Conosciamo tutti le vicende che caratterizzano l’attuale terremoto internazionale: dalla guerra in Ucraina alle elezioni americane, dalla questione taiwanese alle destabilizzazioni della zona del Sahel africano. Tuttavia, una fetta consistente della nostra attenzione è stata catturata da un altro evento sorprendente; uno spettro sempre in agguato che, con l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023, si è risvegliato: la questione israelo-palestinese.

Due popoli, una sola terra, un altro capitolo di un film con la stessa trama e la stessa conclusione, che merita riflessione maggiore nel contesto di un panorama internazionale odierno così fragile. Vorrei continuare questa riflessione, utilizzando proprio un film: “Munich” (2005), di Steven Spielberg, come sintesi artistica del dilemma israelo-palestinese.

Steven Spielberg: Un Regista tra Storia e Narrazione

Steven Spielberg, uno dei registi più influenti e amati del cinema moderno, di origini ebraiche, è noto per la sua versatilità nel dirigere film di vari generi, dalla fantascienza ai drammi storici. Un regista che nonostante l’etá, non ha mai perso i suoi occhi e il suo spirito da bambino, ha sentito un’urgenza: “As I grow older,” disse al Der Spiegel, “I feel the burden of responsibility that comes with such an influential instrument as making films. I now prefer to tell stories that have real meaning.”

Il film intitolato “Munich”, basato sul libro “Vengeance” di George Jonas, narra la storia dell’Operazione “Ira di Dio”, la risposta segreta di Israele all’attentato terroristico di Monaco del 1972.

Durante le Olimpiadi di Monaco, il gruppo militante palestinese “Settembre Nero” rivendicò l’attentato con l’obiettivo di attirare l’attenzione mondiale sulla causa palestinese e ottenere il rilascio di prigionieri palestinesi detenuti in Israele. L’attacco portò alla morte di 11 atleti e allenatori israeliani, oltre a un poliziotto tedesco occidentale, dopo un fallito tentativo di salvataggio.

“Munich” rappresenta il tentativo di Spielberg di affrontare un episodio storico complesso e controverso attraverso una lente umanistica, esplorando le profonde implicazioni morali e psicologiche della risposta alla violenza con la violenza e proponendoci un ritratto della realtá che vuole essere indagato.

Nonostante l’intenzione di Spielberg di mantenere una certa neutralità, “Munich” ha suscitato controversie e dibattiti su questioni di accuratezza storica e rappresentazione dei fatti. Per esempio, il  New York Times criticó il film per la sua presunta incapacità di riconoscere “il male così come esiste realmente” e per ignorare “il male essenziale nel radicalismo islamico”, oppure il New Republic che sostenne che il film “è disperato nel non avere una propria opinione”. Alcuni critici hanno sostenuto che il difetto fatale di “Munich” è che occupa un falso terreno morale di mezzo, suggerendo che il film tenti di rimanere neutrale su questioni che richiedono una presa di posizione più definita. Il regista, però, ha difeso il film come un’opera che mira a provocare riflessione, la stessa che in questo articolo voglio riproporre.

La Trama di “Munich”: Una Riflessione sulla Vendetta e la Pace

La trama del film si sviluppa attorno ad Avner Kaufman, un agente del Mossad interpretato da Eric Bana, incaricato di guidare una squadra segreta per rintracciare e assassinare gli individui coinvolti nell’attentato. Con il progredire della missione, i membri della squadra iniziano a sentire il peso morale delle loro azioni e a mettere in discussione la legittimità e l’efficacia della loro missione di vendetta.

Man mano che la squadra elimina più bersagli, la violenza sembra solo intensificarsi, con nuovi attacchi terroristici che vengono perpetrati in risposta alle loro azioni. La missione diventa sempre più pericolosa, e alcuni membri della squadra vengono uccisi. Avner si rende conto che la vendetta non porta alla pace, ma perpetua un ciclo di violenza senza fine.

Verso la fine del film, Avner lascia il Mossad e si trasferisce negli Stati Uniti con la sua famiglia, cercando di sfuggire alle ombre del suo passato. Tuttavia, rimane tormentato dalle sue azioni e dalla paura che i suoi nemici possano un giorno trovare lui e la sua famiglia. Il film si conclude con una scena in cui Avner e il suo supervisore del Mossad, Ephraim, discutono a New York con lo skyline che include le Torri Gemelle, un simbolo potente che oggi richiama il discorso di Biden del 2023: “Don’t repeat our rage-fuelled 9/11 mistakes”.

Il Ciclo della Vendetta: Una Storia Senza Fine

Le vicende rappresentate nel film e quelle accadute nella realtà raccontano di un istinto (difendersi), di un bisogno (sicurezza), di una debolezza (potere e riconoscimento). La classica storia di vendetta, che con la sua contestuale mistura propina ancora una volta lo stesso presente e lo stesso argomento: quello dell’inevitabilità e irrazionalità della natura umana, del loop della vendetta anche nelle relazioni internazionali. Un finale senza fine.

Il 7 ottobre 2023, Hamas ha lanciato un attacco senza precedenti contro Israele, segnando un’altra drammatica escalation nel conflitto israelo-palestinese. L’offensiva è stata accuratamente pianificata e ha visto l’uso di vari mezzi di attacco. La risposta israeliana è stata immediata e intensa, con l’annuncio di aver colpito obiettivi militari di Hamas nella Striscia di Gaza. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato lo stato di guerra e ha ordinato all’esercito di rispondere con irruenza e un’ampiezza mai vista prima. L’attacco ha provocato una grave crisi umanitaria, con migliaia di morti, sfollati e la distruzione di infrastrutture a Gaza, sollevando interrogativi sulla capacità dell’esercito israeliano di proteggere i propri cittadini e accuse di tentato genocidio da parte di una buona fetta dell’opinione internazionale.

La Speranza di un Futuro Diverso

Stessa storia, stesso film, ma contesto diverso. Sarà anche lo stesso finale? Un finale senza fine. Una storia di sangue e vendetta che infesta le strade, le menti e le anime di due popoli in un loop eterno di violenza. Questa riflessione porta con sé molte domande, ma fondamentali rimangono: esiste un limite, un livello di violenza oltre il quale si può rompere questo loop? Chi lo stabilisce il limite?

Purtroppo nella nostra storia non vi è alcun regista che possa riscrivere questa realtà e porre quel limite; sicuramente non vi sarà mai la possibilità di riscrivere il passato. Ma forse un limite esiste e potrebbe trovarsi nella comunità internazionale: che dopo tanti negoziati e critiche, con quattordici voti a favore e l’astensione degli Stati Uniti, il 25 marzo 2024, tramite il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che prevede un cessate il fuoco temporaneo nel conflitto tra Israele e Hamas.

In questo intricato intreccio di storia e narrazione, dove la vendetta sembra essere l’unica protagonista, emerge tuttavia una tenue luce di speranza.

La risoluzione del Consiglio di Sicurezza non è solo un documento, ma un simbolo di ciò che la comunità internazionale può ottenere quando si unisce per un obiettivo comune, quando urla a gran voce per i suoi diritti, quando la pressione dal basso è così alta che può solo cambiare la Storia. Il cessate il fuoco temporaneo è una piccola luce nell’oscurità, un momento di respiro, un respiro affannoso, per niente diverso dal finale di “Munich”. Un falso finale.

Oltre che una riflessione, Spielberg vuole farci vedere quello che era un suo desiderio ed un invito, cioè a cambiare quel finale che così tante volte siamo stati costretti a guardare. È un promemoria che, anche nelle ore più buie, la speranza di un futuro migliore rimane accesa, alimentata dalla volontà di coloro che scelgono di agire non per vendetta, ma per giustizia e pace. Forse, allora, il finale di questa storia potrebbe essere diverso. Non un epilogo scritto con il sangue e la vendetta, ma un nuovo capitolo di comprensione e coesistenza.

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