Sono le 12:45 di una giornata novembrina qualsiasi e mi rendo conto che per poter entrare all’interno della mastodontica struttura che è l’ex colonia marina Vittorio Emanuele III ad Ostia, devo assolutamente sbrigarmi o l’Elsa Morante, unica biblioteca ostiense occupante una fetta di edificio non indifferente, potrebbe serrare le sue porte al pubblico.

ex-colonia marina Vittorio Emanuele III

Così mi appresto, attraverso il parcheggio, scalo di fretta le scale all’ingresso e valico la soglia. Sono evidentemente in chiusura, ma qualche dipendente è rimasto. Chi meglio di loro potrebbe darmi una testimonianza attendibile della condizione in cui versa l’edificio ad oggi? Senza indugio decido di chiedere in giro, nella speranza che qualcuno abbia voglia di rilasciare l’ennesima dichiarazione. Un uomo decide di rispondermi. Non mi aspettavo una tale disponibilità, ma in fine, egli decide di rispondere alle mie domande in quanto “privato cittadino” e non nella sua veste di “dipendente”. Accetto senza esitare – non deve certo parlare a nome di una categoria aggiuntiva a quella di cittadino ostiense affinché la sua testimonianza assuma un valore – ed ecco che si dilunga in un vomito di parole: non vedeva l’ora di gettarle fuori.

Ma prima di entrare nel merito della testimonianza occorre un po’ di storia. Per ricostruire le travagliate vicende del Complesso ci avvaliamo del sapiente aiuto fornitoci da Annamaria Golia e le voci da lei raccolte ed esposte nella recente pubblicazione “La colonia marina Vittorio Emanuele III, memoria storica di Ostia”, esito conclusivo di una ricerca documentativa protrattasi per sette anni.

colonia marina Vittorio Emanuele III

  • La storia

La storia dell’ex colonia marina Vittorio Emanuele III infatti è archetipica di innumerevoli altre per ciò che concerne il patrimonio edilizio italiano – che forse sarebbe d’uopo incominciasse una riflessione seria e ponderata su sé stesso – eppure, nonostante il suo essere in buona compagnia rimane tra tutte esperienza sui generis. Patchwork variegatissimo, la Vittorio Emanuele spicca per la sua qualità di aggregatrice sociale: incubatrice di innumerevoli iniziative nate “dal basso”, essa è specchietto storico della decadenza che negli ultimi 25 anni ha colpito la politica “istituzionale” del territorio ostiense. colonia marina

  • Genesi colonia marina

Ci aiuta a ricordare il libro sopracitato con una ricostruzione della sua genesi. Due importanti architetti romani del primo Novecento (Marcello Piacentini e Vincenzo Fasolo) in tempi diversi, furono protagonisti del progetto. Si legge che “i lavori furono conclusi nel 1930 ma l’inaugurazione avvenne nel ’32 alla presenza dei reali d’Italia ed in quel momento si assunse il nome di Vittorio Emanuele III per celebrare il venticinquesimo anno del regno”. Dato importante è che la capienza prevista era di 450 bambini con camerate di 30 letti ed un “sottopasso immetteva direttamente alla spiaggia”. Evidentemente il suo scopo originario non era poi così distante da come interpretato dal centro socio-abitativo che vi si appoggia oggi. Nel 1943 il primo edificio sull’arenile venne quindi bombardato dai tedeschi, per poi essere ricostruito negli anni 50 e a seguire incominciò una fase di decadenza “cui soltanto i recenti interventi posero fine”.

colonia marina

  • Prime evoluzioni

La struttura, “seguitò ad avere questa funzione – collegiale – fino quasi agli anni 70. Progressivamente – si legge – le suore diminuivano, come diminuiva l’utenza e la necessità delle colonie marine”. Ancora “le pochissime suore rimaste migrarono presso altre strutture mentre la colonia Vittorio Emanuele III precipitava nell’abbandono e nell’incuria”.

Di seguito, tra gli anni 70 e la prima metà degli anni 80, la colonia marina accolse al suo interno l’Istituto Professionale per il Commercio “Gino Zappa”. Anche in tale contesto, pare che alcuni insegnanti e studenti “decisero di occupare il terzo piano della colonia al fine di disporre di uno spazio più idoneo alla svolgimento delle attività didattiche”. Riporto alcuni ricordi del professor Anselmo Di Giorgio citati dalla Golia poiché rilevanti al fine di comprendere le problematiche intrinseche alla struttura stessa – o alla sua incuria:

iniziata l’attività didattica, tutto sembrava procedere in modo accettabile […] quando però iniziarono le prime piogge ed i primi freddi di novembre si scatenò l’inferno, con un girone che nemmeno Dante Alighieri avrebbe potuto immaginare così duro nella sua Divina Commedia. […] Sullo sfondo minaccioso dell’ululato continuo del mare in tempesta nella sede centrale di via Cozza il vento sibilava fortissimo e penetrava dappertutto attraverso i vecchi infissi, che scricchiolavano continuamente facendo un rumore spettrale e dando l’impressione di poter cedere da un momento all’altro. La pioggia, che scendeva a catinelle, grondava copiosa in più posti dal soffitto, tanto che in molte aule gli studenti erano costretti addirittura a tenere gli ombrelli aperti per non bagnarsi ed i bidelli dovevano utilizzare persino i secchi per raccogliere l’acqua che si spargeva nei vari ambienti e poi cospargere il pavimento di segatura. I termosifoni non funzionavano. […] Gli studenti, a scuola venivano per tremare dal freddo, per bagnarsi ed ammalarsi, per passare gran parte della giornata in grande disagio, in una parola, per soffrire”. colon

Biblioteca Elsa Morante

Insomma, si tratta di un luogo multiforme, una storia piena di diramazioni, un “piccolo” grande ecosistema che non ha mai tradito la sua funzionalità sociale. Dal 1972 – racconta uno dei personaggi citati nel libro, Giorgio Iorio, in “Affabulazione” – l’immensa struttura della colonia fu al centro dell’attenzione degli ostiensi grazie ad un gruppo di artisti intellettuali e cittadini che in quel lascito dei Savoia con il vincolo della destinazione d’uso a cultura e socialità vedevano la possibilità di realizzare il più grande polo socio-culturale della città di Roma. Grazie a tale attenzione, dal 1981 parte di esso fu occupato da una lunga colonna di volontari, madri, e tossici al fine di condurre questi ultimi fuori dal loro oscuro tunnel. Parallelamente all’occupazione, “il Comitato promotore continuò ad avere rapporti con le istituzioni alla ricerca di un ambiente idoneo che fu individuato in un casale abbandonato alla Massimina di Roma, facente parte della proprietà demaniale”. Pochi mesi dopo, i tossici vi furono trasferiti, e la breve vicenda terminò. c

ocolonia marina Vittorio Emanuelelonia marina

Arriviamo dunque negli anni ’90, anni di inizio di quel periodo di Occupazione Africana che ci interessa ancora oggi nelle sue conseguenze inattese. Piano piano, arriviamo alla formazione odierna della Vittorio Emanuele. Nel libro, la testimonianza di Ibra:

“la comunità era gestita da un gruppo di ragazzi italiani, militanti di sinistra, che tenevano un’assemblea permanente con i migranti e avevano un quaderno dove venivano registrati i nuovi arrivati e chi andava via. L’assemblea si teneva una volta a settimana. In ogni camera abitavano due o tre persone. Di tutti i residenti alcuni cercavano lavoro e, se lo trovavano, dopo due o tre mesi, il posto si liberava e veniva assegnato ai nuovi arrivati. Fino al 2005 – 2006 si presentava una domanda e quando si liberava un posto si poteva accedere, non costava nulla e non era richiesta alcuna garanzia.”

Racconta poi

“sotto la guida di questi ragazzi, funzionava ma, quando loro ci abbandonarono per stanchezza o per esigenze personali, non ci fu un ricambio. Questo fu deleterio perché non si era formata nel frattempo una leadership di migranti la cui autorità venisse riconosciuta da tutti. Ci fu una crisi interna e l’assemblea smise di funzionare. I conflitti tra i diversi gruppi esplodevano con facilità e chi si esponeva per tentare di ristabilire l’ordine rischiava una coltellata. Si è persa la dimensione collettiva di quest’esperienza di autogestione e ognuno si è ritirato nel proprio privato. La comunità ha pagato un prezzo molto alto sia in termini di socialità che di sicurezza e di stabilità, in quanto da anni la polizia minaccia lo sgombero”.

ex-colonia marina Vittorio Emanuele III

Proseguendo la storia, in un altro capitolo si legge: colonia marina

“nel 1999 una delibera comunale assegnava la chiesa alla Comunità di S. Egidio, ma questa era occupata dalla comunità africana sostenuta da un gruppo politico di sinistra che svolgeva attività assistenziale. Solo nel 2010 c’è stato l’intervento di sgombero; lo stato di occupazione da parte del gruppo sociale è proseguito per tutti quegli anni perché i tentativi di dialogo con gli occupanti erano sempre falliti”.

Ma l’occupazione abitativa rimane, semplicemente ha spostato sede. Ibra continua:

“attualmente alla Colonia la situazione è molto critica perché, oltre agli altri problemi, abbiamo anche la presenza di persone che trafficano con la droga, alcune delle quali abitano qui e altre vengono da fuori. Questo mette a rischio la permanenza di tutta la comunità perché, se accade qualcosa di grave che poi ha un eco mediatico, la minaccia di sgombero passa facilmente alle vie di fatto” e conclude con “ora non c’è più la fila di gente che viene a comprare la droga”.

ex-colonia marina Vittorio Emanuele III

  • La struttura oggi colonia marina

Prima di parlare nello specifico della situazione in cui versa oggi il centro socio-abitativo, diamo un volto all’articolata struttura oggi: seguendo la logica del libro ne descriviamo i plessi così come la loro destinazione attuale. Essi comprendono: la Biblioteca comunale “Elsa Morante”, il Teatro comunale del Lido, il centro di Igiene Mentale, il “centro socio-abitativo Shakazulu”, l’ostello della gioventù “Litus”, la chiesa gestita dalla Comunità di Sant’Egidio, il centro anziani, la Caritas con funzioni di ostello, mensa e consulenza per i senza fissa dimora, la sede dei Vigili Urbani, 1200 mq destinati alla “casa della cultura” sebbene il progetto non abbia ancora visto la sua realizzazione, infine l’ufficio tecnico. Nel seminterrato sotto la Chiesa inoltre nacque nel 2005 una Moschea sotto autorizzazione di Veltroni, che però venne chiusa nel 2016. colonia marina

foto struttura

  • Iniziative bottom-up: l’esempio del Teatro del Lido

Tale fotografia è soprattutto il risultato di occupazioni. Quasi per ognuno dei tasselli sopracitati difatti, si può ricostruire una storia che vede come protagonista la comunità ostiense in primis, e solo in secundis, dopo lotte e rivendicazioni, l’assenso ed istituzionalizzazione dall’alto. Un esempio di tale processo bottom-up magistralmente riuscito lo riscontriamo nell’esperienza di formazione del Teatro del Lido: indiscutibile punto di riferimento per l’intero territorio. Nel libro si legge della sua genesi. Per un periodo lo spazio dedicato all’odierno “Teatro del Lido” era infatti relegato a magazzino dell’ufficio tecnico. Pare che l’occupazione avvenne nel 1997, condotta da cittadini immigrati, “una moltitudine di ragazzi, compagni di lotta storici ma anche cittadini sensibilizzati alla causa” nonché giovani attori e attrici. Non appena preso possesso dello stabile, incominciarono i lavori di ripulitura e preparazione del palcoscenico. Nel frattempo, “polizia, Carabinieri e vigili urbani ci fecero visita e non mancarono i tentativi di discussione poco amichevoli” racconta Filippo Lange – socio e progettista del centro culturale Affabulazione – “un generatore di corrente ci garantì l’illuminazione necessaria per i primi spettacoli, già al terzo giorno di occupazione. Avevamo riaperto il Teatro di Ostia”.

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Sembra che passarono due anni prima di poter avviare le negoziazioni con la Circoscrizione ed il Comune di Roma, che furono condotte all’insegna del poter sviluppare un “teatro aperto” con un’anima sociale, dove “l’istituzione si occupasse bene del suo mestiere di amministratore e la comunità culturale, e il pubblico, si impegnassero nella programmazione”. Si tratta di un modello di cogestione tra pubblico e privato e di partecipazione, appunto, dal basso. Il teatro riaprì ufficialmente nel 2003 con il benestare dell’allora sindaco Walter Veltroni – grazie ai precedenti finanziamenti dell’ex-sindaco Rutelli. La storia del Teatro non finisce qui. Nel 2008 si arrivò alla giunta a destra di Alemanno. Dopo due mesi, il teatro fu chiuso dall’allora assessore alla cultura Umberto Croppi. Solo dopo due anni – siamo nel 2010 – di manifestazioni, cortei, assemblee si giunse alla seconda occupazione che condusse alla riapertura ufficiale nel 2013 grazie alla nuova giunta di centrosinistra guidata da Marino: “ormai il teatro era entrato nelle vene del territorio, facendosi tutt’uno con la città”. c

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  • Il centro socio-abitativo colonia marina

Tale riconoscimento e regolarizzazione, tale supporto istituzionale nei confronti di un’iniziativa nata spontaneamente al fine di colmare una lacuna – ovvero l’emergenza abitativa in cui versavano i migranti e non, trasferitisi nell’edificio da principio – e di conferire reale vigore ai termini “sociale” e “culturale” che vincolano la destinazione d’uso di tale immobile, tuttavia, ancora non si riesce ad ottenere per quella parte destinata al “centro socio-abitativo”. Si legge che esso nacque nel ‘93 a seguito di un’occupazione spontanea di famiglie somale che presero possesso della chiesa e del seminterrato sottostante poiché estromessi dal camping di Fiumicino e Castel Fusano, nonché dopo il naufragio dell’accoglienza a Spaziokamino. Come abbiamo letto sopra, nel 2010 ci fu l’intervento di sgombero a favore della “restituzione” alla Comunità di Sant’Egidio della chiesa ivi presente. Ma più che di uno sgombero si è trattato di un Egira da un loco entro la struttura ad un altro. Ricordiamo inoltre l’articolo 42 della costituzione che pone un vincolo di natura sociale all’utilizzo della proprietà, nonché la Legge n. 383 del 7 dicembre 2000 per cui all’Art. 32. “Strutture per lo svolgimento delle attività sociali” recita: lo Stato, le regioni, le province e i comuni possono concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, alle associazioni di promozione sociale e alle organizzazioni di volontariato, per lo svolgimento delle loro attività istituzionali.

centro socio-abitativo

  • Testimonianze oggi

Nonostante tutte queste premesse, il centro socio-abitativo viene percepito oggi unicamente come loculo di criminalità e violenza svalutando e sminuendo la sua natura emergenziale e sociale. Insomma, piuttosto che vederlo di “buon occhio” poiché assolvente un compito centrale nella comunità ostiense, viene per lo più percepito come minaccia, poiché non regolarizzato e dimenticato. Torniamo al presente: Salve, cerchiamo delle informazioni sulla parte della Vittorio Emanuele che è attualmente occupata…

Volete che vi faccia la cronistoria delle schifezze qua accanto? Tutto so. C’è stato un mezzo affidamento ma vi parlo di più di vent’anni fa, a quest’associazione che si chiamava Shakazulu che voleva dare un supporto a destinazione socio-abitativa, salvo che poi l’associazione è sparita, si è liquefatta, e attualmente quella parte dell’immobile è rimasta occupata.

Ma occupata da chi? Da famiglie?

Famiglie poche. Singoli molti, che vanno e vengono. Penso che ne siano rimaste, di quelle storiche, forse una o due, che sono rom italiane. Tutto il resto sono africani, fondamentalmente, e… uomini. Perché di Donne ne vedo veramente poche.

biblioteca Elsa MoranteDa quant’è secondo lei? Poi ho letto che ogni tanto c’è stato qualche Blitz o tentativo di sgombero…

Almeno 25 anni. Si, Si! Io coi miei occhi ho visto un panetto d’erba volare fuori dalla finestra. Che i cani, la cinofila entrava da una parte e l’erba usciva dall’altra. Che spaccino qui? Si, sicuro. Lo dico da privato cittadino e non da dipendente. Qui sotto c’era un compro oro e ci hanno sgozzato una pecora per la macellazione musulmana… ci ho visto di tutto… gente pestata, persone armate, blitz una volta ogni sei mesi. Fanno un censimento, fingono di fare un censimento perché poi fondamentalmente vanno e vengono.  Ma… Se ti affacci vedi la situazione. Io ve lo sconsiglio, anche se non vi accadrà nulla, perché non gli conviene… ma c’è una carcassa di macchine qui sotto. La situazione è al limite. E anche le condizioni sociosanitarie sono Hecce Homo. Livello bassissimo. Sono pieni di ratti, escrementi di piccioni, defecano in balcone e poi sciacquano tutto con la pompa e i liquami cadono nel piazzale qua sotto.

ex-colonia marina Vittorio EmanueleEra per capire da chi poi effettivamente fosse stato occupato lo stabile…

Guarda, non c’è una realtà, un comitato spontaneo autocostruito, autogestito, non c’è nulla. C’è semplicemente che ci sono degli occupanti storici che “gestiscono” in qualche modo. Da quello che mi è parso di capire… qualcuno paga anche qualche cosa a qualcun altro. Perché una volta venne pestato un ragazzo che non aveva pagato… e ci trovammo questo poveraccio, pestato, e… che dire.. è tremendo. Come ti giri ti giri è tremendo da tutti i punti di vista. Non c’è mai stato uno sgombero, assolutamente mai. Ti posso dire che sono stati censiti e identificati chi poteva essere identificato, chi trovavano li… solo che, diciamo, qualche mente eccelsa ha deciso di dargli il domicilio. Ad alcuni il domicilio e ad altri pure i domiciliari.

chiesaEd è possibile questa cosa? colonia marina

Considera che il sindaco ha appena detto “il domicilio è degli occupanti”. Sai che si erano montati quest’estate la piscina gonfiabile qua? Proprio nel piazzale. Enorme. Con la pompa, il tubo che partiva dal secondo piano e scendeva fino a giù. Posso farvi vedere le foto. Con l’acqua pubblica! Sono parecchio ingegnosi… La pistola l’ho vista. Con i miei occhi l’ho vista. Non ci sono regole. Dentro c’è la legge del più cattivo e oltretutto, dal punto di vista igienico è un macello. Siccome la biblioteca e questo spazio sono intersecati, nell’ufficio dove c’è la direzione ed il responsabile per molto tempo c’è stata una perdita d’acqua perché hanno sopra i bagni di “questi qua”. Dei bagni autocostruiti ovviamente, per cui si è creata una perdita, e c’era una chiazza di muffa e di liquami di 3 o 4 metri quadri sul soffitto perché la merda di questi… insomma, poi loro continuavano ad usarlo. Li qualcuno del comune è salito su, ha riparato questa cosa, ha detto di non usarlo più e ne ha interdetto l’utilizzo. Da quando non c’hanno più quel bagno la fanno in balcone con la pompa. Sono solo 15 anni che lavoro qua. Sono anche abbastanza stanco.

sant'EgidioMa si sa a cosa fosse destinato quello spazio? Da quanto ho letto, era già di per sé destinato ad usi socio-abitativi….

Secondo te è possibile dormire in inverno in una stanza con i soffitti alti 6 metri? Come la scaldi? Ci tieni un bambino piccolo? Qua si gela. Questa è una colonia marittima, estiva. Quindi non ci deve stare nessuno all’interno, perché fa freddo. E poi il vento gelido del mare non c’ha pietà, sferza.

ex-colonia marina Vittorio Emanuele IIIIn effetti, sempre nel medesimo volumetto della Golia, nel capitolo concernente il caso della Biblioteca Elsa Morante si leggono alcune note sulla difficile convivenza con ciò che è divenuto il centro socio-abitativo ad oggi.

“Accanto alla Biblioteca, uno degli spazi di questa immensa colonia fu adibito a centro socio-abitativo per immigrati. La destinazione fu un passo importante per il territorio. Ma ben presto, quello che doveva essere un luogo di passaggio, diventò stanziale per molti e la gestione perse ogni controllo.” c

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Si legge che attraversò dunque diverse fasi:

tentativi di sgombero, censimento da parte del Municipio nello sforzo di trovare una sistemazione soprattutto alle famiglie, retate della polizia per questioni legate al traffico di droga, un concentrato di problematiche che mai nessun politico a tutt’oggi si è fatto garante per trovare una soluzione definitiva: dare agli attuali occupanti una sistemazione idonea e civile. Il centro socio-abitativo è lasciato alla totale autogestione con conseguenze che si possono immaginare: i litigi sono all’ordine del giorno, per non parlare del degrado in cui versa il cortile interno, quello che si affaccia sul mare, divenuto negli anni una discarica a cielo aperto. La convivenza tra centro socio abitativo e biblioteca è uno di quei nodi che nessuno è riuscito a sciogliere”. colonia marina

Per concludere il tutto con un auspicio “chissà se vivrò abbastanza affinché possa finalmente constatare quanto le Istituzioni, con azioni mirate, riconoscano l’importanza di questo patrimonio inestimabile!” Attualmente la situazione rimane calda. Si vocifera di convertire il centro socio abitativo in un’ipotetica sede universitaria o di trasferirvi una sede degli uffici pubblici.

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Concludendo l’intervista, ho voluto sondare le impressioni a riguardo:

Certo sarebbe un’ottima idea. C’è già un ufficio pubblico qua. C’è un teatro del lido, un centro di salute mentale, biblioteca, centro socio-abitativo occupato, un ostello (Litus), la comunità di Sant’Egidio, una chiesa che per anni è stata occupata e poi fu sgomberata, l’ufficio tecnico, la Caritas, e poi c’era anche una moschea che poi è stata occupata ed ora ci vivono dentro. C’era anche un asilo fatto di eternit che ha preso fuoco qualche anno fa. È gigantesca ma è un patchwork fatto da un cieco. Ma le dessero una connotazione che sia unica!

ex-colonia marina Vittorio EmanueleIl problema è che storicamente, pare emerga come ogni qualvolta si abbia deciso dall’alto a cosa destinare un’ala della colonia, si sia scelto in maniera erronea. Dal momento della sua costruzione, la Vittorio Emanuele III ha assunto immediatamente una vita propria, in pasto alla popolazione ostiense, unica vera custode della verità delle proprie esigenze. In un contesto istituzionale che si è mostrato ostacolo molto più spesso di quanto “aiutante” nel dirimere le problematiche da essa presentate, occorre chiedersi se procedere con gli sgomberi piuttosto che riconoscere e dunque aiutare e regolamentare il centro socio abitativo sia più o meno coerente con la natura sociale di tale patrimonio. Se, di fronte a tale degenerazione di un progetto originariamente funzionante, non vi sia anche d’attribuire qualche responsabilità all’incuria mostrata dalle varie amministrazioni. Se trasferirvi la sede degli uffici pubblici sia la soluzione definitiva al problema dell’emergenza abitativa. Se, effettivamente, basti questo a riscattare la Vittorio Emanuele, o se rimarrà l’ennesimo buco nell’acqua, come nel caso della chiusura e sgombero del Teatro del Lido. colonia marina

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