Il 20 settembre 1870 le truppe italiane guidate dal generale Cadorna si diressero verso Roma, l’artiglieria aprì una breccia in un tratto di mura aureliane tra Porta Pia e Porta Salaria e le truppe pontificie, guidate dal generale Kanzler, si arresero; l’esercito sabaudo occupò Roma e mise fine allo Stato della Chiesa – all’epoca era costituito da un piccolo territorio posto all’interno della città di Roma, sulla riva occidentale del Tevere e in corrispondenza del colle Vaticano. La Chiesa cattolica poté contare per lungo tempo sul sostegno militare della Francia, quando però nel 1870 la Prussia attaccò il regno di Napoleone III gli aiuti vennero meno, nessun altro stato europeo accorse e le truppe italiane costrinsero agevolmente alla resa l’esiguo esercito pontificio.
Tale episodio ha un’importanza decisiva nella storia dell’unità, poiché con l’ingresso dell’esercito sabaudo a Roma si compì realmente la costituzione dell’Italia unita e di Roma come capitale d’Italia. Nel 2020 sono stati ricordati i 150 anni dalla breccia di Porta Pia, a Roma – dinanzi Porta Pia, nel quartiere Nomentano – un picchetto di bersaglieri – corpo militare che per primo entrò a Roma nel 1870 – ha celebrato l’evento indossando l’uniforme dell’esercito italiano del tempo, in memoria dei caduti è stata deposta una corona d’alloro presso la lapide commemorativa della battaglia ed è stato inaugurato il Monumento al bersagliere. In più Porta Pia è stata illuminata di tricolore, in ricordo della proclamazione di Roma capitale dell’Italia unita; se pur il 27 marzo 1861 il parlamento di palazzo Carignano a Torino, dieci giorni dopo aver tenuto a battesimo il Regno d’Italia, acclamò già una mozione che annunciava Roma capitale del Regno – allora ancora sotto lo Stato della Chiesa –, si dovettero attendere dieci anni per la proclamazione vera e propria, avvenuta cinque mesi dopo la breccia di Porta Pia.
Dalla presa di Roma i pontefici succedutisi non riconobbero lo stato italiano e si considerarono prigionieri nei Palazzi Vaticani, questo fino ai Patti lateranensi del 1929, nei quali la Santa sede riconobbe il regno d’Italia e ottenne la creazione e la piena proprietà dello stato di Città del Vaticano.
L’odierna lettura della breccia di Porta Pia da parte della Chiesa cattolica è fortemente debitrice delle parole dell’arcivescovo Montini del 1962. Il 10 ottobre 1962, alla vigilia dell’apertura del Concilio Vaticano II, l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini – poi papa Paolo VI – tenne nella sala degli Orazi e dei Curiazi in Campidoglio un discorso decisivo sulla questione dell’unità d’Italia; disse che se l’episodio della breccia di Porta Pia determinò il crollo del dominio territoriale della Chiesa cattolica, non determinò il crollo del suo potere spirituale, anzi lo accrebbe. Secondo Montini il 20 settembre 1870 il papato non è stato privato del potere temporale ma provvidenzialmente sollevato da un macigno gravoso e guastato. Poco prima della breccia, il Concilio Vaticano I aveva proclamato la somma e infallibile autorità spirituale del papa, che di lì a poco avrebbe concretamente perso il suo potere sui beni rimanenti del patrimonio di san Pietro. Per Montini il piano imperscrutabile di Dio mosse anche quel fatale evento, ridefinì la Chiesa cattolica liberandola dallo stretto legame con la territorialità e dandole la libertà di un’istituzione spirituale universale, ridefinì anche l’autorità del papa, non più re ma capo spirituale della chiesa universale; inoltre il papa si riappropriò saldamente delle sue funzioni di maestro di vita e di testimone del vangelo. L’arcivescovo Montini propose quindi una sostanziale rilettura dell’episodio, lo liberò da quelle sconfortanti opinioni per cui la breccia di Porta Pia avrebbe inferto l’ultimo e irrimediabile smacco all’istituzione della Chiesa cattolica.