La guerra in Ucraina non ha effetti unicamente nel nostro continente. La vastità della Russia e la sua importanza a livello internazionale come attore politico ed economico fa sì che anche paesi molto lontani da questo conflitto agiscano in maniera non eccessivamente diversa dai paesi europei. Uno di questi è il Giappone.
Il Giappone, pur essendo all’altro estremo della Russia rispetto all’Italia, sta vivendo la guerra con la stessa preoccupazione percepita dai paesi europei. Il partito storico di governo (il Partito Liberaldemocratico giapponese) con il suo nuovo leader stanno affrontando una nuova fase di sfide, innescate proprio dalla guerra in Ucraina. Mosca e Tokyo hanno dei rapporti complicati, che sono stati inaspriti dal conflitto. Inoltre il primo ministro giapponese Fumio Kishida, insediatosi pochi mesi fa, sta adottando una linea insolitamente dura per il Giappone, tanto da mettere in discussione punti chiave storici non soltanto del partito liberaldemocratico, ma anche della stessa costituzione.
Prima di vedere come il Giappone ha reagito all’attacco russo in Ucraina, è importante conoscere le relazioni che i due paesi intrattengono, oltre che alcuni importanti fattori della politica giapponese e del partito che lo governa dagli anni ’50.
I rapporti tra il Giappone e la Russia: il problema delle isole Curili
Tokyo e Mosca hanno dispute aperte da diversi anni. Le frizioni si concentrano sulle isole che si trovano tra i due paesi, le Curili. La disputa riguardante questi territori ha fatto sì che queste due importanti nazioni non abbiano mai formalmente stipulato un trattato di pace che ponesse fine al loro scontro nella Seconda guerra mondiale.
Le isole Curili si trovano tra la provincia giapponese dell’Hokkaido e la penisola russa della Kamchatka. Durante l’800, scontri tra i due paesi in questi territori avevano visto prevalere Tokyo su Mosca. Con un importante trattato firmato a Shimoda nel 1855, il Giappone ottiene il controllo delle quattro isole più vicine all’Hokkaido, ma successivamente l’impero giapponese riuscirà ad espandersi ancora oltre.
La situazione cambia con la Seconda guerra mondiale. Nell’agosto del 1945 l’Unione Sovietica entrò in guerra contro il Giappone, ed occupò tutte le isole Curili. Con il trattato di San Francisco del 1951, il decadente impero asiatico aveva perso i territori presi con la guerra russo-giapponese del 1904; tuttavia non si faceva riferimento alle quattro isole più vicine al Giappone, che erano state conquistate precedentemente e consegnate a Tokyo con il trattato di Shimoda. Esse però erano ormai controllate dall’Armata Rossa.
Questa contesa territoriale è ancora oggi vigente tra le due nazioni, e per causa sua Giappone e Russia non hanno mai formalmente concluso un trattato di pace. Il partito liberaldemocratico ha sempre rivendicato le quattro isole vicino all’Hokkaido come “Territori del Nord”, ma la Russia non ha mai ceduto il passo.
Il pacifismo costituzionale del Giappone
La pressione russa sui confini giapponesi e la disputa territoriale hanno rappresentato una delle questioni più importanti e problematiche per la politica estera di Tokyo. La situazione giapponese è un caso particolare nel mondo, dato che nella stessa costituzione nipponica è contenuto un articolo che sostanzialmente obbliga il Giappone al pacifismo.
Ai sensi dell’articolo 9 della costituzione, il Giappone “rinuncia alla guerra come strumento legittimo” e si impegna a mantenere le forze armate ridotte al minimo, al solo scopo di autodifesa. Sostanzialmente, quindi, Tokyo non possiede un vero e proprio esercito.
I possibili strumenti di pressione nei confronti della Russia si riducono alla diplomazia, che però non ha mai prodotto risultati concreti nella risoluzione delle dispute territoriali tra i due paesi.
Questo articolo della costituzione rappresenta il punto centrale della politica estera nipponica. Malgrado si sia già in passato discusso del cambiamento di questa norma, esso ha sempre svolto un ruolo centrale nella politica giapponese. I vari primi ministri hanno quindi sempre cercato di moderare le posizioni nei confronti di Mosca in considerazione dei loro obiettivi diplomatici, mostrandosi a volte più duri, altre più accondiscendenti.
L’aggressività della Russia si è dimostrata però un punto di svolta importante per questa impostazione del Giappone, che adesso si ritrova nuovamente a mettere in discussione questa norma costituzionale. La difesa del Giappone, comunque, rimane legata principalmente al primo partener di Tokyo, ovvero gli Stati Uniti.
I rapporti tra Giappone e USA
Dopo la sconfitta nella Seconda guerra mondiale, il Giappone ha vissuto per un breve periodo l’occupazione statunitense. Dopo il ritiro di Washington, il paese asiatico è rimasto fortemente legato agli USA, soprattutto in virtù della sua nuova “anima” pacifista, che però lo rende vulnerabile ai suoi potenti vicini (principalmente la Russia e la Cina).
Il Giappone non è un membro della NATO, ma il legame fortissimo con gli USA è stato sancito dal Trattato di mutua sicurezza del 1951. Secondo questo trattato, l’esercito statunitense rimarrà in Giappone fin quando esso non sarà in grado di difendersi da solo. Tuttavia l’articolo 9 della costituzione rende questo obiettivo molto difficile da raggiungere. Ad oggi, circa 54.000 soldati statunitensi sono in Giappone.
La reazione del Giappone alla guerra di Crimea del 2014
Quando nel 2014 la Russia attaccò la regione ucraina della Crimea, la reazione di Tokyo fu abbastanza diversa da quella che si è osservata nel 2022. Ma allo stesso modo era diversa la situazione in cui si trovava il paese. Il primo ministro di quei tempi, Shinzo Abe (uno dei più importanti della storia del Giappone democratico), ha avuto un approccio “atipico” nella storia dei leader del principale partito giapponese.
Tra il 2013 e il 2019, Abe ha visitato la Russia ben undici volte, e offrì anche un piano di cooperazione economica. Quando Mosca si appropriò della Crimea nel 2014, la reazione del Giappone è stata la più debole tra tutti i paesi del G7. Tutto ciò nella speranza che la Russia rimanesse aperta al dialogo per la risoluzione delle dispute territoriali.
Nessuna delle iniziative del primo ministro Abe ha avuto il successo desiderato. Oggi la rotta giapponese è ritornata su un binario più freddo con Mosca. Le cause sono diverse, e riguardano soprattutto il maggior pericolo per la sicurezza giapponese: la Repubblica Popolare Cinese.
Riflessi in Asia del conflitto ucraino
La Cina negli anni ha accresciuto la sua potenza militare oltre che quella economica. Sempre più sono le crisi che coinvolgono le forze armate cinesi in Asia e nell’Oceano Pacifico e ci si preoccupa se, nel caso in cui fosse Pechino a forzare la mano, ci potrà essere una reazione adeguata.
L’immobilità dell’occidente di fronte all’aggressione russa in Ucraina spaventa soprattutto i cittadini di Taiwan, l’isola al centro dei problemi territoriali con la Cina. Ma anche a Tokyo ci sono preoccupazioni, dato che è in corso una disputa territoriale anche tra i due paesi nelle isole Senkaku, che la Cine rivendica come proprie e chiama Diaoyu.
Nel caso in cui in futuro la Cina dovesse muovere le armi, e l’occidente dovesse nuovamente dimostrarsi restio ad intervenire, il Giappone potrebbe fare ben poco con la poca forza di autodifesa che possiede in virtù dell’articolo 9 della sua costituzione.
Il coordinatore di China Files Lorenzo Lamperti spiega in un’intervista per Il Caffè Geopolitico come lo scontro in Europa possa accelerare delle dinamiche presenti in Asia già da diversi anni, che vedono una Cina sempre più aggressiva e un Giappone che vi si contrappone sempre più duramente. Nella stessa intervista Lamperti fa comunque notare come la Cina ha sempre ribadito la differente situazione che c’è tra la Russia e l’Ucraina (due Stati che si considerano pienamente sovrani) e la Cina e Taiwan (che invece non si riconoscono a vicenda).
La guerra in Ucraina quindi ha sviluppato nuove reazioni anche a Tokyo, riguardo alla considerazione che il paese ha dell’intervento contro aggressioni di questo tipo. La ferma decisione del Giappone si nota dalla dura posizione intrapresa nell’adozione delle sanzioni nei confronti di Mosca.
Le sanzioni del Giappone alla Russia
Allineandosi con i partner del G7 in maniera molto più salda rispetto a quanto fatto nel 2014, il Giappone del primo ministro Fumio Kishida, da poco in carica, ha adottato pesanti sanzioni contro la Russia, nel tentativo di contribuire a indebolire l’azione russa.
A Tokyo sono stati congelati i fondi della banca centrale russa. Una risorsa importante, pari al 6% della riserva di valuta posseduta dai russi. Oltre a ciò, sono stati congelati i beni di 61 personalità vicine al presidente russo Putin, inclusi membri del parlamento di Mosca. Azioni sono state prese anche verso banche private. Il numero di sanzioni inoltre non è definitivo, e potrebbe variare a seconda di come il G7 deciderà di muoversi in futuro.
Oltre a ciò, il Giappone ha anche dato materiale sostegno a Kiev, fornendo materiali militari appartenenti alle forze di autodifesa giapponesi, come ad esempio giubbotti antiproiettile. Un’azione questa particolarmente insolita per il governo di Tokyo. Infine sono stati previsti aiuti umanitari sul territorio ucraino.
Il possibile aumento della spesa militare
La guerra in Europa potrebbe anche avere un effetto che difficilmente si sarebbe visto in Giappone: il forte aumento della spesa pubblica per la difesa. L’articolo 9 della costituzione ha sempre reso difficile questo obiettivo del partito liberaldemocratico, che già da diversi anni tenta di migliorare la difesa del paese in luce dell’aumento delle azioni cinesi e nordcoreane nell’area.
Nei primi mesi del suo mandato il primo ministro Kishida aveva proposto un aumento della spesa nel settore. Ma già Shinzo Abe, premier fino al 2020, aveva spinto particolarmente per questo intento, staccandola dal tradizionale 1% rispetto al PIL. Anche se fino ad ora non ci si era mai allontanati molto da questo valore percentuale di spesa rispetto al PIL, è ormai da otto anni che il Giappone aumenta la sua spesa militare.
Dal 1 Aprile 2022 il budget per la difesa del Giappone ammonterà a oltre 45 miliardi di dollari. Per via della guerra in Ucraina, tuttavia, la cifra potrebbe aumentare ancora.
Il limite dell’azione: dipendenza energetica dalla Russia
Il Giappone si trova comunque in una situazione comune a molti stati. Tokyo è infatti molto dipendente dalle risorse energetiche della Russia.
Povero di risorse, il Giappone ha dovuto aumentare le importazioni di materie prime nell’ultimo decennio. Dopo l’incidente della centrale di Fukushima, a Tokyo si decise di ridurre la produzione energetica dal nucleare, tornando ad essere particolarmente dipendenti dalle fonti fossili, soprattutto carbone e gas.
Come in Europa, anche in Giappone si discute se continuare a collaborare con i russi per quanto riguarda l’energia. Il commercio con Mosca è ancora di vitale importanza per la sicurezza energetica giapponese.
Per ora, il Giappone non sembra intenzionato a staccarsi dai suoi accordi energetici già intrapresi con Mosca. La sicurezza energetica rappresenta per Tokyo, come per molti altri paesi, un forte limite alle sanzioni che possono essere adottate contro la Russia.
Giappone: un paese sempre uguale, ma in mutamento
Lo scontro in Ucraina ha comportato un radicale cambiamento del Giappone nei confronti della Russia. I buoni rapporti costruiti durante la lunga amministrazione di Shinzo Abe non hanno prodotto gli effetti desiderati per la restituzione dei territori contesi. Il governo di Fumio Kishida quindi porta una radicale inversione di rotta sotto questo aspetto, adottando una linea molto più dura e decisa.
La guerra in Europa ha avuto importanti effetti fino in Asia. In Giappone è stata pretesto per importanti cambiamenti di rotta in un paese che da decenni ha elementi fissi e difficilmente mutabili, come l’articolo 9 della sua costituzione. Ovviamente molti elementi della politica giapponese sono ancora fermi, come il partito di governo tradizionalmente al potere (i liberaldemocratici), e l’anima pacifista del Giappone, che è ancora fortemente presente.