Disoccupazione giovanile: in cerca di soluzioni

Keynes nel suo discorso “Aspettative per i nostri nipoti” affermava che alla fine la disoccupazione sarebbe stata superata insieme alla crisi e che sarebbe stato l’inizio di una nuova era, una seconda età dell’oro. Eppure, gli anni passano e la situazione non migliora. Anzi, i livelli di disoccupazione sono sempre più alti e preoccupanti. Si prendano ad esempio i dati dell’Eurostat dell’anno 2017-2018: dove il tasso di disoccupazione medio si attesta all’8.2%.

L’Italia, insieme a Spagna e Grecia, oltre a superare la percentuale media, è tra i Paesi con il più alto tasso di disoccupazione in Europa. Ma non è questo l’unico dato a far nascere dubbi e perplessità, vi è infatti anche quello riguardante la disoccupazione giovanile. Nel Luglio del 2018, nell’Area-Euro, 19 i disoccupati compresi nella fascia tra i 15 e i 24 anni sono stati 2.365 milioni, un numero che se paragonato all’anno precedente è in decrescita (il numero di disoccupati è infatti diminuito di 294 000 unità). Le percentuali medie riguardanti la disoccupazione giovanile si mantengono comunque alte: 16.6%; e l’Italia continua a mantenere il suo piedistallo con il suo 30.8%.

A livello nazionale, in Italia i giovani disoccupati compresi nella fascia tra i 15 e i 24 anni nell’anno 2017 erano il 34.7%. Un numero però che deve essere ben valutato. Infatti al suo interno vengono considerati sia gli studenti, i laureati, i diplomati, ma anche chi non possiede un titolo di studio. Si accosta a questa distinzione anche un’altra importante considerazione da fare: all’interno di questa percentuale vi è chi sta ancora concludendo il proprio percorso formativo. Sarebbe utile perciò prendere in esame gli italiani che, non risultando impegnati in un percorso formativo, non sono riusciti ad entrare nel mondo del lavoro.

NEET: “Not Engaged in Education, Employment or Training”

Questo gruppo è denominato “Neet”: Not Engaged in Education, Employment or Training. Il suddetto gruppo abbraccia tutta la porzione della gioventù italiana che non lavora nè studia ed è compresa nella fascia di età dai 15 ai 34 anni. Dalla lettura dei dati Istat del 2017, si può notare come circa il 25.5% dei giovani tra i 15 e i 34 anni non abbia trovato un impiego. Onestamente parlando i dati sono positivi rispetto agli anni precedenti, stiamo infatti riscontrando una diminuzione, eppure non sono ottimi, anzi denotano una forte incapacità delle istituzioni a rispondere al problema della disoccupazione giovanile.

Volendo ora entrare nello specifico, sarebbe giusto ricercarne le cause. Dando una prima risposta si potrebbe dire: “la colpa è della crisi” e non si avrebbero tutti i torti, ma non è l’unico motivo. Per buona parte di loro il problema principale è ricoperto dai limiti strutturali del mercato, che offe poche occasioni, bassa qualità e contratti brevi e precari. In aggiunta a ciò, un’indagine operata dalla Ocse  dimostra come in Italia, al termine degli studi, i giovani debbano attendere 45 mesi prima di essere assunti a tempo indeterminato. Dato molto rilevante considerato che in Inghilterra è possibile accedere a un posto di lavoro molti anni prima.

Ma nei dati Neet non sono presenti solo coloro che hanno concluso il lor percorso formativo. Lo confermano sempre i dati Ocse, che nel 2017 hanno infatti rilevato che solo il 18% degli adulti è in possesso di una laurea. Il 50% degli universitari abbandona il proprio percorso formativo prima della conclusione e il motivo è quello oramai noto: mancanza di prospettive.

E’ giusto notare che il fenomeno dei Neet non è circoscritto a quella sola fascia di giovani; ma è una conseguenza delle difficoltà del ceto medio, dove le stesse famiglie si vedono costrette a dover operare come ammortizzatori sociali nei confronti di giovani sempre più disillusi. E’ una parte della popolazione che rischia di allargarsi, di non superare questo periodo e cadere in uno stato di frustrazione e risentimento sociale.

In un simile contesto, lo Stato ha dovuto rimboccarsi le maniche e cercare una soluzione valida. Valida e efficace, che sarebbe stata in grado di debellare, forse, ma almeno di favorire uno sviluppo. Le misure adottate a questo riguardo sono così state:

  • Introduzione del reddito di cittadinanza
  • Istituzione della figura del “Navigator”.

Reddito di Cittadinanza e il Navigator

Sono due misure adottate con l’intenzione di combattere la diseguaglianza, aumentare l’occupazione e migliorare l’incontro tra la domanda e l’offerta di mercato. Il primo è stato proposto dal Movimento 5 Stelle agli albori della campagna elettorale che ha interessato il Paese. Progetto poi approvato in forma di decreto nel 17 gennaio del 2019 e firmato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Il reddito di cittadinanza è una forma di sostegno economico a beneficio della popolazione residente sul territorio italiano. Il Movimento 5 Stelle ha infatti stazionato una cifra pari a 5,5 milioni da indirizzare a coloro che sono privi di occupazione o che godono di un reddito tale da non garantire l’autosufficienza. Quindi anche chi è sottopagato  avrà diritto all’integrazione del reddito. L’importo mensile massimo sarà di 780 euro, quota soggetta a modifiche in caso di eccessivo numero di richieste. In cambio però, i cittadini dovranno svolgere lavori socialmente utili per il Comune di residenza, di almeno due ore giornaliere. La domanda di richiesta potrà essere inviata online, presso Poste Italiane o Caf convenzionati. Tuttavia, l’integrazione del reddito non andrà a beneficio di tutti, ma solo a coloro che soddisferanno i suddetti requisiti:

  • Cittadinanza italiana, europea o almeno 10 anni in Italia, di cui gli ultimi due consecutivi;
  • Godere di un ISEE inferiore a 9.360 euro annui;
  • Patrimonio immobiliare inferiore ai 30.000 euro annui;
  • Patrimonio finanziario inferiore ai 6.000 euro.
  • Punto fondamentale è la condizione di disoccupazione o di inoccupazione.

Requisiti necessari per l’accesso che permetteranno la selezione di coloro la cui situazione economica possa essere migliorata, ponendo fine allo stato di emarginazione. Ovviamente chiunque fornisca false informazione, potrà  rischiare fino a sei anni di reclusione; e in caso di utilizzo del beneficio in gioco di azzardo, il beneficiario sarà soggetto alla revoca.

La seconda soluzione non ha nulla che vedere con il film di fantascienza del 1986. Il Navigatori è infatti la seconda soluzione adottata dallo Stato italiano per contrastare gli effetti di un’elevata disoccupazione sempre più opprimente.

Ideata da Mimmo Parisi, docente presso Mississipi State University di Stakerville, e poi promosso da Luigi Di Maio, è finalizzata alla formazione e all’indirizzo dei futuri fruitori del reddito di cittadinanza al mondo del lavoro. E una via, per salvarli da una possibile futura dipendenza dal beneficio.

Il Navigator è quindi il futuro “tutor del reddito”, incaricato di seguire il beneficiario del reddito nel reinserimento professionale, per mezzo di una possibilità di relazione tra le imprese locale e suddetta figura. Il Decreto Legge del 28 gennaio del 2019 n.4  ha stazionato a favore dell’Anpal Servizi S.p.A. (Agenzia nazionale politiche attive del lavoro) 500 milioni di euro, indirizzati all’assunzione di ben 6 mila Navigator (i restanti 4 mila verranno poi assunti nei centri per l’impiego delle regioni).

Quali dovranno però essere le capacità del Navigator? E questo lo spiega Maurizio del Conte, presidente uscente di Anpal, in una dichiarazione:

“conoscere le regole, e cioè benefici, incentivi e sussidi di disoccupazione, con le differenze messe in campo a livello regionale e territoriale, avere conoscenza tecnica e giuridica precisa, avere capacità anche di orientatore e valutatore delle competenze professionali di chi si presenta allo sportello, in modo tale da realizzare un bilancio delle competenze del disoccupato. Ed essere capace di leggere come si muove il mercato territorialmente, essendo così in grado di incrociare domanda e offerta di lavoro, andando a incrociare le imprese con i beneficiari del reddito di cittadinanza”

I requisiti dovranno infatti essere il conseguimento di una laurea magistrale in economia, giurisprudenza, sociologia, scienze politiche, psicologia o scienza della formazione, e almeno 4 anni di esperienza nel settore delle consulenze lavorative.

Le assunzioni avverranno per mezzo di un colloquio, o per lo meno questo ha affermato il Vice Premier Di Maio presso Bruno Vespa:

«Il Navigator fa parte del programma di assunzioni che faremo. Li selezioniamo con un colloquio per trovare altre persone con alto profilo per seguire i giovani che hanno perso il lavoro. L’importante è che la persona che orienta il disoccupato venga pagato in base al numero delle persone orientate»

Che un semplice colloquio possa essere sufficiente per loro assunzione è ancora da discutere e lo dimostrano le numerose critiche. Inoltre, dopo questa dichiarazione, risalente ormai a settimane fa, le modalità di selezione non sono state ancora chiarite. Eppure l’entusiasmo si è diffuso e presso i centri per l’impiego sono in molti a proporre la propria candidatura. Entusiasmo smorzato da chi vede in questa figura una forte precarietà, dato che i contratti di collaborazione saranno di breve durata: un massimo di due anni, per uno stipendo tra i 1.7000 e i 1.8000 euro netti. Ed è la stessa Anpal a criticare una simile contraddizione, invocando l’intervento dello Stato per la conversione del decreto.

Quali saranno gli effetti e se si dimostrerà essere un’ottima scelta è ancora presto a dirlo. Per ora la popolazione si divide in due forti poli, tra chi risulta appoggiare incondizionatamente il progetto e chi lo vede come solo l’inizio di una catastrofe. La verità è che è ancora poco chiaro se il progetto sarà in grado di recuperare le vite di molti italiani disillusi e rilegati in una condizione di marginalità.

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