24 e 25 febbraio. Il momento della verità è arrivato. E’ da tempo che non  si assisteva ad una concentrazione così elevata di elezioni. Si votano le politiche, le regionali, a seguire qualcuno tornerà alle urne per le amministrative. Anche il mandato di Napolitano scadrà il 15 maggio e pur essendo nel nostro Paese un’elezione indiretta è comunque rilevante conoscere il volto del nuovo Presidente della Repubblica. Infine come un fulmine a ciel (per nulla) sereno il Papa ha deciso di dimettersi e anche il Conclave del Vaticano avrà le sue elezioni. Sembra quasi che Nanni Moretti sia destinato ad avere la reputazione di veggente: prima con la fedele descrizione del futuro di Berlusconi con “il Caimano” ed ora con “Habemus Papam” profetizza il congedo di un Papa che non riesce a sostenere il peso della sua carica.  L’inevitabile intreccio tra laicità e culto si manifesterà simultaneamente in uno scenario catastrofico come quello di una preoccupante crisi che col tempo avanza preannunciando  aggravamenti inquietanti.

La campagna elettorale è infuocata e vecchi e pochi nuovi volti si scontrano senza esclusione di colpi. Gli ultimi sondaggi al 9 febbraio, non più pubblicabili secondo un estratto del regolamento AgCom, davano il PD come primo partito in forte calo rispetto ai sondaggi del mese precedente e il PDL in grande rimonta.

Come nuovi volti ci sono il Movimento (partito?) 5 Stelle che con l’antipolitica di Grillo si tramuta in movimento fortemente politicizzato che sfrutta tutti i canali mediatici a cominciare dalla televisione, dove però Grillo solo ha il “diritto” di comparire e comunque mai in un contraddittorio. E poi Ingroia che con la sua “Rivoluzione civile” dà un volto “nuovo” alla sinistra, recuperando i perdenti della legislatura precedente come Di Pietro e il suo defunto IDV. Alcuni punti del suo programma sono decisamente condivisibili, ma intanto nell’eventualità di una sconfitta non si dimette da magistrato. Altro che Guatemala in caso di sconfitta.

Potrebbe sembrare che la sventura sia inevitabile nel futuro politico italiano. Esiste però una risorsa che ogni cittadino di una democrazia possiede per fronteggiare qualsiasi forma di difficoltà politica ed economica di un paese. Questa risorsa è il voto.

La Costituzione afferma: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”. La “mala politica” e l’antipolitica stanno facendo venir meno il credo in questo dovere civico. Il senso di responsabilità da parte degli elettori sta scemando di pari passo con l’impresentabilità della classe dirigente, anche se chi ha sempre divulgato l’antipolitica adesso invita i cittadini a votare il suo movimento (partito?). Non votare significa non compiere il nostro dovere. Chi non esercita questo diritto-dovere non può quindi pretendere che le persone che lo rappresenteranno debbano per forza svolgere il loro compito al meglio. Siamo un Paese con una moltitudine di partiti ed uno che si avvicina alle nostre idee deve esistere per forza. Il voto funziona persino negli stati con il bipolarismo perfetto, dove è inevitabile la lontananza tra l’ideale dell’elettore e il programma politico dei due partiti che si presentano. È alquanto improbabile che un partito ricalchi perfettamente le nostre convinzioni, così è in Italia, così è nel mondo e così sarà per sempre.

L’individuo per quanto simile al suo prossimo è comunque unico nello spirito e nell’intelletto. Ma se questo per alcuni risulta inaccettabile c’è sempre la possibilità di candidarsi. Ad ogni modo gli unici strumenti in una democrazia al fine di esercitare il proprio potere è votare o candidarsi. Chi non li esercita non dà il proprio contributo, quindi non dovrebbe neanche lamentarsi se non viene ricambiato dalla classe dirigente che governerà. Negli ultimi anni le cose sono andate molto male, l’unico modo per superare questa impasse è esercitare il proprio dovere civico. L’astensione vuol dire tirarsi fuori dallo scenario politico e questo significa dare forza ai partiti più lontani dalle proprie convinzioni: infatti quei partiti si troveranno ad avere da ognuno di queste persone un voto a sfavore in meno. Non è opinione, è matematica. Bisogna ricordarsi che per la maggior parte degli uomini al potere non interessa il numero di astensioni, a loro importa solo essere eletti. Le elezioni politiche e amministrative non hanno un quorum da raggiungere quindi a quanti degli eletti anche con un numero esiguo di voti può interessare la protesta degli astensionisti una volta che hanno ottenuto la poltrona del potere?

1 commento

  1. Votare è dovere civico. Ma io lo intendo soprattutto come afferenza alle urne, e non deposito del voto ad un partito. Rimanere a casa è venire meno ai propri doveri. Andare e rendere nulla la scheda è disobbedienza civile.

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