L’utilizzo dei contraccettivi nei paesi in via di sviluppo potrebbe essere l’arma in più per combattere i cambiamenti climatici legati alla crescita della popolazione.
Secondo quanto pubblicato nell’editoriale dal Lancet (una delle cinque riviste più importanti di medicina del mondo) che riporta uno studio del British Medical Journal, bisogna partire dall’accesso ai contraccettivi a più di 200 milioni di donne che in tutto il mondo non possono farne uso, per ridurre così il numero delle gravidanze non volute (secondo gli ultimi dati 76 milioni ogni anno). Se quelle donne potessero infatti utilizzare liberamente il preservativo o qualsiasi altro metodo contraccettivo, ciò rallenterebbe l’aumento della popolazione, limitando gli effetti che esso ha sull’ambiente.
“Il dibattito – dicono gli autori dello studio – dimostra che questa problematica non interessa solo pochi eletti. Sta infatti via via aumentando la consapevolezza sul legame tra le dinamiche di crescita della popolazione, della salute, dei diritti umani e quelle legate ai cambiamenti climatici.”
Nei paesi in cui la contraccezione è un metodo piuttosto diffuso, la grandezza media di una famiglia è crollata in una sola generazione. Anche per questo, fino a qualche tempo fa, nessuno dei programmi americani riguardanti la salute ha mai incoraggiato la contraccezione nei paesi in via di sviluppo, neanche per combattere l’AIDS. Ma questa tendenza è parsa fuori da qualsiasi logica, visto che sulle previsioni di un aumento della popolazione mondiale – sino a nove miliardi entro il 2050 – incide in particolare un dato: ben il 90% di questa crescita proverrà proprio dai paesi in via di sviluppo. Motivo per cui, l’editoriale di Lancet ricorda come il controllo sulle nascite sia cinque volte meno costoso rispetto alle tecnologie usate per combattere il cambiamento climatico.
Non è questa la prima volta che le abitudini di vita sono legate alla battaglia contro il riscaldamento globale. È il caso degli animali: è ormai certo che la riduzione del consumo di carne dia un contributo fondamentale alla limitazione del global warming.
Gli allevamenti sono tra le principali cause della deforestazione, facendo del Brasile il maggiore esportatore mondiale di carne bovina, anche verso l’Europa, che non riesce a soddisfare la domanda con sola produzione interna.
Per produrre un solo kg di carne vengono consumati 108 metri cubi d’acqua.
La Fao segnala che le terre destinate ai processi produttivi della carne sono circa il 30 % di quelle disponibili e che il 36% dei cereali prodotti al mondo serve a nutrire gli animali da carne e da latte, con differenze che vanno dal 4% in India, al 25% in Cina, al 65% negli Stati Uniti: una gran parte del terreno coltivabile viene destinato al foraggio per gli animali da carne.
Si chiude così, almeno in parte, il cerchio che lega uomo, clima, ambiente: una singola scelta e un impegno se non per cambiare le sorti del pianeta, almeno per migliorarne la vivibilità.