Due popoli, due stati: qualche mese fa, all’indomani della sua nomina a Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama sembrava potercela fare. E non solo perche’ l’avvio di nuovi negoziati e’ passo imprescindibile nella soluzione del conflitto arabo-israeliano, ma anche perche’ la diplomazia che si concretizza sembra essere l’arma in piu’ dell’uomo piu’ influente del mondo. Tuttavia la speranza di una fine vera della guerra che sta martoriando il Medio Oriente da ormai troppi anni e’ sembrata svanire con l’ennesimo discorso del Presidente Usa presso l’Onu: la politica del dire ha ancora una volta prevaricato la politica del fare.

Obama aveva incontrato i vertici politici dei due popoli a Il Cairo lo scorso giugno. Questa la ricetta proposta dal capo della Casa Bianca: Israele deve accettare l’esistenza di uno stato palestinese e viceversa Hamas deve riconoscere l’esistenza di Israele. Obama aveva inoltre dichiarato apertamente, in un passaggio sottolineato dagli applausi, la necessità che Gerusalemme interrompa la politica degli insediamenti, esortando tuttavia anche i palestinesi a cessare da subito la violenza: «Lanciare razzi che uccidono bambini che dormono o donne che salgono su un autobus non è segno di potere». Insomma, la soluzione che prevede due Stati per due popoli e’ «l’unica soluzione». Tutti noi, aveva ribadito Obama, dobbiamo lavorare per il giorno in cui Gerusalemme «sarà il luogo dove tutti i figli di Abramo potranno mescolarsi in pace». Fin qui tanti bei propositi che gli analisti politici avevano interpretato come un’anticipazione di una soluzione concreta in occasione dell’incontro dei Capi di Stato a settembre.

Ed e’ proprio all’Onu che sembrava fosse l’occasione migliore per Obama per definire la sua visione, dimostrando la sua potenziale capacita’ di giungere ad una soluzione concreta: ci aveva provato Clinton nel corso dei due suoi mandati e allora solo l’uccisione di Rabin segno’ uno stop nella ricomposizione del conflitto; con Bush, il problema arabo-israeliano perse completamente la sua centralita’, nonostante molti dei problemi dei Medio Oriente (ad esempio la solidarieta’ tra i  gruppi terroristici dei vari paesi dell’aerea) trovino le proprie radici proprio nella questione israelo-palestinese.

Oggi Obama dice “E’ abbastanza” . Come dargli torto: 42 gli  anni di guerra, di insediamenti e di morti. Netanyahu pare non troppo convinto della proposta di due stati, di cui uno palestinese, e non dimostra alcuna fretta, nonostante sia  questa al momento l’unica garanzia per un futuro di sicurezza. “Non sono ingenuo, so che questo è un obiettivo difficile” – ha detto Obama – ma dobbiamo chiederci se vogliamo seriamente la pace, o se invece la vogliamo solo a parole”. “E’ il momento di rilanciare il negoziato – ha continuato – senza precondizioni, nell’ottica di una soluzione permanente delle questioni in gioco: la sicurezza di israeliani e palestinesi, i confini, i profughi e Gerusalemme”. Ma il Capo della Casa Bianca dovra’ far prima di tutto capire ai palestinesi che Israele deve essere accettato come stato ebreo e tutti devono godere di pieni diritti e agli israeliani che Israele non potra’ vivere per sempre come una rocca fortificata.

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