The Journalist è una serie di Michihito Fujii uscita agli inizi del 2022 su Netflix.  Il regista, pur essendo molto giovane, sta già riscuotendo molto successo in Giappone. La trama segue le vicende della giornalista Anna Matsuda, che indaga su uno scandalo che vede coinvolti politici e figure di alto livello, che tentano di insabbiare la vicenda.

La storia è fortemente ispirata ad uno scandalo realmente accaduto in Giappone nel 2017, ovvero quello della Moritomo Gakuen, che arrivò ad investire direttamente l’allora primo ministro Shinzo Abe. Il personaggio della protagonista è ispirato invece ad una importante giornalista giapponese del quotidiano Tokyo Shimbun, Isoko Mochizuki. Fu proprio lei ad investigare sui fatti delle concessioni alla Moritomo Gakuen, e fu una delle figure principali della crisi che investì il governo fino al 2019.

Isoko Mochizuki è un personaggio molto importante nel giornalismo giapponese. Nel 2019 un altro regista (Mori Tatsuya) aveva prodotto un documentario su di lei. Inoltre nello stesso anno è uscito il film da cui è tratta la serie The Journalist (prodotto sempre da Michihito Fujii).

Tutti questi lavori hanno riscosso un grande successo, malgrado vadano contro il governo e il suo operato. Ma perché la storia di Mochizuki ha attirato così tanta attenzione? L’attivismo con cui la giornalista giapponese svolge il suo lavoro sembra essere qualcosa di raro in Giappone. Il paese del sol levante, famoso per essere tra i più avanzati e sviluppati al mondo, fatica moltissimo a comparire tra i più liberi per quel che riguarda la stampa e l’informazione. Secondo la ONG Reporters Senza Frontiere in Giappone i giornalisti non riescono ad essere veri e propri guardiani del potere.

La serie aiuta a riflettere su queste questioni, oltre che dare un interessante immagine del legame tra politica, giornalismo e società in Giappone.

Giappone e giornalismo: influenze di vecchie tradizioni

La costituzione giapponese tutela la libertà di pensiero, espressione e stampa. Tuttavia, secondo quanto riportato da Reporters Senza Frontiere, il Giappone sarebbe solo alla posizione 67 della classifica sulla libertà di stampa. Il risultato non è per nulla buono. È la posizione peggiore tra i paesi del G7, ed è anche inferiore a molti Stati in via di sviluppo.

La ONG imputa questa difficoltà alla forza degli interessi economici e della destra tradizionalista in carica al governo da tantissimi anni. Inoltre un ruolo chiave nella limitazione del potere dei giornalisti è svolto da istituzioni peculiari della società giapponese: i “kisha club”.

I kisha club (o club dei reporter) sono gruppi di giornalisti che si concentrano a raccogliere informazioni da determinate istituzioni, le quali rilasceranno dichiarazioni solo ai membri del club. Sostanzialmente gli affiliati a questi gruppi hanno un canale privilegiato di accesso alle informazioni di una determinata fonte istituzionale. Tuttavia questo privilegio ha un prezzo da pagare. Grazie a questo sistema le istituzioni sono in grado di controllare e filtrare le notizie che poi saranno pubblicate sui principali media del paese. Coloro i quali vogliono mantenere questa posizione in prima linea di accesso alle informazioni difficilmente scriveranno diversamente da ciò che viene comunicato dalla fonte istituzionale.

Secondo delle interviste riportate in un articolo del progetto “Free Speech Debate” dell’università di Oxford, ci sono alcuni fattori comuni tra tutti i vari club esistenti. Tra questi c’è per esempio il fatto che per partecipare al club, bisogna appartenere ad uno dei più importanti giornali o emittenti del paese. Questo esclude i reporters di piccoli giornali o i free lancers, ma anche per esempio (fino a non molti anni fa) i reporters internazionali.

Molti dei club hanno anche il potere di sanzionare i giornalisti che non si attengono alle regole di comportamento, per esempio scrivendo un articolo con informazioni aggiuntive a quelle fornite dalla fonte istituzionale. È proprio questa caratteristica dei club che fa sì che i giornalisti delle varie testate cooperino affinché la notizia pubblicata sia la stessa, e data da tutti allo stesso modo, senza differire da quanto dichiarato dalle istituzioni governative.

I primi club si sono formati molti anni fa, quando il Giappone ancora non era una democrazia. Oggi il ruolo di questi gruppi non sembra ben adattarsi alla nuova forma di governo. Dal 2009, le conferenze stampa sono aperte a tutti, ma le domande vanno comunque consegnate prima dello svolgersi della stessa. Le domande dei membri dei kisha club inoltre hanno sempre la precedenza.

La serie mostra queste imperfezioni del sistema giapponese attraverso le difficoltà che la protagonista affronta per cercare di fare luce sulla vicenda su cui indaga. Anche la pressione che le istituzioni sono in grado di esercitare sulle testate giornalistiche (e non solo) è messa in risalto.

Rigidità anche al di fuori della politica

La politica e la stampa non sono gli unici ambiti della società giapponese in cui vecchie e rigide tradizioni faticano a tramontare. La formalità e la rigidità di questo paese appaiono anche in altre occasioni nella serie. I due personaggi più giovani, Ryo e Mayu, si ritrovano ad osservare lo scandalo in un momento importante della loro vita, ovvero quello dello Shushoku Katsudou: in altre parole la ricerca del loro futuro impiego.

Lo shukatsu (così viene abbreviato) è un sistema di ricerca del lavoro in vigore in Giappone dagli anni ’50. Esso è molto rigido e competitivo, e sottopone gli studenti universitari ad un fortissimo stress già da molto prima che essi finiscano gli studi.

Il sistema è basato su un calendario preciso: inizia e finisce tutti gli anni negli stessi mesi, in cui gli studenti svolgono diversi colloqui con le varie aziende o istituzioni per ottenere una naitei (ovvero una promessa di assunzione). Qualora non dovessero riuscire nell’impresa alla fine della stagione, dovranno aspettare l’anno successivo per ritentare, con un forte svantaggio nei confronti dei loro “avversari” più giovani, e con un pesante stigma sociale sulle spalle.

La serie fa vedere l’importanza che questa pratica ha nella società nipponica, e anche come viene vissuta. Si vede anche come il COVID abbia avuto un pesante impatto sulle aspettative di molti laureandi, che si sono visti privati della possibilità di assunzione. Molte aziende infatti non si sono potute permettere di accettare candidature per via della crisi dovuta dal virus, mettendo in difficoltà molti giovani a causa della rigidità di questo sistema.

Come i kisha clubs, anche la pratica dello shukatsu sembra non essere in procinto di abbandonare la società nipponica, date la sua lunga tradizione e i benefici che vengono visti dietro di essa. Tuttavia, proprio recentemente sembra che questa regola sociale stia lentamente ammorbidendosi, per molte problematiche causate non tanto dalla pandemia, ma soprattutto alle tematiche di genere e di pari opportunità. Il sistema infatti pare si stia aprendo anche a logiche non binarie e meno formali.

Sintomi di una democrazia più “disinteressata”

The Journalist non mette il governo giapponese sotto una buona luce. Nel racconto si vede come la macchina del governo si muova per insabbiare la faccenda, mettendo sotto pressione funzionari, giornalisti, e perfino il potere giudiziario.

Effettivamente in Giappone si percepisce sempre di più una distanza tra il popolo ed il governo. Un sondaggio del 2018 mostra come la maggior parte degli intervistati ritenessero che il governo fosse corrotto. Il partito al comando non è praticamente mai cambiato nella storia del paese, e solo con la pandemia si sono visti dei nuovi primi ministri, legati comunque all’ex premier Shinzo Abe, che ha governato ininterrottamente dal 2012 al 2020. Il mancato ricambio della classe dirigente giapponese potrebbe essere l’elemento alla base del sempre maggior allontanamento tra politici ed elettori in Giappone.

Malgrado questi nuovi malcontenti, dovuti alle peculiarità del sistema nipponico che non vanno d’accordo con le nuove generazioni, il Giappone continua ad essere considerato una delle democrazie più stabili e funzionanti.

Problemi comuni in società diverse

La serie affronta tematiche che non sono estranee al nostro paese. Per quanto il riferimento alla cultura giapponese sia ovviamente il punto cardine che caratterizza The Journalist, gli avvenimenti raccontati non sono in verità particolarmente differenti da ciò che domina il dibattito pubblico in Italia o in altre nazioni a noi vicine: corruzione, scandali politici, problemi del sistema.

Il lavoro del regista Fujii offre una prospettiva di queste problematiche che copre diversi punti di vista: i cittadini, i giornalisti, gli inquirenti, i giovani; ma anche i politici e i funzionari di governo. In questo modo si vede come l’intero sistema giapponese si riflette non solo su come vengono interpretati scandali di questo tipo dai cittadini, ma anche come vengono raccontati. In una società di questo tipo, la cui rigidità si riflette anche sulle possibilità dei più giovani, figure come quelle di Isoko Mochizuki (a cui si ispira il personaggio principale) sono certamente di spicco.

La serie non è interessante solamente per avere un punto di vista su un paese lontano da noi, ma anche per porci delle domande sulla nostra stessa nazione, su come eventi del genere vengono trattati, percepiti e raccontati. Avere risposte a questi quesiti è utile per capire quali effetti ha il sistema in cui viviamo sulla nostra quotidianità.

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