del parco. Si tratta di una costruzione del II secolo, fatta realizzare da un politico dell’epoca, lì dove sorgeva una fonte d’acqua. La struttura absidale venne eretta sulla precedente grotta naturale e venne ricoperta di marmi decorativi. Oggi non ci sono giunte le decorazioni ma si può ancora osservare la statua della ninfa Egeria posta al centro dell’edificio. La ninfa Egeria, secondo la leggenda, si sciolse in lacrime alla morte di suo marito, il re Numa Pompilio, dando origine alla fonte d’acqua.

A pochi minuti a piedi, incontriamo un altro luogo con un’accezione diversa di sacralità: Sant’Urbano. Il tempio romano del II secolo d.C. gode di ottima salute grazie al passaggio a luogo di culto cristiano e all’importante restauro del 1634 voluto dal cardinale Barberini. Il tempio originario venne voluto da Erode Attico, lo stesso autore del ninfeo. Anche in questo caso la struttura era decorata da marmi provenienti da cave greche, di proprietà dello stesso Attico. In generale questa particolare zona, che oggi appare agreste, era piena di altre costruzioni che costituivano la zona del bosco sacro.

Tanto fumo e niente arrosto

Affianco alla chiesa di Sant’Urbano troviamo il “rimasuglio” di un’installazione fatta nel 2021. All’epoca, per inaugurare il sito, vennero diverse autorità politiche: il presidente della Regione, vari funzionari di ambasciata, il direttore generale della FAO e molti altri. Insomma per ogni “tipo” di potere, c’era un rappresentante. L’occasione dell’incontro era quella dell’inaugurazione di una zona simbolica denominata “G20 Green Garden”. Il tutto era correlato al G20 che si sarebbe svolto a Roma il 30 e il 31 ottobre di quell’anno. L’installazione consiste in 17 figure cubiche inserite nel terreno e raffiguranti i 17 obiettivi ONU per lo sviluppo sostenibile. Da giugno a ottobre, in preparazione del G20, si svolsero diverse attività per sensibilizzare ai temi della sostenibilità ambientale. Peccato che, tutta quella pomposità, una volta finita la “passerella”, sia svanita. L’unica cosa rimasta? Quei 17 cubi di metallo inseriti nel terreno. In tutta la bellezza del parco, che comunque soffre in certi punti di uno stato di abbandono, l’ultima cosa che serviva era un nuovo scheletro. Soprattutto in questi ultimi anni che il problema climatico è divenuto un problema mondiale, si sentono moltissime parole sul futuro del nostro pianeta e pochi fatti. In questo caso, oltre all’ evidente “menefreghismo”, una volta spenti i riflettori del G20, c’è anche la beffa di ritrovarsi delle strutture che sono destinate a scolorirsi e ad arrugginirsi. Allora se il senso di questi cubi era simbolico, ci sono riusciti in pieno. Sono davvero il simbolo della politica di oggi, attenta solo all’occasione e dissociata dai bisogni delle persone e dell’ambiente. Possiamo solo sperare che, questa immagine di futuro, abbandonato a sé stesso, che quella zona di parco rappresenta, sia “solo” un errore.

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