Il mito del Covid livellatore Non c’è DPCM che tenga. Il Covid, Jeff Bezos e le rivolte di Napoli Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Il covid non è una livella. Innanzitutto non lo è da un punto di vista sanitario: le cure riservate ai Trump o ai Berlusconi sono largamente più efficaci, non solo per rapidità di diagnosi e ricoveri preventivi, ma anche per la qualità stessa delle terapie ricevute: il farmaco “Remdesivir” e gli anticorpi monoclonali sono un lusso per pochi.

Anche le assicurazioni private sono un lusso per pochi: negli Stati Uniti, ad oggi, la mortalità dei neri e degli ispanici –che costituiscono la maggior parte della popolazione povera e non assicurata- è il doppio di quella dei bianchi.

Infine, anche lo smart-working è un lusso per pochi: i ceti più agiati hanno meno possibilità di essere contagiati: non rientrano nelle fasce produttive “essenziali” e più spesso hanno la possibilità di lavorare da casa (se non addirittura di non lavorare).

Il covid non è una livella finanche dal punto di vista economico e sociale.

Non tutti, dalla crisi, si sono impoveriti. Chi era ricco è paradossalmente diventato più ricco: Jeff Bezos, patron di Amazon, nonché uomo più ricco del globo, ha incrementato le sue fortune di più del 30%, passando da circa 110 miliardi di dollari a circa 187 miliardi di dollari; Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, è passato durante il lockdown da 57 a 87 miliardi di dollari; Elon Musk, Warren Buffett, Bill Gates, seguono a ruota con aumenti di decine di miliardi di dollari. Dai dati di Oxfam, la ricchezza di 25 miliardari è aumentata di circa 255 miliardi di dollari in due mesi.

Le ragioni? Strutturali e perfettamente intrinseche al modello di sviluppo capitalistico: i più ricchi hanno avuto la possibilità di “scommettere” sui mercati al loro minimo, con la leggerezza e la tranquillità che solo un patrimonio già di per sé cospicuo può permettere di avere. Inoltre, vi è da considerare che le multinazionali che hanno incredibilmente moltiplicato i loro profitti sono perlopiù colossi del tech: Google, Amazon, Netflix, Microsoft; la rapida digitalizzazione (videochiamate, smart-working) forzata dalla pandemia ha permesso a queste aziende di rafforzare un oligopolio di mercato, accelerando ancor di più il processo di accumulazione del capitale e di mezzi di produzione.

Un trend già presente che la pandemia ha solo esacerbato: il Rapport sur les inegalités mondiales, del 2018, prevede che “se le tendenze attuali in materia di diseguaglianza di patrimonio dovessero continuare così, nel 2050 lo 0,1% più ricco del globo possiederà da solo più del patrimonio di tutta la classe media mondiale” (AA.VV., Rapport sur les inegalités mondiales 2018, Seuil).

Va bene, i miliardari sono più miliardari…e i poveri?

I poveri, di contro, non solo non si sono arricchiti, ma non sono nemmeno rimasti stazionari: i poveri si sono impoveriti. E stanno letteralmente pagando il prezzo della crisi.

I meno abbienti sono stati maggiormente colpiti dal punto di vista finanziario. Quelli con il reddito più basso sono più probabilmente impiegati nei settori più colpiti dalle restrizioni anti-covid. Ad esempio, “nel Regno Unito più dell’80% delle attività nei settori intrattenimento e ristorazione si sono fermate o hanno chiuso per via del coronavirus, e questi due settori sono rispettivamente al terzultimo e all’ultimo posto per stipendio medio”.

I meno abbienti sono stati maggiormente colpiti dal punto di vista dell’istruzione. Gli alunni nelle fasce di reddito più basse sono svantaggiati se le scuole chiudono e con la DAD diventano necessari strumenti e connessioni alla rete di buon livello. Nell’Unione Europea, circa un terzo delle famiglie a reddito basso non ha un computer o l’accesso a internet dalla propria abitazione.

I meno abbienti sono stati maggiormente colpiti anche dagli effetti psicologici e sociali della pandemia: è chiaro che il lockdown non è uguale per tutti, e la quarantena a mo’ di ritiro spirituale alla “Decameron” del Boccaccio è radicalmente diversa dall’esperienza vissuta dai 50’000 abitanti stimati nei famosi “bassi” napoletani, piccole abitazioni spesso non più di 20mq poste al piano terra, con l’accesso diretto sulla strada, che ospitano anche intere famiglie.

Diseguaglianze, conflitti sociali, rivolte e violenza

Ed è a tutto questo che dobbiamo fare riferimento quando parliamo di negazionismi, disubbidienza sociale e finanche rivolte. La famosa nottata di Napoli (a cui poi hanno fatto seguito altri episodi di protesta e scontri in tutte le principali città italiane) è la manifestazione di un malessere sociale prodotto da un sistema economico che non regge più. I media hanno preferito interrogarsi ossessivamente sulle possibili matrici politiche di queste proteste (da stropicciarsi gli occhi l’intervento di una celebre giornalista della Rai, che, riferendosi a un ragazzo con tatuaggi e capelli lunghi, chiedeva al sindaco di Napoli Luigi De Magistris, presente in trasmissione, “a quale tribù sociale”, secondo lui, “appartenesse quel ragazzo”) piuttosto che indagarne cause e motivazioni, talvolta non andando oltre una certa dose di “folklorizzazione” e pressapochismo.

Il decreto “ristori”

Il consiglio dei ministri ha approvato, lo scorso 27 Ottobre, il “Decreto ristori”, “che introduce ulteriori misure urgenti per la tutela della salute e per il sostegno ai lavoratori e ai settori produttivi, nonché in materia di giustizia e sicurezza connesse all’epidemia da COVID-19”.

Il nuovo decreto prevede un piano di aiuti da 5,4 miliardi di euro erogati a fondo perduto direttamente sui conti correnti dei cittadini destinatari. I beneficiari, in questo caso, sarebbero i settori commerciali più danneggiati dallo scorso DPCM, nello specifico, con percentuali che fanno riferimento al provvedimento del Maggio scorso:

  • Rimborsi al 200% per ristoranti, palestre, cinema, teatri, sale gioco, fiere;
  • Rimborsi al 150% per bar, pasticcerie, gelaterie, alberghi e strutture turistiche;
  • Rimborsi al 400% per le discoteche.

Sono circa mezzo milione le imprese che beneficeranno del decreto.

2,2 miliardi sono utilizzati per prolungare la cassa-integrazione fino al 31 gennaio 2021. Tra le altre: prolungamento del blocco-licenziamenti; bonus una tantum di 1000€ per i lavoratori più colpiti dalle restrizioni (addetti dello spettacolo, stagionali); nuovo credito di imposta sugli affitti; blocco pignoramenti sulla prima casa.

Non basta

Così si concludeva l’ultimo intervento del premier Conte alla Camera dei Deputati:

<<Non vi può essere alcun dilemma tra la protezione della salute individuale e collettiva e la ripresa della nostra economia. Tanto più saremo efficaci nel piegare la curva dei contagi, tanto più velocemente allenteremo le restrizioni, evitando il deterioramento insostenibile del tessuto economico e sociale>>

Il nuovo decreto è una sorta di “tappo” per evitare che le perdite siano troppo elevate, il che dimostra, ancora una volta, una scarsa volontà di lottare contro le diseguaglianze.

Il “deterioramento insostenibile del tessuto economico e sociale” è “insostenibile” perché il lockdown radicalizza e rende manifeste le disparità economiche e sociali. Non è il lockdown ad essere insostenibile in sé e per sé. Erogare fondi “a pioggia” non è né sufficiente, né efficiente. Attenuare le diseguaglianze lo è.

In un contesto di crisi questo diventa vitale, e c’è chi lo ha capito. Il governo spagnolo, guidato dalla coalizione PSOE+Podemos, ha varato, per affrontare l’emergenza, una storica legge di bilancio che aumenta la tassazione:

  • Di tre punti percentuali sui redditi da capitale superiori a 200’000 euro;
  • Di due punti percentuali sui redditi da lavoro superiori a 300’000 euro;
  • dell’1% di pressione fiscale sui patrimoni privati superiori a 10 milioni di euro come misura di equità sociale e fiscale.

Con il gettito fiscale previsto le spese per la sanità aumenteranno del 151%, insieme con quella per l’istruzione (70% in più) e per la cultura (25% in più), oltre agli aiuti previsti per i settori più colpiti.

È una vera e propria patrimoniale, che se attuata a livello europeo garantirebbe un gettito di 150 miliardi di euro l’anno. 1500 miliardi in dieci anni, il doppio del Recovery fund.

Un provvedimento straordinario, che per la prima volta farebbe pagare maggiormente i danni della crisi a chi può farlo, ovvero a chi ha più ricchezza, prodotta o posseduta: non si parla né di uguaglianza assoluta, né di dittatura del proletariato.

Strumenti globali per problemi globali

E sì, l’economia globale non risponde positivamente a regolamentazioni fisse (fughe di investimenti, delocalizzazioni); è proprio per questo che provvedimenti di questo tipo possono e devono essere presi da strutture sovranazionali come l’Unione Europea, che si troverebbe finalmente a darsi un senso nell’affrontare solidaristicamente le nuove problematiche mondiali.

In questo senso i mezzi a disposizione degli Stati si rivelano comunque inadatti a sostenere politiche di questo tipo nel lungo periodo, da qui l’urgenza di un’Unione Europea forte, che ritrovi sé stessa proprio nel momento più buio della crisi, che sovvenzioni un “reddito di pandemia”, attingendo fondi dove ce ne sono troppi e distribuendoli dove scarseggiano. L’alternativa sono dieci, cento, mille Napoli.

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