Il reato di tortura in Italia oggi, rischia di essere messo a rischio. Infatti, le dichiarazioni dei leader politici al riguardo mettono in guardia rispetto a questa possibilità. La storia della Tortura è una storia legata alla storia dell’umanità. Occorre riflettere su questo istituto per capire questo dibattito tragicamente attuale.

La tortura, abolita nella maggior parte degli stati a partire dal XVIII secolo, è ancora praticata impunemente, non solo privatamente ma anche pubblicamente. Con questo si intende dire che è praticata con il beneplacito di molti governi. Troppo noto è il caso di Guantanamo che ha messo in luce un problema ancora attuale: l’accettabilità o meno della tortura. In effetti, è il 1764 quando Cesare Beccaria scrive l’opera  Dei delitti e delle pene, ma è solo nel 2017 che l’Italia, madrepatria dell’autore, introduce nel proprio ordinamento il reato di tortura, facendo passare trent’anni dalla Dichiarazione Onu, a cui l’Italia ha aderito, che condannava il reato di tortura.

 L’art. 3 della Dichiarazione Universale dispone che “nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o punizioni crudeli, inumane o degradanti”. in ambito convenzionale europeo il divieto di tortura è sancito dalla CEDU, indicizzato per l’appunto come “divieto di tortura”, inoltre è stato istituito il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti (CPT).

 Tuttavia, per quanto la maggior parte delle Carte si dichiarino contrarie al reato di tortura, troppo noti sono alcuni episodi che hanno dimostrato come la tortura sia stata, alle volte, praticata dagli stessi Stati firmatari anche in tempi recenti. Per comprendere meglio la situazione del presente, è necessario prendere come esempio la storia e compprendere per quali ragioni per lungo tempo la tortura sia stata accettata in quanto considerata metodo infallibile per estorcere infomazioni. 

Tante volte infatti si è tentato di giustificare la tortura in base alla sua efficacia, ad esempio così è stato fatto quando lo scopo era quello di far confessare i presunti eretici o colpevoli di stregoneria. Ma in realtà questa necessità di giustificare tanta crudeltà deriva da un bisogno più grande dell’uomo, deriva infatti dal desiderio di vendetta della società e dunque dalla volontà delle istituzioni di placare questo senso di ingiustizia insito nella società. 

Le radici di questo sentimento sociale di giustizia sono molto profonde ed è necessario comprenderle per capire il successo della tortura nel tempo. 

George Riley Scott, nell’opera “Storia della Tortura”, sottolinea come ogni possibilità di abolire la tortura è “compromessa dall’esistenza della crudeltà in ogni forma e per qualsiasi scopo. In ogni circostanza e in ogni momento la crudeltà può facilmente trasformarsi in tortura e l’accettazione o la sanzione passiva di una forma di tortura può facilmente portare all’introduzione di altre sue forme”. Per queste ragioni attraverso i secoli è stato possibile accettare le atrocità e mostruosità della tortura che è stata inflitta in tutto il mondo e che, senza dubbio, è segretamente inflitta ai giorni nostri. 

Ragionare sulla natura di questo trattamento e sulle ragioni che ne hanno consentito l’utilizzo in passato è più che mai utile a capire la situazione del presente. La storia della tortura è legata indissolubilmente alla storia dell’uomo e della sua umanità. La pratica della tortura è stata inflitta dai selvaggi e primitivi di tutto il mondo, dagli antichi greci e dai romani. Ha subito un’evoluzione in relazione all’evoluzione della chiesa e della religione tramite l’inquisizione. È stata praticata in Inghilterra, contravvenendo alla Common Law, in Scozia e in Irlanda. È stata inflitta in Cina, in Giappone e in India. Ne abbiamo osservato una rappresentazione raccapricciante ad opera degli Stati Uniti a Guantanamo. È stata studiata, giudicata e criticata a partire dalla Confraternita di San Giovanni delle Case Rotte fino a Montesquieu, da Beccaria e da Voltaire fino agli studiosi di età contemporanea. E dunque, ora noi, se comprendiamo le ragioni per cui è da sempre stata praticata in privato capiamo che indubbiamente lo stesso succede anche oggi.

cosa si intende per tortura?

Per comprendere meglio questo istituto occorre quindi fare delle precisazioni e capire dunque cosa si intende con il termine tortura. La parola “tortura” significa letteralmente “atto del torcere”, dal verbo latino “torqueo”, quindi “attorcigliare strizzando”. Ai giorni nostri con questo nome si indica una grave sofferenza fisica o morale, un “tormento”: un qualcosa di fastidioso dal quale non ci si riesce a liberare e che nella sua persistenza provoca danni. La connessione tortura-tormento rende bene l’idea. Non a caso George Riley Scott parla di effetto paralizzante della tortura. In effetti, prendendo le parole dell’autore, “Non è una questione di coraggio. La tortura distrugge le radici da cui nascono il coraggio e il suo contrario. Nelle fasi peggiori, trasforma l’animo umano in una massa di carne pulsante, priva di pensiero consapevole. (…) In termini generali, nella sua fase iniziale o nelle sue forme più morbide, la tortura distrugge la volontà, ma in ogni sua forma deprime la resistenza nervosa assai prima di raggiungere lo stadio in cui provoca il crollo della conoscenza”. 

Attualmente, come abbiamo visto, con il termine tortura si indica, nelle maggior parte delle Carte, qualsiasi “trattamento inumano e degradante” che può avere diversi effetti, fisici o psicologici, che variano da individuo a individuo e in base alla gravità della tecnica impiegata. Le tecniche di tortura sono state e sono, purtroppo, innumerevoli e possono essere impiegate per il raggiungimento di diversi obiettivi. La tortura può infatti essere finalizzata al mero compimento di un atto di violenza, alla punizione di qualcuno o all’estorsione da parte di qualcuno di un’informazione o di un comportamento. 

Giuliano Serges, nella sua opera su “La tortura giudiziaria” offre un’attenta descrizione dei diversi tipi di tortura. La sua analisi può essere molto utile per fare maggiore chiarezza sull’argomento e dunque sarà il nostro punto di partenza.

Secondo l’autore si può discernere tra tortura–fine (o tortura finale), laddove la tortura è finalizzata a se stessa (si tratta dei primi due casi tra quelli che abbiamo qui sopra elencato), e tortura–mezzo (o tortura strumentale), nel caso in cui la tortura sia finalizzata al raggiungimento di un risultato diverso dalla tortura stessa, come avviene quando la si usa per estorcere qualcosa da qualcuno. La tortura strumentale, quando usata nell’ambito della legalità, può essere definita come tortura intesa in senso tecnico-giuridico. 

Sempre secondo l’opinione di Serges, quandosi parla di tortura giudiziaria, l’appellativo sta ad indicare che il trattamento è finalizzato alla produzione di una decisione giudiziaria o, meglio, all’interno di un procedimento giudiziario al cui compimento è dunque finalizzata. Per questa ragione questo tipo di tortura appartiene alla categoria di tortura-mezzo, ma in particolare si distingue per il fatto di essere di tipo legale ed istituzionale-autoritativa (cioè praticata dai rappresentati delle istituzioni). 

Un altro tipo di tortura che presenta sia il caratttere della legalità sia il caratttere dell’istituzionalità è rappresentato dal caso della c.d tortura-pena (o, meglio, pena-tortura) che si distingue però dalla tortura giudiziaria per varie ragioni. A partire dal fatto che la pena-tortura appartiene sicuramente alla categoria di tortura finale, in quanto è totalmente fine a se stessa. Inoltre la tortura-pena è il risultato di un processo giudiziario, non una parte di esso. Infine la tortura-pena si distingue dalla tortura giudiziaria perché, mentre nella tortura giudiziaria la “giudiziarietà” è una qualificazione della “tortura”, nella tortura–pena è l’essere “tortura” che rappresenta una specificazione della “pena”.

Nel caso della tortura giudiziaria, il ruolo che svolge all’interno del processo è principalmente –ma, come sottolinea Serges nei suoi studi sulla materia, non unicamente– volto al fine di estorcere all’imputato una confessione o informazioni utili per il procedimento giudiziario. Una definizione “in senso stretto” di tortura giudiziaria va poi ricercata nell’istituto della quaestio dell’epoca del diritto romano. In questo caso il termine corrisponde letteralmente a “interrogatori” .

Altri autori poi sottolineano come non si possa rinchiudere la tortura in una di queste categorie, infatti si può trovare anche la categoria di tortura psicologica, la quale può accompagnare la tortura fisica, ma può anche sussistere da sola. Occorre quindi comprendere che per “trattamenti inumani e degradanti” si intendono numerose situazioni. 

Attualità

Concentrandoci sul termine di tortura giudiziaria, cioè quelle pratiche che, come abbiamo visto, sono volte ad estorcere informazioni durante gli interrogatori, vengono in mente le dichiarazioni dell’attuale Premier del governo Giorgia Meloni.

il 20 settembre 2022, pochi giorni prima della vittoria delle elezioni, Giorgia Meloni, risponde alla “lettera sul programma di sicurezza” del Segretario Generale della Polizia di Stato, inviata dal sindacato autonomo. In tale occasione l’attuale premier affermava che “bisogna rimettere le cose in prospettiva, perché troppe volte si è avuta l’impressione di trattamenti addirittura penalizzanti, delegittimanti e criminogeni nei confronti degli operatori di Polizia, a fronte insane giustificazioni o banalizzazioni di comportamenti aggressivi e delinquenziali nei confronti degli operatori di sicurezza e, più in generale, delle leggi dello Stato”. E continua: “importante abolire il reato di tortura come reato proprio delle FF.OO” o “far sparire una volta per tutte dall’agenda politica temi come l’introduzione dei numeri alfanumerici identificativi per gli operatori”.

Un’affermazione del genere costituisce un passo all’indietro di circa tre secoli ed è un pericolo per il nostro ordinamento. In effetti, anche se è presente il reato di tortura e se per il momento i poliziotti che vanno contro la legge sono condannati, ci sono stati episodi di violenza della polizia che sono rimasti per anni impuniti.

La storia di Stefano Cucchi dovrebbe fare da monito. L’omicidio del giovane avvenne a Roma il 22 ottobre 2009 mentre era in custodia cautelare.Presso il comando dei carabinieri di Roma Casilina avvenne il pestaggio di Stefano ad opera di D’alessandro e Di Bernardo. Successivamente all’udienza, le condizioni di stefano peggiorarono e il 16 ottobre (il giorno dopo il suo arresto) alle ore 23 fu condotto al pronto soccorso. Furono messe a referto lesioni ed ecchimosi alle gambe, al volto, all’addome con ematuria e al torace. Nonostante questo Stefano rifiutò di essere ricoverato. Nei giorni successivi la situazione si aggravò ulteriormente e al momento del decesso, avvenuto il 22 ottobre, pesava solo 37 chilogrammi

Soltanto nel 2022 i responsabili dell’omicidio furono finalmente condannati. Questa storia, tragicamente recente, evidenzia un problema che esiste ancora oggi. La tortura, in forme diverse dal passato, esiste ancora oggi.

Per non parlare di quella che i manifestanti chiamano “tortura nelle carceri”. Le condizioni di alcuni detenuti portano a pensare che in effetti si possa trattare di vera e propria tortura psicologica e, in alcuni casi, anche fisica. Ma concentriamoci, per facilità, sull’aspetto psicologico. Già Beccaria affermava che le lunghe attese e la solitudine portavano spesso al suicidio perché portano con sè i terribili tormenti dell’incertezza, che crescono con l’immaginazione e con il sentimento della propria debolezza.

Nelle carceri italiane un suicidio su tre avviene nelle celle di isolamento. In vent’anni ci sono stati 14.840 suicidi e moltissimi casi di autolesionismo. Ecco che l’opera di Beccaria è, ancora una volta, estremamente attuale. 

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