23 novembre 2020. “Sono già passati 40 anni”, diceva mia nonna qualche giorno fa, alludendo all’anniversario che stava avvicinandosi. Il fatto che io a primo impatto non avevo compreso a cosa si stesse riferendo mi ha dato la misura di quanto, l’evento del terremoto dell’Irpinia del 1980, abbia segnato quella generazione in quel determinato territorio, tanto da lasciare cicatrici “silenziose” di cui io e i miei fratelli siamo stati tenuti perlopiù all’oscuro. Il ricordo dei miei genitori del sisma che nel 1980 causò 3000 vittime Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Il sisma causò 3000 vittime, 8000 feriti e mezzo milione di sfollati e colpì le province di Avellino, Potenza e Salerno con una magnitudo di 6.9. Di così forti, da allora, in Italia, non ve ne sono più stati. L’ultimo sisma a superare quell’intensità di magnitudo (7.0) fu il terremoto della Marsica del 1915, che di vittime ne fece più di 30’000.
I miei genitori si erano conosciuti da qualche mese, avevano poco più di vent’anni, e quella che pareva una “bellissima e calda domenica di novembre” -entrambi hanno tenuto a sottolineare questo aspetto- la passarono insieme, a casa di mia nonna, all’ultimo piano di un palazzo nel quartiere “alto” di Salerno, dov’era possibile affacciarsi dal terrazzo e guardare la partita che quel giorno la Salernitana disputava nel vecchio stadio “Vestuti”.
Alle 19:34, quando il tempo si fermò, i miei genitori stavano giocando a carte. Papà, con un pizzico d’orgoglio, riporta che “nessuno si fece prendere dal panico”…”però pensavamo davvero fosse la fine”, mentre mamma precisa che a quei tempi le misure di comportamento da tenere in caso di sisma non le conosceva nessuno e “ognuno faceva un po’ come gli pareva”.
Continua mia madre: “Chi era per strada vedeva i palazzi oscillare”…”mentre in casa i mobili si spostavano da una parte all’altra e dovemmo trovare qualcosa di solido a cui afferrarci”…”immediatamente il quartiere si riversò in piazza, il nonno dispose il suo garage a mo’ di pubblica toilette (bastò scoperchiare un tombino) che fu utilizzata da tutto il vicinato”.
Quella notte, fitta di scosse di assestamento, i miei dormirono in una Ford Taunus, poiché i palazzi potevano crollare. Il clima era di completa incertezza: inizialmente “nessuno sapeva cosa fosse successo, dove fosse l’epicentro, si temeva vi potesse essere un successivo maremoto, quindi ci tenevamo abbastanza lontani dal mare” racconta mia madre.
Notizie in tempo reale non ce n’erano: non c’era l’iper-connessione di oggi e la corrente elettrica era saltata. Le prime comunicazioni sulle conseguenze del sisma arrivarono solo il giorno successivo: i telegiornali riportarono inizialmente l’evento di un forte terremoto con epicentro in Basilicata. Solo successivamente il dato dell’epicentro fu corretto in Castelnuovo di Conza, piccolo comune salernitano nell’alta valle del Sele.
Le scosse di assestamento sono continuate per mesi. Mamma racconta di come per un lungo periodo passò, per paura, il minor tempo possibile in casa: “un po’ l’opposto di adesso”, quando, per via della pandemia, vi rimane il più possibile. Per un lungo periodo non frequentò più l’università e dormì sempre vestita e con gli occhiali, pronta a “scappare” qualora ve ne fosse il bisogno. Proprio da allora prese l’abitudine di avere una “busta di emergenza”: “fammi vedere se la trovo…”…”anche se l’ho modificata nel corso degli anni”, e dopo qualche istante mi mostra una busta contenente torcia, sapone, ricambi intimi (per tutta la famiglia), salviette.
Le conseguenze per lei e per i miei parenti furono, fortunatamente, solo psicologiche. Ma non tutti ebbero questa fortuna: papà mi racconta di una sua amica di Balvano (luogo in cui avvenne il tragico crollo di una Chiesa che causò più di 60 vittime) che perse in un sol colpo diversi parenti; stessa sorte ebbe un’altra amica di mamma originaria di Conza della Campania.
A entrambi i miei genitori ho chiesto: “e se accadesse una cosa simile oggi, avrebbe le stesse conseguenze?”. Ed entrambi rispondono di no: nelle zone più colpite i paesi sono stati interamente ricostruiti, quindi sopporterebbero meglio eventuali nuove scosse. Mia mamma, però, aggiunge che, forse, conseguenze più gravi potrebbero averle zone che furono meno colpite allora (come Salerno città, appunto), dove i palazzi che hanno resistito al tempo, oggi, passati 40 anni, potrebbero non tollerare ulteriori nuovi turbamenti.
La cosa che non potrà mai essere perdonata fu proprio l’inadeguatezza e il ritardo della macchina dei soccorsi: non c’era nessun piano di intervento e per giorni si dovette scavare a mani nude. In un famoso intervento a reti unificate il Presidente della Repubblica Sandro Pertini denunciò la gravità della situazione e solo dopo quel discorso si mobilitarono gli aiuti. “Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi”.